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Il colpo di stato in Gabon, la democrazia sotto accusa

Quello in Gabon è solo l’ultimo, esattamente l’ottavo dal 2020, di una serie di putsch che hanno interessato l’Africa centro-occidentale negli ultimi tempi. In questo, così come negli altri paesi colpiti dal fenomeno, il messaggio dei militari è stato quello di voler liberare la nazione da una governance corrotta e illiberale, incapace di risolvere i problemi sociali e di portare prosperità a popolazioni falcidiate dalla miseria. Certo, la famiglia del Presidente deposto, Ali Bongo Ondimba, ha governato, sì, il Gabon in virtù di successi elettorali, ma lo ha fatto ininterrottamente per circa 56 anni, sin da quando il capostipite, Omar Bongo, prese il potere nel 1967.

Le elezioni che a fine agosto hanno visto vittorioso Ali Bongo, proprio pochi giorni prima del golpe, sono state molto contestate non soltanto dai golpisti ma anche dall’opposizione, che non ha esitato a parlare di brogli. In effetti, diversi sono stati i segnali di una mancanza di trasparenza nelle operazioni elettorali, come l’oscuramento delle emittenti francesi, la sospensione della connessione a internet e l’imposizione del coprifuoco da parte delle autorità poco prima della chiusura dei seggi.

Eppure, al di là dei sospetti e delle accuse di violazione delle regole democratiche, quel che è certo è che i colpi di stato in Mali, Guinea, Burkina Faso, Ciad, Niger e ora Gabon hanno inferto un duro colpo ai processi democratici che molto faticosamente erano stati messi in moto in quest’area del Sahel. Nella guida di questi paesi, alla deposizione armata dei presidenti, almeno formalmente eletti attraverso la vittoria alle urne, ha fatto seguito la nomina di alti dirigenti militari, come il generale Brice Clotaire Oligui Nguema in Gabon. Costoro promettono tutti benessere e democrazia ed hanno anche un certo seguito presso le popolazioni. Invero, questi rivesciamenti manu militari di governi africani, almeno apparentemente democratici, sono spesso percepiti positivamente e finanche supportati dalle popolazione civile, stanca di democrazie di facciata e sopratutto infastidite dall’influenza occidentale nelle politiche interne dei loro paesi. Le recriminazioni verso l’Occidente sono un leitmotiv nella communis opinio africana, dove sembra che la causa di tutti i mali derivi in ultima analisi dal Nord del mondo.

L’elemento che accomuna questi paesi è quello di essere delle ex colonie francesi, ciò che farebbe emergere anche il fallimento della politica estera francese, rea di essersi presentata agli occhi di queste popolazioni come un retaggio della dominazione coloniale in quelle nazioni. C’è da sperare, però, che la cura non sia peggiore del male poiché è difficile concepire che la democrazia si raggiunga attraverso colpi di stato piuttosto che con libere elezioni, le stesse che, almeno formalmente, avevano portato al potere alcuni di quei leader politici oggi spodestati. E c’è da sperare che quest’ondata di ribellione popolare e militare non replichi lo stesso fallimento delle Primavere arabe, che hanno portato ovunque devastazione, vedi la Siria, dissesto economico, vedi la Tunisia, e fondamentalismi, vedi la nascita dell’ISIS, piuttosto che quella democrazia tanto agognata.

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