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Libia, l’Ue complice della Libia: le parole non dette sulle gravi accuse dell’Onu

“Il sostegno dato dall‘UE alla guardia costiera libica in termini di pull-back, respingimenti e intercettazioni ha aiutato e favorito violazioni dei diritti umani”.
L’Europa é complice della Libia.
A dirlo è l’Onu, la notizia è di quelle  dirompenti. O almeno dovrebbe esserlo,

Eppure sui media mainstream italiani poco o nulla.
Il rapporto della missione delle Nazioni Unite in Libia accusa l’Unione Europea di favorire i crimini contro l’umanità nel paese,  ma l’impatto dei rilievi in Italia si è rivelato semplicemente ridicolo.
L’accertamento dei fatti da parte degli inviati Onu ha permesso di stabilire che le forze di sicurezza libiche e i gruppi delle milizie armate hanno commesso una vasta gamma di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Nel documento è citata specificamente la guardia costiera libica “sostenuta dall’UE nel corso degli anni” – e dall’Italia aggiungiamo noi –  e si evidenzia come “non si possa respingere le persone in aree che non sono sicure”  e che “le acque libiche non sono sicure per i migranti”.
La missione indipendente ha espresso profonda preoccupazione per il deterioramento della situazione dei diritti umani nel paese e ha affermato nella relazione finale, da cui emerge l’indicazione delle responsabilità europee, che è necessaria un’azione urgente per porvi rimedio.
L’indagine, che delinea un ampio sforzo da parte delle autorità libiche per reprimere il dissenso della società civile e i migranti, ha documentato numerosi casi di detenzione arbitraria, omicidio, stupro, schiavitù, uccisioni extragiudiziali e sparizioni forzate, e ha rilevato che quasi tutti i sopravvissuti intervistati si sono astenuti dal presentare denunce ufficiali per paura di rappresaglie.
In particolare ci sono prove schiaccianti che la maggior parte dei profughi vittime delle repressioni sia stata sistematicamente torturata. Inoltre il rapporto segnala “ragionevoli motivi” per credere che la schiavitù sessuale, un crimine contro l’umanità, sia stata perpetrata da parte di esponenti delle forze di sicurezza contro le donne migranti.
”Il governo libico è obbligato a indagare sulle accuse di violazioni dei diritti umani e dei crimini commessi nelle aree sotto il suo controllo, in conformità con gli standard internazionali. C’è un urgente bisogno di stabilire le responsabilità di quanto avvenuto e avviene tuttora per porre fine a questa impunità pervasiva” sostiene Mohamed Auajjar, presidente della missione chiedendo alle autorità libiche di sviluppare “senza indugio” un piano d’azione per i diritti umani e una tabella di marcia completa al fine di garantire giustizia alle vittime”.
E la stilettata finale non risparmia nessuno.
”Riteniamo tutti responsabili delle violazioni dei diritti umani accertati” l’accusa senza filtri di Auajjar.
Ma le pratiche e i modelli delle gravi violazioni denunciate dall’Onu oggi, e ancora prima dalle organizzazioni per i diritti umani tra cui Medici senza frontiere, continuano senza sosta e ci sono poche evidenze che si vogliano  assumere  misure significative per invertire questa rotta fitta di orrori e violenze e portare aiuto alle vittime.
Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha istituito la commissione di monitoraggio in Libia nel giugno 2020 per indagare sugli abusi messi in atto dall’inizio del 2016, al fine di prevenire un ulteriore deterioramento della situazione dei diritti umani e garantire l’accertamento delle responsabilità. Da allora, t’organismo Onu  ha intrapreso 13 missioni, condotto più di 400 interviste e raccolto più di 2.800 informazioni, tra cui immagini fotografiche e audiovisive.
Il mandato della commissione è giunto alla conclusione proprio nel momento in cui la situazione si stava ulteriormente aggravando, con la sospensione di fatto dell’istituzione di autorità statali parallele, riforme legislative, esecutive e del settore della sicurezza necessarie per sostenere lo stato di diritto e unificare il paese.
Le indagini al riguardo hanno rilevato anche che le autorità libiche, in particolare i settori della sicurezza, hanno limitato i diritti di riunione, associazione, di libertà di espressione e d religiosa  “per garantire l’obbedienza, consolidare valori e norme egoistici e punire le critiche contro le autorità e la loro leadership” è scritto nero su bianco nel rapporto.
Gli attacchi contro difensori dei diritti umani, attivisti per i diritti delle donne, giornalisti e associazioni della società civile hanno determinato un’atmosfera di paura nel Paese che ha creato uno stato di autocensura e costretto chi era finito nel mirino delle autorità a nascondersi o a scegliere l’esilio all’estero  proprio nel momento in cui era più necessario che mai “favorire un’atmosfera favorevole a elezioni libere ed eque affinché i libici potessero esercitare il loro diritto al voto nelle migliori condizioni possibili” sottolinea il rapporto che inoltre ha evidenziato come il traffico dei migranti, la schiavitù, il lavoro forzato, la detenzione, l’estorsione ai danni dei profughi abbiano generato entrate significative “per individui, gruppi e istituzioni statali che hanno incentivato la continuazione delle violazioni”.
Nel contesto della detenzione, le autorità statali e le entità affiliate – tra cui l’apparato di deterrenza della Libia per combattere la criminalità organizzata e il terrorismo (DACOT), le forze armate arabe libiche (LAAF), l’Agenzia per la sicurezza interna (ISA) e l’apparato di sostegno alla stabilità (SSA) e la loro leadership – sono stati ripetutamente coinvolti nelle violazioni nei confronti di detenuti, sottoposti sistematicamente a torture e isolamento, ai quali è stato negato un accesso adeguato all’acqua, al cibo, ai servizi igienici e sanitari, alla luce, all’esercizio fisico, alle cure mediche, alla consulenza legale e alla comunicazione con le famiglie.
Il rapporto ha anche denunciato che le donne  in Libia sono ampiamente discriminate e ha concluso che la loro condizione si è notevolmente deteriorata negli ultimi tre anni.
La missione vista la gravità di quanto accettato ha invitato il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a istituire un meccanismo di indagine internazionale indipendente e dotato di risorse sufficienti per continuare il monitoraggio nel Paese e ha esortato l’Ufficio dell’Alto Commissario  Onu per i diritti umani a predisporre un organismo distinto e autonomo con un mandato ad hoc per rilevare e riferire sulle gravi violazioni dei diritti umani.
Insomma, continuare a tenere alta l’attenzione sulla Libia e denunciare le ipocrisie delle cosiddette “democrazie compiute”.
Chi scrive, e questa testata, come ha sempre fatto, continuerà a raccontare ciò che avviene nel paese senza mai dimenticare i tanti che cercavano un destino migliore dagli orrori da cui fuggivano e che in Libia hanno perso prima la dignità, poi la speranza e infine la vita.

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