Il 25 Maggio il Generale Yasser al-Atta, membro del Consiglio Sovrano guidato dai militari del Sudan, ha affermato che il paese è ora pronto a firmare una serie di accordi commerciali e di cooperazione militare con la Russia.
Tra di essi l’istituzione di un “centro logistico di supporto navale” russo sul Mar Rosso, una vera e propria circonlocuzione per descrivere l’avvio dei lavori per una base navale che dovrà sorgere a Port Sudan.
La base è al centro delle discussioni sin dal 2017, quando l’allora Presidente sudanese Omar al-Bashir ratificò il testo dell’accordo; caldeggiata nel Febbraio 2023 dalla giunta militare, che ne approvò il testo, fu invece messa nel “cassetto dei sogni” a seguito della sospensione dell’accordo.
L’intesa stabiliva allora una base logistica per la Marina militare russa e in cambio di tale concessione, Mosca si impegnava a fornire a Khartoum armi e attrezzature per le Sudan Armed Forces (SAF), volti al rafforzamento della cooperazione economica e militare tra i due Paesi.
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C’è stata grande incertezza nei rapporti tra i due paesi. I legami di Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemedti, comandante delle RSF (ricordiamo che nel 2022, alla vigilia dell’invasione russa dell’Ucraina e un anno prima dello scoppio della guerra in Sudan, Hemedti fu ricevuto a Mosca come controparte strategica) con la Russia avevano allontanato al Burhan dal partner.
I militari, che avevano allora sospeso gli accordi, più volte avevano sottolineato come la ratifica e dunque l’entrata in vigore di un accordo tra le parti sarebbero potute avvenire soltanto dopo la formazione di un governo civile e di un Parlamento democraticamente eletto.
Ma i dubbi di allora si sono concretizzati. Le scarse possibilità di un processo di transizione democratica, almeno nel breve periodo, e la possibilità che i militari potessero procedere in completa autonomia in tal senso, a prescindere dagli sviluppi interni, facevano già pensare alla possibilità che ciò sarebbe avvenuto nei mesi successivi.
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Ad Aprile di quest’anno la visita dell’inviato presidenziale russo Mikhail Bogdanov a Port Sudan, complice anche la situazione sul campo che vede le SAF in grande difficoltà su più fronti, quella diffidenza si è ben presto trasformata in apertura alla collaborazione.
In un’intervista con Alhadath TV, il tenente generale al-Atta ha confermato le discussioni, affermando: “La Russia ha proposto una cooperazione militare attraverso un centro di supporto logistico, non una base militare completa, in cambio di forniture urgenti di armi e munizioni“.
Aggiungendo: “Abbiamo accettato, ma abbiamo suggerito di espandere la cooperazione per includere aspetti economici come le iniziative agricole, le partnership minerarie e lo sviluppo portuale. La Russia ha accettato questo punto di vista più ampio”.
Che i tempi si stringano è cosa ovvia, ma il Sudan e la Russia sembrano accelerare fortemente in tal senso. Una delegazione militare dovrebbe partire a breve per Mosca, seguita da una delegazione ministeriale guidata dal vicepresidente del Consiglio sovrano, Malik Agar. Alla conclusione dei colloqui, il presidente del Consiglio sovrano finalizzerà un accordo globale.
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Ma se ciò avviene alla luce del sole, alcuni limiti alla concretizzazione dell’accordo potrebbero non essere ben visibili. Le implicazioni che la realizzazione della base avrebbe nei rapporti tra la giunta militare e i paesi del blocco occidentale, Usa in primis, potrebbero essere molto gravi.
I funzionari militari sudanesi a Port Sudan hanno espresso più volte delusione per l’incapacità dei paesi occidentali di frenare il sostegno esterno alle Forze di Supporto Rapido.
Ciò è stato fatto in più sedi e in più occasioni: le astensioni del Sudan alle votazioni, in sede di Assemblea Generale delle Nazioni Unite, sulle risoluzioni di condanna dell’operato russo in Ucraina; il netto rifiuto ad accordi con l’Arabia Saudita, che aveva esortato i leader sudanesi ad abbandonare l’accordo sulla base navale russa, offrendo come controparte ingenti investimenti nel paese; la ricalibrazione dei rapporti bilaterali con altri paesi.
Il perfezionamento dell’accordo, all’interno dello scenario attuale (soprattutto alla luce di cosa accade nel paese e nel Sahel) sarebbe per Mosca l’estensione del raggio di azione della strategia adottata nel Mediterraneo orientale. Ciò consentirebbe alla Russia l’accesso al Mar Rosso, zona caldissima per motivi economici e strategici (Houthi, reti internet, commercio mondiale, gas ecc ecc), la presenza nel Golfo di Aden e nello stretto di Bab al Mandeb, la possibilità (cosa affatto secondaria) di mettere in ombra il ruolo di Djibouti nel Corno d’Africa (ove sono presenti 8 basi militari straniere, ma nel quale i russi non sono mai riusciti a mettere piede).