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Le colpe di chi nello Stato è complice delle tragedie dell’immigrazione

Dopo il 3 ottobre del 2013, uno dei giorni più bui nella storia delle migrazioni in cui morirono 366 persone, per lo più eritrei annegati nel naufragio di un barcone al largo di Lampedusa, fu un susseguirsi di “mai più.
In risposta a quella tragedia, e con alle spalle  l’anno con il numero più alto di morti in mare mai registrato prima, il 31 ottobre l’Italia lanciava “Mare Nostrum”.
Nel 2014, dopo 12 mesi di sforzi senza aiuti europei, l’operazione di ricerca e di salvataggio italiana veniva sospesa.
Da quel momento tutti i governi che si sono succeduti, tutti, sono colpevoli per quelle morti.
Uomini, donne, bambini… Ognuno con un nome, un volto. Con sogni e desideri, debolezze e paure. Accomunati da un solo elemento, la tragedia che si consuma giorno dopo giorno a largo delle nostre coste i cui fondali sono disseminati di barconi affondati con il loro carico di disperazione ma anche  per il peso della responsabilità di chi su quelle carrette del mare ce li ha spinti quei disperati, perché altre vie di fuga dalle crisi umanitarie, dalle guerre, dalla povertà assoluta che vessano milioni di persone, non ce ne sono.
Certo è più facile piangere lacrime di coccodrillo che accogliere le migliaia, le decine di migliaia, di profughi che arrivano sulle nostre spiagge, nei nostri porti (quando li fanno attraccare…) alla ricerca di un futuro in Europa.
Quell’Europa che proprio non riesce a superare egoismi e divisioni.
È giusto, doveroso, manifestare cordoglio per le vittime dell’ultimo naufragio costato la vita a 130 persone come stanno facendo esponenti politici di tutto l’arco costituzionale italiano ed europeo. Ma, prima di ogni cosa, serve un cambio di passo.
Non una svolta ‘buonista’, come qualcuno teme e aborra (scrivendolo in prima pagina su fogliacci che nulla hanno a che fare con l’informazione).
No, perché in questa storia di buoni non ce ne sono.
Quel che serve è una vera e concreta assunzione di responsabilità europea perché  da sola l’Italia non ce la può fare.
Nonostante l’impegno di alcuni a Bruxelles, pochi a dire il vero, in tanti continuano a osteggiare qualsiasi iniziativa comune che possa portare alla condivisione del carico di disperazione che si riversa sulle nostre terre.
Ogni volta che arriva un barcone in Italia, che riesca ad approdare o che affondi in mare lasciando l’incombenza del recupero dei naufraghi, o dei loro corpi senza vita, ai pochi volontari rimasti a pattugliare il Mediterraneo c’è chi storce il naso e grida allo scandalo dei rifugiati accolti indiscriminatamente nel nostro Paese.
Visti da molti come ‘pesi morti’ che lo Stato si ‘accolla’ a discapito dei tanti italiani in difficoltà, non vengono considerati per quello che sono: dei disperati che rischiano la vita affrontando lunghi e pericolosi tragitti su imbarcazioni fatiscenti e pericolose, sempre stracolme, perché non hanno alternative.
La strage che oggi tutti commentiamo non solo era prevedibile ma è stata favorita dal mancato soccorso nonostante le ripetute richieste di aiuto per due lunghi giorni. Questo come altri crimini, perché non si può che definirli tali, sono conseguenza  di una serie di politiche e leggi per frenare, ancor prima che i flussi migratori, l’azione delle ong che salvano vite in mare.
Una vera e propria guerra a colpi di inchieste contro le poche organizzazioni che ancora si ostinano a voler portare aiuto a quei migranti che sfidano i viaggi della morte.
Una guerra mai dichiarata apertamente ma voluta anche dalle istituzioni dello Stato complici e responsabili di quelle vite che si spengono nelle acque gelide e profonde del Mediterraneo.

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