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RD Congo, il mito dell’acqua nell’immaginario dei guerrieri Mayi Mayi

I Mayi Mayi sono una delle molteplici milizie oggi presenti nella regione del Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), sono composte in prevalenza da ragazzi e bambini. Il terminie Mayi Mayi, nello swahili del Congo, vuol dire “acqua-acqua”, riferendosi al rituale emblematico del gruppo e consistente nell’aspersione dei bambini guerrieri con un’acqua prodigiosa preparata secondo una formula segreta, che, in base ad una credenza magica, renderebbe i combattenti invulnerabili ai proiettili. Questo rituale infonde coraggio ai guerrieri, incitandoli alla guerra.

Accompagnando l’ascesa al potere di Kabila, nel 1996, i combattenti Mayi Mayi, privi di indumenti di fronte al nemico, ebbero la meglio sui soldati di Mobutu, terrorizzati da questi guerrieri coraggiosi, il cui mito di invincibilità era legato al rito dell’acqua magica.

Questo movimento ha una matrice ideologica, poiché affonda le sue radici in rivendicazioni politiche di stampo nazionalistico e nella lotta di resistenza contro l’invasore, dapprima gli europei e poi i vicini ruandesi e ugandesi.

In epoca coloniale, questo culto, dapprima molto diffuso in Tanzania, si affiancava alla predicazione dell’unione di tutti gli africani, ponendo rimedio all’assenza di unità fra le diverse tribù, specie nel contrasto agli europei e alle loro moderne armi invincibili.

L’acqua magica era, pertanto, particolarmente idonea a contrastare i regimi coloniali dei primi del Novecento, tanto che ogni tribù disponeva del suo addetto alla preparazione della maji, il quale si recava presso altre tribù per trasmettere ad altri adepti il suo sapere esoterico. Questa trasmissione tra gruppi anche molto eterogenei tra loro era uno strumento di unificazione nella ribellione contro l’esercito coloniale.

La fabbricazione e l’uso dell’acqua magica nella lotta agli europei si diffuse nell’Ottocento a partire dal Sudan, in seno alla popolazione Dinka, per poi transitare nella regione al confine tra Uganda e Congo, sotto la dominazione del Belgio e della Gran Bretagna, popolata dai Lugbara. Dall’Uganda il culto dell’acqua si diffuse in Tanzania e fu adottato dai ribelli Mayi Mayi contro la dominazione tedesca nei primi del ‘900. In questo quadro di resistenza si diffuse il rito dell’aspersione dei ribelli, primo fra tutti Kinjikitile Ngwale, profeta della liberazione africana che predicava l’unione di tutti gli africani e che, nella sua grande capanna, produceva la maji con cui cospargere i guerrieri.

Secondo le credenze, l’acqua, preparata con erbe segrete, aveva il potere di liquefare le pallottole degli occidentali e fu per questo che divenne molto popolare tanto da attrarre adepti da ogni parte. Questo nuovo culto compiva ciò che fino ad allora non era stato possibile e che aveva impedito una vera rivolta: riunificava le svariate tribù e offriva uno strumento di lotta al nemico, considerato fino ad allora invincibile.

Nella regione del Kivu, territorio congolese sotto la dominazione belga e ricco di materie prime, il rito dell’acqua magica fu particolarmente diffuso negli anni che seguirono l’indipendenza del Congo, in seno ai famigerati ribelli Simba (in swahili “leoni”). Negli anni ’60, questi giovani guerrieri tra i dodici e i vent’anni, privati di scuola e lavoro, si caratterizzavano per omogeneità etnica, uso del terrore e protezioni magiche grazie all’uso della maji. Questi guerrieri, sotto la guida di Gaston Soumialot, combattevano contro l’esercito governativo, torturando e uccidendo indiscriminatamente.

Erano molteplici, pertanto, le analogie tra i Simba e i Mayi Mayi della Tanzania a partire dall’uso della maji, ma che investiva tutto il mondo magico associato alle abilità manipolatorie dei leader carismatici.

Tuttavia, l’avventura dei Simba si esaurì col venir meno del rigore comportamentale che li aveva contraddistinti nei loro esordi, essendosi in seguito trasformati in bande di teppisti che saccheggiavano e seminavano il terrore anche tra la popolazione civile. La repressione da parte del governo di Kinshasa pose fine all’avventura dei Simba, ma non cancellò l’usanza né la credenza nella maji nel Kivu, che si rivelò in seguito preziosa per animare una nuova generazione di combattenti nella sanguinosa guerra scoppiata negli anni ’90.

E’ in questi anni che proliferano le formazioni militari informali, composte da giovanissime reclute mobilitate questa volta contro la popolazione di lingua ruandese, i Banyarwanda. I veterani Simba, in questa occasione, si presentarono come depositari delle formule occulte per la preparazione della maji, con il compito indispensabile di infondere coraggio nei giovani miliziani attraverso il rito dell’acqua magica. Furono, perciò, fondate le milizie autoctone Mayi Mayi che combattevano nel Nord Kivu e che raggruppavano le diverse formazioni al tempo presenti nella regione, a cui si unirono anche gli Hutu dell’Interahamwe, arrivati in Congo a seguito del genocidio in Ruanda del 1994.

Alcune fazioni Mayi Mayi appoggiavano Kabila, mentre altre lo avversavano, ma centrale fu il timore che i Tutsi annettessero al Ruanda il Kivu, ricco di risorse. In questa ottica, anche il governo centrale si trovò ad appoggiare le milizie Mayi Mayi con la fornitura di armi. In realtà, dietro la propaganda anti-Tutsi, ciò che era contestato era l’apparente afflato nazionalistico e di autodifesa dei Mayi Mayi, che avrebbero usato le connotazioni marxiste e terzomondiste che condraddistinguevano il movimento per seminare violenza e distruzione tra le popolazioni povere e per avere il controllo sullo sfruttamento delle immense risorse minerarie. Questo è lo scenario attuale che ha compromesso la popolarità dei Mayi Mayi nell’immaginario collettivo.

Come forza di autodifesa popolare, i Mayi Mayi non combattono solo contro un nemico esterno proveniente dall’Europa o da altri Stati africani, ma anche contro un nemico interno: la stregoneria. La purificazione della società africana passa, dunque, anche attraverso il contrasto agli stregoni e alle streghe. Vi sono due forme di stregoneria contrapposte in Africa: la prima socialmente accettata, come quella praticata dai Mayi Mayi, in quanto è un mezzo di recupero del potere ancestrale volto a liberare il popolo africano, un potere esoterico sopravvissuto al colonialismo e rispetto al quale i Mayi Mayi si pongono come un ideale di purezza e incarnazione della tradizione africana; la seconda forma di stregoneria, invece, assume una valenza negativa e, in quanto tale, va combattuta poiché è espressione di una società corrotta e malvagia. Ecco che i poteri magici assumono una connotazione ambivalente, dove la lotta alla stregoneria cattiva cattura consenso, per cui anche l’uccisione di uno stregone, così come quella di un ladro, è un fatto socialmente accettato, specie se avviene da parte di bambini, considerati puri e quindi particolarmente adatti a questo compito di lotta al male.

Nel rito a cui sono sottoposti, i giovani guerrieri sono battezzati e purificati con la maji e in seguito sono tenuti ad assumere i dawa, una sorta di “medicinali” a base di erbe. Questi due componenti sono ritenuti in grado di annientare i proiettili. Il rituale consta di tre fasi: dapprima l’aspersione del giovane con l’acqua magica preparata dal docteur, il depositario del segreto dell’acqua magica; poi la scarificazione in diverse parti del corpo, come petto, braccia e caviglie, nelle cui ferite il docteur inocula i dawa; da ultimo, il dono di amuleti protettivi, i gri-gri, con l’appositione sul capo di un cappello in pelle di leopardo. Con l’aspersione dell’acqua viene dichiarata pubblicamente l’investitura come guerriero Mayi Mayi e sancita la conseguente invulnerabilità ai priettili.

Terminato il rito di iniziazione, a questi giovani è imposto il rispetto di alcune regole affinché la protezione sia efficace: l’astinenza dai rapporti sessuali, il divieto di rubare e assumere determinati cibi, l’obbligo di lavarsi solo in determinati momenti e senza sapone, il divieto di mangiare ossa, di guardare il sangue, di essere toccati da civili e in combattimento, il divieto di portare con sé soldi così come di indietreggiare. Queste ed altre interdizioni costituiscono un’efficace disciplina militare per i comandanti e il rito dell’acqua è stato capace di mobilitare molti giovani, infondergli coraggio e terrorizzare il nemico. L’universo simbolico e culturale dei Mayi Mayi viene animato in periodi di guerra e trova il suo substrato nella retorica politica di stampo nazionalista, dapprima anti-colonialista ed in seguito anti-Tutsi, i quali hanno potuto invadere il paese in virtù dell’appoggio delle potenze imperialiste occidentali interessate solo a mettere le mani sulle preziose risorse del Congo e che si avvalgono di milizie condotte da leader militari e politici a loro asserviti, come il famigerato Jean-Pierre Bemba, perseguito dalla Corte Penale Internazionale per i suoi crimini. La propaganda e il messaggio politico Mayi Mayi ricalcano quello marxista terzomondista degli anni ’60, che offre una vittimizzazione dell’Africa.

Tuttavia, questo messaggio politico di resistenza e autodifesa cela, in realtà, le mire personali dei signori della guerra, la cui rapacità e desiderio di sopraffazione hanno avuto col tempo la meglio sugli ideali degli esordi del movimento Mayi Mayi, tanto da tramutarlo in una milizia dedita a saccheggi e violenze inaudite che ne hanno irrimediabilmente minato la popolarità. Molti di questi comandanti, proprio grazie ai loro crimini, hanno spesso raggiunto posizioni di potere anche a livello governativo, oltre ad acquisire immenso potere economico. Ecco quindi come la violenza viene utilizzata con successo come strumento di ascesa sociale, quale unico obiettivo nascosto abilmente dietro rivendicazioni politiche consolidate per decenni e pertanto, capaci di attecchire saldamente nell’opinione pubblica.

Quello a cui appartengono i giovani guerrieri Mayi Mayi è un corpus culturale e valoriale che si nutre della guerra e che poggia su pratiche, come i riti di iniziazione, che forgiano il combattente secondo una certo ideale di persona, un archetipo di uomo forte. Non a caso il modello di guerriero Mayi Mayi, in quanto invincibile e ligio alle leggi, si rivela seducente, generando molto rispetto da parte della popolazione e questo nonostante gli esiti sovente disastrosi delle intraprese belliche.

Questo spiega anche il massiccio arruolamento volontario da parte di un’intera generazione di bambini e ragazzi, spinti dal bisogno di emulare i propri idoli e sfuggire a un quotidiano di miseria e sopraffazione. Inoltre, di fronte al disfacimento sociale e familiare, l’ambiente militare rappresenta per loro una comunità in cui riconoscersi e che resta unita grazie ad un insieme di valori condivisi racchiusi anche nella finzione, così come costruita dagli stessi adepti, ovvero la credenza nell’acqua magica. I Mayi Mayi devono la loro esistenza a questa credenza, poiché non esisterebbero senza la maji.

Nel corso del tempo, però, pur persistendo questo mito, le milizie Mayi Mayi hanno assunto un comportamento parassitario del tutto slegato da motivazioni ideologiche. Per molti bambini del Kivu divenire un Mayi Mayi ha voluto dire lottare per la propria affermazione e riconoscimento contro l’invisibilità sociale. Tuttavia, questi dispositivi antropopoietici Mayi Mayi, oltre a formare delle macchine da guerra, hanno creato spazio alla manipolazione di questi giovani, strumentalizzati e plasmati dai leader politici e militari per le proprie brame personali di ascesa sociale, per cui un’intera generazione di ragazzi e bambini invisibili alle pallottole è stata vittima della manipolazione degli adulti e mandata a morire in campagne militari cruente e senza speranza. Il bisogno di questi giovani di sfuggire a un quotidiano in cui dilagano violenza e miseria ha prodotto la necessità di rifugiarsi in un mondo immaginario e onirico in cui si diventa invisibili al nemico grazie all’acqua. Si tratta di viaggio nella fantasia che ha un prezzo molto caro per questi ragazzi.

 

 

Bibliografia:

Jourdan, L., Generazione kalashnicov, Laterza, Roma, 2010

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Vlassenroot, K., Violence et constitution de milices dans l’est du Congo: le cas des Mayi-Mayi, in S. Marysse, F. Reyntjens (a cura di), L’Afrique des Grands Lacs: Annuaire 2001-2002, L’Harmattan, Paris, 2002

Vlassenroot, K.,/Van Acker, F., “War as Exit from Exclusion? The Formation of Mayi-Mayi Militias in Eastern Congo”, Afrika Focus, 2001

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