vai al contenuto principale

Mozambico, cinque anni di guerra nella regione di Cabo Delgado

L’insurrezione jihadista a Cabo Delgado

Da cinque anni nella regione nordorientale del Mozambico, Cabo Delgado, infuria un’insurrezione jihadista ad opera di un gruppo chiamato al-Shabaab, omonimo di quello somalo, ma verso cui non pare che abbiano legami noti, che in kimwane, la lingua locale, significa “i giovani”. La zona del conflitto è prevalentemente musulmana e nel 2018 i ribelli hanno preso contatti con il gruppo dello Stato islamico, per cui gli Stati Uniti li hanno soprannominati “ISIS Mozambico” (o “franchising dell’ISIL”), designandoli come un’organizzazione terroristica straniera.

L’evento a cui si fa risalire lo scoppio dell’insurrezione è del 5 ottobre 2017, quando 30 membri armati hanno compirono un raid prima dell’alba verso tre stazioni di polizia nella città di Mocímboa da Praia, in cui rimasero uccise 17 persone. La metà dei guerriglieri fu successivamente arrestata, tuttavia quella breve occupazione di Mocímboa da Praia permise agli jihadisti di rubare armi da fuoco e munizioni. Successivamente si susseguirono varie scaramucce tra il gruppo e le forze governative, sempre causando anche la fuga di centinaia di residenti, fino ad altri attacchi più drammatici nel mese di novembre, quando furono distrutte delle chiese e decine di abitazioni in varie zone della regione, e soprattutto al bombardamento che il 29 dicembre l’esercito mozambicano ha compiuto sul villaggio di Mitumbate, considerato una roccaforte per gli insorti, in cui ci furono almeno 50 morti, di cui molti bambini, e un numero imprecisato di feriti.

La principale fazione ribelle è Ansar al-Sunna (Difensori della Tradizione), un gruppo estremista autoctono, ma dalla metà del 2018 sul terreno sarebbe attivo anche lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante, rivendicando un suo primo attacco contro le forze di sicurezza mozambicane nel giugno 2019. A questi vanno aggiunte anche diverse bande criminali, che hanno sfruttato il caos per compiere incursioni e saccheggi, spesso con violenza estrema. È dal 2020, tuttavia, che l’insurrezione si è particolarmente intensificata, dal momento che nella prima metà di quell’anno sono stati effettuati tanti attacchi come quasi in tutto il 2019, spesso insanguinati con decine di decapitazioni (ce ne sarebbero state almeno 50 nel solo mese di aprile).

Un’ulteriore escalation degli scontri si è avuta nell’agosto del 2020, quando i ribelli hanno conquistato la città portuale di Mocimboa da Praia, e nel successivo mese di settembre, quando hanno occupato l’isola di Vamizi nell’oceano Indiano. Nel marzo 2021, la ONG “Save the Children” ha riferito che i militanti islamisti stavano decapitando anche bambini, per cui gli sfollati si contavano a decine di migliaia: in quel mese sarebbero fuggiti oltre 35.000 dei 75.000 abitanti della città di Palma. Fino ad allora, dall’inizio dell’insurrezione jihadista si calcola che siano state uccise 3.100 persone e sfollate 820.000, più dell’intera popolazione dei cinque distretti in cui in quei primi quattro anni si sono concentrate le operazioni dei ribelli.

La missione militare della SADC e del Rwanda

Nel luglio 2021 la Comunità di sviluppo dell’Africa australe (SADC) ha annunciato una sua missione militare in Mozambico (SAMIM, Southern African Development Community Mission in Mozambique), con un migliaio di soldati provenienti da tutti gli Stati membri: Sud Africa, Botswana, Lesotho, Tanzania, Angola, Zambia, Malawi, Repubblica Democratica del Congo e Namibia. A questa si è aggiunta una nutrita compagine di oltre 1.000 militari del Rwanda, che dunque è il principale Paese straniero presente nella regione di Cabo Delgado.

Tecnicamente è una missione di peacekeeping, tuttavia in oltre un anno gli scontri bellici sono stati numerosi, a partire dal 9 agosto 2021, quando le truppe della SADC e del Rwanda hanno annunciato di aver sottratto ai militanti di al-Shabaab il porto di Mocimboa da Praia, strategicamente importante nel Mozambico settentrionale. In seguito, ci sono state varie risposte da parte dei jihadisti, con imboscate e irruzioni in strutture militari dove hanno potuto saccheggiare armi e documenti. Per mesi si sono avuti spostamenti di truppe e riposizionamenti di ribelli, con diverse vittorie dei soldati della SAMIM, almeno fino al 20 dicembre 2021, quando una pattuglia composta da forze speciali sudafricane e truppe di terra mozambicane è caduta in un’imboscata nei pressi del villaggio di Chai, segnando la prima morte di operatori delle forze speciali internazionali nel Paese. Nei mesi successivi si sono avute ulteriori imboscate contro la SAMIM, come il 5 febbraio 2022, in cui è rimasto coinvolta una pattuglia con soldati mozambicani e rwandesi, e il 9 febbraio, quando è morto un soldato del Botswana.

Divisione territoriale delle truppe della SAMIM, del Rwanda e del Mozambico nella regione di Cabo Delgado, marzo 2022. Fonte: ISS.
Divisione territoriale delle truppe della SAMIM, del Rwanda e del Mozambico nella regione di Cabo Delgado, marzo 2022. Fonte: ISS.

Tra deterioramento e stallo della situazione, nella regione di Cabo Delgado la sicurezza resta una chimera, anche lungo la costa, dove nel 2020 è intervenuto anche il gruppo Wagner, un’organizzazione di sicurezza privata fortemente legata al governo russo, sebbene poi si sia ritirato, non riuscendo a sostenere le sue attività di contro-insurrezione. Proprio per rafforzare la sua marina, il Mozambico ha stretto un accordo con l’Italia per migliorare l’addestramento, mentre il Portogallo, l’ex potenza coloniale del Paese, ha fornito dei motoscafi e l’India contribuisce allo sviluppo delle infrastrutture navali e alla formazione del personale. Questa strategia, tuttavia, si scontra con una realtà concreta fatta di abusi di potere e di corruzione da parte dei funzionari pubblici mozambicani; come affermato anche dal Dipartimento di Stato americano, in Mozambico il livello di corruzione è molto alto e il governo non ha attuato la relativa legge in modo efficace, per cui rappresenta un problema in tutti i settori e a tutti i livelli amministrativi, rendendo inefficace anche la formazione delle forze dell’ordine per contrastare i terroristi: “La corruzione, compresa l’estorsione da parte della polizia, è rimasta diffusa e l’impunità è rimasta un problema serio”.

Inoltre, nel Paese e, in particolare, nella zona teatro di guerra vi è una mancanza di accesso a informazioni affidabili a causa delle intimidazioni subite dai giornalisti, sia da parte dei ribelli che dal governo e dagli apparati militari. Il 5 gennaio 2019, ad esempio, le autorità mozambicane hanno arrestato illegalmente il giornalista Amade Abubacar, che stava riferendo dell’insurrezione, rilasciato solo su cauzione, dopo 107 giorni di detenzione e dopo aver subito vari atti di tortura.

Perché il Rwanda è sul campo

Il Rwanda è uno degli Stati più piccoli dell’Africa orientale, non ha sbocco sul mare e il suo presidente, Paul Kagame, è al potere da un quarto di secolo. Con il suo contingente di 1.000 soldati è la più grande forza straniera a Cabo Delgado, una regione ricca di risorse, salita alla ribalta dal 2011, quando vennero scoperti importanti giacimenti di gas naturale, oggi al centro di un progetto di liquefazione da 17 miliardi di euro gestito dal gigante energetico francese Total.

Alleato dal luglio 2021 delle forze militari della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe, il Rwanda ha mostrato di avere le truppe meglio disposte ed equipaggiate, per cui il suo esercito è stato definito “il più competente e meglio organizzato dell’Africa”. Il successo dell’intervento del Rwanda, fin dalla prima missione operativa del 9 agosto 2021, ha relegato le forze mozambicane a ruoli marginali nel proprio Paese, per cui questo ha creato uno scandalo verso l’esercito locale, ma anche delle preoccupazioni verso le forze militari straniere, che non hanno mai detto quando andranno via.

Secondo Elisio Macamo, esperto di politica africana all’Università di Basilea, la strategia di creare una zona di sicurezza intorno alle città di Mocimboa da Praia e Palma, che sono vitali per il progetto Total Energies, “è stato probabilmente negoziato al più alto livello politico tra Mozambico, Francia e Rwanda. […] Per la Francia, portare avanti il più grande progetto di gas in Africa è vitale e Parigi era persino pronta a inviare truppe per proteggere i suoi interessi nel Mozambico settentrionale. Nel Paese africano, tuttavia, c’era opposizione a consentire una presenza militare francese a Cabo Delgado. Quindi la soluzione era che le truppe rwandesi riempissero il vuoto e venissero pagate profumatamente sia dal punto di vista finanziario che politico”. Parallelamente, per il presidente rwandese Kagame, il successo militare del suo esercito a Cabo Delgado è una grande vittoria propagandistica con cui mostrare a livello internazionale quanto il Rwanda abbia un peso regionale – militare ed economico – sempre più importante; d’altra parte è una strategia che porta avanti da tempo e su più piani.

In questi cinque anni, la guerra nel nord del Mozambico è stata cruenta, spesso sconvolta da atroci crimini di guerra commessi sia dai ribelli che dall’esercito regolare, ma in questo scenario le organizzazioni internazionali per i diritti umani non hanno mai inserito le truppe rwandesi che, oltre ad aver di fatto contribuito a stabilizzare il conflitto, hanno conquistato la fiducia della popolazione; infatti, si sente spesso ripetere che “i rwandesi hanno portato la pace” e che si comportano meglio dell’esercito mozambicano, i cui soldati sono stati accusati di saccheggio e di provocare tensioni con la gente del posto.

Se da un lato gli scontri prettamente bellici potrebbero essersi fermati grazie alla forza militare internazionale, compreso il Rwanda, dall’altro il conflitto verosimilmente prosegue – e proseguirà a lungo – in forme diverse, dagli attentati terroristici alle incursioni per saccheggi, alimentando una tensione costante che terrà la regione di Cabo Delgado lontano da una pacificazione reale, come drammaticamente mostra l’assassinio di suor Maria De Coppi nella sera del 6 settembre. Il punto, infatti, riguarda le cause dell’insurrezione, che non sono riconducibili esclusivamente a questioni religiose, bensì alla più concreta precarietà economica di larga parte della popolazione e alla sua emarginazione politica, che si sono accentuate proprio nell’ultimo decennio con l’importante sfruttamento delle risorse energetiche locali. Inoltre, negli anni il Mozambico settentrionale è diventato un importante snodo transnazionale del traffico di droga in cui sarebbe coinvolto lo stesso governo nazionale, con nuovi poteri locali e signori della violenza, per cui tra interessi energetici internazionali e commerci illeciti nazionali, il rischio è che la messa in sicurezza delle sole attività industriali lasci in abbandono il resto del territorio e della popolazione, che dunque resterà ostaggio delle bande criminali di predoni, di estremisti e di autorità senza scrupoli.

Torna su