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“Una menzogna collettiva assassina”: un salto in Senegal attraverso le parole di Abdoulaye Thiam

Abdoulaye Thiam, di origini senegalesi, vive in Italia da 33 anni e si è distinto non solo come infermiere e mediatore linguistico-culturale, ma anche come autore impegnato nel dibattito politico e sociale. Attento a quanto accade nella società, ha scritto il suo primo libro, L’Africa allo Specchio, circa sei anni dopo l’arrivo in Italia, in risposta alle domande e alle preoccupazioni sollevate dalla crescente disinformazione sulla migrazione e il multiculturalismo. Ha continuato con Urla dal Cuoreuna raccolta di poesie per esplorare il panafricanismo e la situazione politica e sociale in Africa, e con Lo sciopero degli invisibili, che racconta le migrazioni dei giovani subsahariani verso l’Europa.

Il suo ultimo romanzo, Una Menzogna Collettiva Assassina, riprende il suo impegno politico, affrontando temi complessi e profondi passando per l’identità, la cultura e la giustizia sociale in Senegal, con particolare attenzione alla regione della Casamance, nel sud del Paese. Il protagonista Jambaar, un giovane patriota senegalese, ispettore delle imposte, viene licenziato dalla funzione pubblica per aver denunciato il malgoverno dello Stato. Con la voglia di cambiare la situazione, si dedica alla politica e, tra numerosi ostacoli, tra cui un’accusa di stupro e perfino un tentativo di assassinio, la sua lotta continuerà feroce fino alle urne.

Dopo la prima presentazione del volume, tenutasi nel bergamasco la scorsa settimana, abbiamo scelto di parlare con Abdoulaye Thiam e comprendere meglio la storia di Una menzogna collettiva assassina.

Che cosa l’ha ispirata a scrivere “Una menzogna collettiva assassina”?

Sono stato spinto a scrivere Una menzogna collettiva assassina dall’attenta osservazione della situazione socio-politica del Senegal negli ultimi anni e dagli scontri tra la vecchia classe politica e l’allora partito all’opposizione.

La politica non dovrebbe essere un mezzo per l’arricchimento personale o per servire interessi privati, ma piuttosto un impegno al servizio della società. Il protagonista del mio romanzo, Jambaar, incarna infatti la forza e la determinazione del leader Ousmane Sonko, oggi Primo ministro del Senegal. Si tratta di una figura che ho iniziato ad ammirare per le sue battaglie contro la corruzione e per la giustizia sociale nel mio paese e alla cui storia ho voluto dar voce attraverso la mia scrittura.

Ho scelto di chiamarlo Jambaar nel mio romanzo perché in wolof, lingua maggiormente parlata in Senegal, Jambaar vuol dire combattente.

Crescendo nel sud del Senegal, precisamente nella Casamance come Sonko, ho vissuto  esperienze che hanno influenzato profondamente il mio punto di vista, soprattutto grazie al mio background come Jola, che ha plasmato la mia visione del mondo e il mio approccio alla scrittura.

Ed è dalla Casamance che parte la storia.

Nella narrazione, ho infatti cercato di esplorare le analogie tra la lotta di Sonko e altre figure storiche dell’area come Aliin Sitooye Jaata, nata nel 1920 e simbolo della resistenza e della lotta del popolo contro l’oppressione coloniale e in difesa delle nostre tradizioni.

Una narrazione concentrata quindi sui personaggi di Jambaar e Aliin che, pur appartenendo a diverse generazioni, sono legati da una lotta comune che attraversa decenni.

Lo sviluppo dei personaggi è stato un processo lungo e laborioso, basato su un mix di osservazione diretta e ricerca tra la storia e l’attualità del Senegal.

Politica e società senegalese, e della Casamance in particolare, svolgono un ruolo significativo nel romanzo.

La ricerca delle informazioni è stata una parte essenziale del mio lavoro. Ho dedicato molto tempo a leggere articoli e documenti storici, e ho intervistato esperti e testimoni in Senegal per ottenere una comprensione più accurata. Nonostante fossi lontano, ho provato a vivere il quotidiano in mezzo alle persone, tra videochiamate e tanti scambi con chi ogni giorno sentiva addosso certe pressioni.

Mi son chiesto più volte cosa avesse spinto Ousmane Sonko a diventare un uomo politico e a battersi per il suo Paese e, come dicevo, ho trovato molte somiglianze tra la sua personalità e quella di Aliin Sitooye Jaata. Potremmo pensare che, in un certo senso, il suo spirito vive attraverso Sonko e attraverso questo continua la sua causa.

E se è vero che oggi Sonko non è diventato presidente, la sua importanza come figura di resistenza e coraggio rimane innegabile. La mia narrativa ha cercato di catturare questa essenza, ribadendo che Sonko è più di un semplice individuo: è stato un simbolo di speranza e di cambiamento.

Perchè “Una menzogna collettiva assassina ” e come questo titolo si lega alla trama del libro?

Tra la corruzione, gli scontri e le battaglie dell’opposizione un tema centrale del libro è proprio la menzogna collettiva, che accusa Jaambar e condanna la sua società.

La definisco collettiva perché quello che ha interessato il Senegal non è responsabilità di una sola persona quanto di un gruppo di individui che hanno orchestrato inganni e menzogne contro l’opposizione e lo hanno fatto per i propri interessi.

Attraverso un approccio quasi documentaristico, ho raccolto informazioni da varie fonti, sia nazionali che internazionali, inclusi giornali, riviste e interviste. Ho voluto dimostrare che le conseguenze di queste menzogne sono state drammatiche.

Ho voluto creare un’atmosfera in cui il lettore è chiamato a valutare gli argomenti presentati e a discernere la verità da una serie di informazioni contrastanti, in un contesto in cui la menzogna collettiva emerge come un elemento assassino: tanti imprigionati nel corso degli ultimi anni in Senegal e ben 87 morti tra manifestazioni, ribellioni e dimostrazioni a favore dell’allora opposizione.

Quale il messaggio principale che spera di trasmettere attraverso il suo libro?

Attraverso il mio libro ho voluto comunicare l’importanza di andare oltre le apparenze e di esaminare attentamente le questioni che riguardano la nostra società. Ho voluto evidenziare come le menzogne e le ingiustizie collettive possano minare le fondamenta della nostra cultura e, in particolar modo, della nostra identità.

Ho cercato di stimolare una riflessione sulle dinamiche politiche in Africa, invitando alla consapevolezza delle differenti sfumature di significato che alcuni concetti, come democrazia e diritti umani, assumono tra il continente africano e l’Occidente. È evidente che un politico africano non impiega termini con significati del tutto simili a quelli di un politico occidentale, poiché i contesti culturali e storici sono parecchio diversi.

E in più, fare politica in Africa è un percorso molto diverso che farlo in Europa e molto spesso è segnato da rischi personali significativi, come dimostrato dalla vicenda di Sonko.

Qual è stata la parte più gratificante nello scrivere questo libro? E la più sfidante?

La parte più gratificante è stata la possibilità di dare voce alle storie e alle esperienze delle persone che altrimenti sarebbero rimaste quasi invisibili. È stato un atto in nome della verità per esporre le sfide e le ingiustizie affrontate dal mio paese, inclusa la diffusa corruzione e i tanti scandali.

Scrivere significava gettare luce su questi problemi, dando voce a emozioni e sentimenti autentici, e questo è stato per me estremamente gratificante. Tuttavia, la parte più sfidante è stata navigare attraverso il rischio e la complessità di trattare tali argomenti in un contesto in cui il potere politico era pronto a controllare. L’instabilità politica e le minacce di rappresaglie verso chi osava sollevare la voce erano molto frequenti.

Anche mentre scrivevo, dovevo fare attenzione a non mettere in pericolo coloro che mi fornivano informazioni sensibili, utilizzando codici e precauzioni per proteggerli. La scrittura di questo libro non è stata un’attività solitaria tra quattro mura; è stata piuttosto un’esperienza che ha richiesto un costante scambio con la realtà e una partecipazione attiva nella comunità.

Anche quando ero lontano, ho cercato di partecipare nel mio modo, contribuendo alla lotta per la verità e la giustizia. Del resto la vittoria che oggi possiamo vantare non è stata solo di chi vive in Senegal, ma anche della diaspora senegalese, che ha contribuito con il proprio impegno e sostegno.

È importante che ognuno abbia il proprio libro nella biblioteca, che la memoria di ciò che è accaduto non venga dimenticata, considerando il costo umano e materiale delle lotte per la verità e la giustizia: 1200 attivisti, professori universitari e cittadini imprigionati, danni materiali e 87 vite perse.

Si può perdonare, ma non dimenticare.

Cosa si augura che i lettori portino con loro dopo aver letto il suo libro?

Spero che i lettori di Una menzogna collettiva assassina portino con loro un maggiore senso di consapevolezza verso le realtà complesse e spesso misconosciute del Senegal e in generale del mondo che viviamo. Vorrei che il mio libro stimolasse riflessioni profonde sulle questioni di identità, cultura, giustizia sociale e verità, incoraggiando i lettori a esaminare criticamente le narrazioni dominanti e ad essere agenti di cambiamento nella propria comunità.

Attenzione a cosa sta succedendo oggi in Africa.

Le pagine possono essere girate e andiamo avanti ma il contenuto, quello che è successo, resta. Nero su bianco

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