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La cura di Dio, il silenzio degli uomini

Un pomeriggio di poche settimane fa Corinne, assistente sociale di Consolation East Africa, un’associazione che è nata da membri e amici di Koinonia e che si occupa della moderna tratta degli schiavi, riceve una telefonata da una stazione di Polizia situata in una zona che qui chiamano “low density, high income” cioè a bassa densità di popolazione – ville con parco abitate da gente con un reddito molto alto – in contrasto con le baraccopoli che sono “high density, low income”. “C’è un caso che richiede il vostro intervento” chiede l’ufficiale di polizia.

Corinne si trova davanti ad una sedicenne in lacrime, e il rude interrogatorio della polizia non ha contribuito certo a calmarla. E’ terrorizzata, ma riesce a raccontare che proviene da una zona rurale e qualche mese fa è stata portata a Nairobi con promessa di lavoro. Da quando è arrivata fa non le è mai stato permesso di uscire dai confine della villa, sorvegliata 24/7 da una di quelle compagnie di sicurezza che assumono poveracci che vivono nelle baraccopoli. Per la ragazzina solo lavoro non-stop, al servizio del padrone di casa, della moglie, dei quattro figli adolescenti i quali fra di loro parlano una lingua che lei non conosce. Cucinare per tutti e per i frequenti ospiti a tutte le ore del giorno, pulire la casa, tutti i lavori domestici, curare il giardino. Maltrattata, pochissimo cibo. Brutalmente malmenata la mattina in cui aveva febbre alta ed ha detto di non poter lavorare. Non ce la faceva più, dice che se non fosse riuscita a scappare si sarebbe suicidata.

Due poliziotti vanno cercare la casa, trovano il padrone e lo portano in stazione di polizia. E’ un militare, o meglio un signore della guerra, di altissimo rango di un paese confinante col Kenya. E’ furente, Capisce subito che Corinne è il suo vero nemico, la minaccia agitandole il pugno in faccia, sbraita contro i poliziotti per l’offesa, abusa verbalmente la ragazzina in un modo che fa capire che l’ha abusata anche fisicamente, e quando vede che nessuno sembra essere molto impressionato dalle sue grida, estrae il telefonino e fa vedere a tutti che chiama un alto funzionario keniano, uno il cui nome appare almeno una volta alla settimana sulla stampa. In conclusione il militare viene – apparentemente – detenuto in stazione di polizia “in attesa di accertamenti”, e Corinne si prende in carico la ragazzina che viene portata in una casa sicura, sotto la tutela di Koinonia. Fine della storia cosi come la conosciamo noi.

Negli stessi giorni un tardo pomeriggio a Kivuli mi chiama Abdelkadir, il clinical officer (non esiste un titolo esattamente equivalente in italiano) del dispensario, militare in pensione e musulmano. Soprattutto brava persona. Sulla panchina fuori dal dispensario c’è Mary. La conosco di vista, ricordo di aver detto all’infermiera un paio d’anni fa di curarle gratuitamente la piaga che aveva sulla gamba, perché non poteva pagare neanche i 100 scellini, meno di un euro, che chiediamo per la visita. Mary avrà una quarantina d’anni, parla poco, vive isolata, faceva la lavandaia ma non ha più la forza per lavorare. Abdelkadir l’ha conosciuta da poco ma mi dice che la piaga si è riaperta, che la sta curando ma il vero problema è che Mary non mangia, e il corpo nonostante le cure non ha la forza di ricostruire i tessuti. “Se non mangia deperisce fino a morire, dobbiamo aiutarla”. Cosi dopo la medicazione le prepariamo subito un pacco di cibo nutriente e avvertiamo la parrocchia. Alcuni volontari si attivano e le portano a casa pasti cucinati e puliscono la minuscola stanza. Ma non serve. Dopo un paio di settimane i volontari della parrocchia l’hanno trovata morta, con i piatti di cibo cucinato che le avevano portato i giorni precedenti nascosti sotto il letto. Mary, sola, si è lasciata morire di fame.

Due episodi difficili che ho voluto raccontare superando la mia riluttanza a dire cose che potrebbero essere interpretate come denigrazione delle genti d’Africa, o miserie finalizzate a raccolta fondi.
Ma c’è di peggio. Negli ultimi mesi sono avvenuti episodi inquietanti di rapimenti e sparizioni di bambini dai 10 ai 14 anni, in maggioranza maschi. Avevo pensato di raccontarli anche con i dettagli agghiaccianti riportati dalla stampa, e con le paure espresse dai bambini di Koinonia. Non ce la faccio, ed ho tenuto queste storie nella memoria del computer diversi giorni prima di decedermi anche solo ad accennarle. Quei bambini rapiti sono stati trafficati per lavoro, per prostituzione, per espianto di organi, per sacrifici umani? Tutto è possibile. Un candidato alla elezioni ha ammesso ad un giornalista che nella confusione di un comizio è stato avvicinato da un uomo che gli ha detto che sarebbe bastato sacrificare un bambino per vincerle. Due persone sono state arrestate per due casi differenti. A Nairobi un ragazzo poco più che ventenne – conosciuto da alcuni dei bambini che abbiamo riscattato dalla strada quest’anno – ha confessato di averne uccisi almeno 13 per berne il sangue. Ma sarà vero quello che afferma la polizia? E sarà tutto? I colpevoli sono patologie estreme di una società malata o esiste una rete criminale internazionale che alimenta i rapimenti? Le statistiche sono approssimative, ma i bambini scomparsi e non ritrovati a Nairobi dall’inizio di quest’anno sono ben oltre il centinaio. La notizia dell’arresto dei due colpevoli sembra abbia offerto alla stampa l’occasione per non indagare più sul fenomeno. E’ calato il silenzio.

“Quando contemplo i cieli, opera delle tue mani, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cos’è l’uomo perché ti ricordi di lui? Che cos’è il figlio d’uomo, ché di lui ti prendi cura?” Salmi 8,4-5

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