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Senegal: “Noi, giovani della diaspora africana, possiamo abbattere barriere mentali e stereotipi”

Nata e cresciuta in Senegal, Mariame è in Italia dal 2009.

Laureata in Comunicazione e Mediazione interculturale, oggi è laureanda in Cooperazione Internazionale allo sviluppo e frequenta un Master in Digital Communication Specialist con la Cattolica di Milano. Ha vissuto prima in Francia e negli Stati uniti per poi tornare a scrivere la sua tesi di laurea magistrale con un occhio alle relazioni tra il Senegal e l’Italia, indagando sul ruolo della diaspora come alternativa agli aiuti internazionali.

 Entriamo nel vivo dell’intervista con la tua tesi di laurea.

Da dove nasce la domanda di ricerca?

Dalla volontà di capire il perché, nonostante ci sono stati tantissimi aiuti nel corso degli anni in Africa, oggi il racconto è sempre quello di un continente povero. Abbraccio autori che criticano l’assistenzialismo dell’Occidente e penso ai tanti operatori della cooperazione internazionale che vivono e guadagnano in nome di “un continente povero”. Negli anni ho preso parte anche a diverse iniziative, tra Italia e Francia, che spingono la diaspora a investire, approfondendo il tema delle rimesse e scoprendo che queste superano di gran lunga gli aiuti internazionali.

Faccio parte della diaspora anche io e posso essere l’alternativa. Il mio legame con il Senegal è cambiato negli anni, riavvicinandomi in un viaggio di vacanza dopo anni in Italia, nel 2016, per visitare mia nonna. Da quel momento ho ripreso tanti legami di amicizia e molti contatti, scoprendo una realtà così interessante da dirti che oggi desidero tornare in Senegal, investire e creare lì una mia attività.

Ho quindi bisogno di conoscere questi meccanismi, di capirne i punti critici e sapere dove poter fare la differenza. Rispetto al Senegal, gli investimenti sono oggi tantissimi, soprattutto europei ma anche della diaspora. E allora, come possiamo concretizzare il nostro know-how? Come possiamo fare la differenza? Se c’è gente che lo fa, anche noi giovani della diaspora possiamo. Dobbiamo abbattere tutte queste barriere mentali, tutti questi stereotipi e, come dice il senegalese Karunga Camara, dobbiamo “Osare il ritorno”.

Il desiderio di tornare è accompagnato da un’idea di investimento di più lungo periodo?

Sì, un progetto legato alle mie passioni. Mi piace molto viaggiare e mi definisco cittadina del mondo. Nel corso degli anni, tra diversi lavoretti ed esperienze di formazione in Europa e negli Stati Uniti, mi son detta “Voglio conoscere il mio continente, partendo dal mio Paese d’origine”.

Da queste considerazioni, ho iniziato nel corso delle ultime due estati a prendermi del tempo per rientrare in Senegal, andare oltre Dakar, indagare sulle opportunità di business, incontrare nuove persone, approfondire tratti della società e della cultura del Paese. Mi son quindi mossa come posso, creando contenuti da divulgare, educando alla cultura del viaggio e offrendo approfondimenti sul Senegal. Sono i primi passi per un investimento a lungo termine: dai miei canali social a un blog e poi a una piattaforma con me come Travel Designer & Digital Communication Consultant per senegalesi, italiani e in generale per chiunque voglia scoprire il paese della Teranga o essere accompagnato nei loro progetti imprenditoriali in Senegal. Ho deciso di investire sul digitale, unire interessi e passioni per promuovere uno storytelling diverso del continente africano. Voglio essere una Ambassador per il mio Paese, con racconti meno stereotipati e molto più onesti.

Esiste un punto di incontro tra il desiderio dei senegalesi di investire, l’Italia e il Senegal?

È un quesito che mi pongo anch’io!

Ci sono delle iniziative ma sono più numerose in Senegal. Ci sono progetti pensati per coloro che dal Senegal stesso vogliono avviare piccole imprese, ma esistono anche percorsi di formazione e di accompagnamento per la diaspora. Parecchie sono le difficoltà nell’accesso ai fondi e nella divulgazione di informazioni specifiche.

In Italia, oltre al successo del progetto PLASEPRI/PLASPED, ho saputo di qualche concessione di finanziamenti per supportare le donne. Per il resto c’è molto poco o almeno io non ne sono a conoscenza. Potrebbero esserci iniziative interessanti, ma a mio parere non sono comunicate abbastanza bene o non sono diffuse nei giusti canali. Altre volte ci sono iniziative ed eventi di mera comparsa. Credo che un punto centrale in tutto questo, sia in Senegal che in Italia, sia la mancanza di un coordinamento efficace tra le associazioni della diaspora e la rete istituzionale dei due Paesi.

Cosa è cambiato in termini di investimenti e ritorno volontario tra le generazioni di senegalesi in Italia?

I senegalesi sono un popolo di investitori. Anche le prime migrazioni senegalesi in Italia erano accompagnate da investimenti e rimesse in Senegal, ma questi erano per lo più un mezzo di sostenimento per la famiglia o, altre volte, per la creazione di piccole imprese.

In passato, in breve, l’obiettivo principale era sempre e comunque il mantenimento della famiglia e di coloro che, insieme, avevano investito in te e nel tuo viaggio.

Oggi, invece, percepisco il bisogno e la voglia di costruire qualcosa di concreto, qualcosa di grande che tocchi la famiglia ma vada anche oltre con un impatto su larga scala.

Non sempre è semplice con un Paese, il Senegal, che altrettanto spesso sottovaluta la nostra formazione e i nostri titoli acquisiti all’estero e non sempre si comprende come in Italia i senegalesi non siano solo lavoratori. Ci sono anche studenti, ricercatori e studiosi.

Del resto, la nostra generazione è molto più agevolata e ha meno vincoli familiari rispetto ai nostri genitori. Loro ci hanno permesso di crescere in Europa, di viaggiare e studiare.

Adesso è il momento di dare una prova concreta di quanto fatto fino adesso.

 

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