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Sudan, nuove proteste per rincaro del pane: a rischio il governo di transizione

Era un copione già scritto. Con l’approssimarsi del cambio ai vertici del Consiglio sovrano, l’organo politico che insieme al governo di unità nazionale in Sudan guidato dall’economista Abdalla Hamdok, la tensione a  Khartoum è salita in modo esponenziale.
Il tutto mentre il protrarsi della crisi economica, che ha determinato il nuovo aumento di pane e carburante, sta animando proteste nella capitale sudanese e in altre città importanti del Paese dove si sono riviste le scene di due anni fa: lunghe code nei panifici che, a causa della mancanza di farina, hanno portato a 20 sterline sudanesi il prezzo per una forma di pane (cinque volte il costo precedente).
A causa dell’emergenza sono stati ridotti anche gli orari di apertura delle scuole e il numero delle lezioni. I dirigenti scolastici, secondo fonti locali, hanno emesso una circolare che ha disposto la frequenza solo al mattino, dalle 7.30 alle 11.
Oltre alla scarsità di pane si stanno verificando disagi anche nel settore dei trasporti per l’aumento dei prezzi del carburante.
La situazione sta determinando un crescendo del malcontento della popolazione che ha determinato una spaccatura nella coalizione “Forze di libertà e cambiamento”, che riunisce le forze della società civile promotrici delle proteste di massa che portarono alla caduta del presidente Omar al Bashir nell’aprile 2019.
Da due anni militari e civili condividono il potere di transizione nel Paese. La condivisione, tuttavia, non ha risolto la crisi politica che si sta aggravando con l’approssimarsi del 17 novembre, data in cui la presidenza del Consiglio sovrano dovrebbe passare a un civile, passaggio che i militari vorrebbero rimandare alla prossima estate.
La manifestazione di sabato è stata organizzata da una fazione scissionista denominata “Gruppo per l’accordo nazionale” che chiede lo scioglimento del governo del primo ministro Abdalla Hamdok.
Secondo il quotidiano “Sudan Tribune” la protesta è legata alla firma di una “Carta di accordo nazionale”, sottoscritta anche da gruppi armati del Darfur e da piccoli gruppi politici del Sudan settentrionale e centrale.
Ma a scendere in strada a manifestare sono anche migliaia di persone che davanti al palazzo presidenziale hanno intonato slogan contro “il governo della fame”, chiedendo al Consiglio di transizione un decreto di scioglimento del governo.
La parte di coalizione Ffc rimasta fedele al premier Hamdok continua, invece, a opporsi al dominio esercitato dai militari nel periodo di transizione e chiede il rispetto della dichiarazione costituzionale dell’agosto 2019.
Hamdok, dopo un incontro col generale Abdel Fattah al Burhan, presidente del Sovrano consiglio di transizione, ha dichiarato che non ha alcuna intenzione di dimettersi o di formarne un altro esecutivo.
E la tensione cresce con il rischio di nuove violenze.
Alcuni esponenti del movimento “Sudan change now” hanno denunciato che, prima della manifestazione di sabato scorso, i membri di un gruppo armato non identificato hanno rimosso le barriere intorno agli edifici governativi “impedendo alla polizia e alle forze di sicurezza di svolgere il proprio lavoro”.
Nelle stesse ore la Commissione per i diritti umani di Khartoum rilevava l’uso di minori nelle proteste in violazione delle leggi sudanesi e dei trattati internazionali e di persone pagate per partecipare al corteo. Lo proverebbero alcuni video pubblicati da attivisti sui social che mostrano i capi delle scuole coraniche mentre ricevono denaro per inviare i loro studenti alla manifestazione.
La situazione sta destando grande preoccupazione negli osservatori e negli attori internazionali che sostengono il processo di democratizzazione nel Paese. Come dimostra la missione in Sudan dell’’inviato speciale degli Stati Uniti per il Corno d’Africa, Jeffrey Feltman, annunciata per la prossima settimana e che nei giorni scorsi ha avuto colloqui con il primo ministro sudanese Abdalla Hamdok, il 12 ottobre, e con il presidente del Consiglio sovrano Abdelfattah al Burhan il  giorno successivo.
Feltman ha ribadito l’importanza che governo e Consiglio sovrano portino a compimento la transizione come stabilito nella Dichiarazione costituzionale del 2019 e nell’Accordo di pace di Juba del 2020.
Il diplomatico statunitense ha sottolineato che ognuno deve fare la propria parte e ridimensionare le reciproche recriminazioni, lavorando invece per risolvere insieme eventuali questioni di contesa attraverso un dialogo senza precondizioni.
Auspicio che per ora non sembra destinato a concretizzarsi.

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