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Senegal, Diouf: “L’idea di tornare a casa è abbastanza comune tra i miei coetanei”

Nato e cresciuto in Senegal, Djimba è in Italia dal 2006.

Laureato in Lingue Moderne per la Comunicazione e la Cooperazione internazionale all’Università degli Studi di Bergamo, ha prima lavorato come stagistain un’agenzia preposta al Consolato senegalese di Milano per poi partecipare al servizio civile con CESVI. Ormai da quattro anni lavora con CBM Italia, ONG impegnata nella prevenzione e cura della cecità e della disabilità evitabile.

Raccontami del tuo legame con il Senegal

Sono nato in Senegal e ci son rimasto fino ai 14 anni per poi raggiungere i miei genitori in Italia.

Dal mio arrivo, nel 2006, siamo rientrati in Senegal per le vacanze più volte fino a quando, qualche anno fa, mamma e papà han deciso di ristabilirsi definitivamente nel Paese. Da allora, a cadenza quasi annuale, cerco di tornare e, con la possibilità di lavorare in smart working, questo è stato molto più frequente.

Come loro, anche io guardo al Senegal con un desiderio di ritorno già dalle scuole superiori. La formazione nella scuola turistica mi ha permesso di pensare a un percorso turistico tra Italia e Senegal.

Un’idea alimentata ulteriormente con la partecipazione a un Forum organizzato dal Consolato senegalese sullo sviluppo economico. In questa occasione ho partecipato come mediatore fra imprese italiane e imprenditori che vogliono investire in Senegal. Dai confronti e dagli scambi che si son sviluppati, ho deciso da una parte di investire sulla mia idea di tour operator, aggiungendo un servizio di accompagnamento a imprenditori e aziende italiane interessati a investire in Senegal ma con poche conoscenze del mercato e della lingua nazionale.

Hai già preso contatti anche lì?

L’obiettivo a lungo termine è il ritorno definitivo lì. Non saprei quantificare tra quanti anni.

Cerco sempre di avere delle scadenze quinquennali e capire man mano obiettivi e risultati. Adesso sto lavorando, risparmiando e collaboro con un’azienda immobiliare conosciuta al Forum a Milano. Stiamo ragionando insieme per unire gli interessi e fare anche una mappatura delle esigenze della comunità senegalese in Italia, che in gran numero è interessata a costruire una casa in Senegal. In questi passaggi vogliamo coinvolgere anche il consolato senegalese e trovare persone fidate e competenti tanto in Italia quanto in Senegal.

Se tutto va bene, forse da qui al 2030, avrò messo in piedi qualcosa in Senegal. È questo l’obiettivo: tornare a vivere giù. La mia famiglia e i miei legami sono lì. Il richiamo è molto forte. Sarà il mio caso ma è abbastanza condiviso. L’idea di tornare a casa la sento abbastanza comune tra i miei coetanei.

Nel quadro di relazioni tra la diaspora, gli investimenti e le istituzioni senegalesi, quali punti di forza e quali difficoltà secondo te?

Qualcosa è cambiato da parte delle istituzioni nel corso degli ultimi anni. Ci sono maggiori iniziative e più formazione, ma si potrebbe fare molto di più, soprattutto dal lato della comunicazione con informazioni che non è così scontato trovare. Difficoltà anche per l’accesso alle risorse e per il disbrigo della documentazione in un mondo tanto digitalizzato.

Una critica che faccio sempre ai nostri governi è che non mettono mai avanti le competenze, ritrovando persone prive di conoscenze, per esempio linguistiche, in scenari spesso parecchio corrotti.

Noi giovani senegalesi in Italia, e non solo, abbiamo presentato diverse proposte e iniziative per far emergere il nostro punto di vista. Noi cresciuti tra Senegal e Italia, conosciamo entrambi i contesti sociali, politici e culturali. Noi siamo bilingue, abbiamo studiato e ottenuto delle qualifiche. Abbiamo qualcosa da dire e credo che la nostra voce debba essere ascoltata.

L’appartenenza dei giovani al mondo dell’associazionismo è cambiata rispetto al passato?

Le prime generazioni di senegalesi arrivate in Italia cercano di coinvolgere noi giovani nelle loro attività. Mentre prima ci si riuniva attorno a un’associazione piuttosto che all’altra a seconda del luogo di provenienza, degli interessi in comune o della comunità religiosa, oggi la principale differenza che noto è che, a livello generazionale, siamo la prima generazione che ha compiuto un ciclo di studi avanzati in Italia, avvantaggiati anche dal fatto che non abbiamo dovuto affrontare una serie di obblighi e doveri come le nostre famiglie. In più, viviamo in una realtà molto più digitalizzata e interconnessa.

E in qualità di studenti, con altri giovani senegalesi, abbiamo fondato anni fa MODED, un movimento associativo impegnato a raggruppare tutti gli studenti senegalesi d’Italia e della diaspora con una dinamica parecchio partecipativa. Altra realtà di giovani senegalesi degna di nota è 1PAV (1 passo alla volta), associazione di cui non faccio parte ma che seguo con molto interesse.

 

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