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Gli Orixà sono sempre in cammino e l’Africa fiorirà finalmente in Italia

Macumba, VooDoo, sesso sfrenato e violenza. Il cinema e la televisione ci hanno abituato ad avere una immagine un po’ distorta e totalmente distante dalla realtà in merito ai culti religiosi importati dall’Africa verso il nuovo mondo durante la tratta degli schiavi. Mi sono sempre fatto domande a riguardo e dopo tanti anni ho deciso di approfondire l’argomento per dare delle risposte concrete a tutti i miei dubbi. Ho contattato Marianna Soffiantino, da 20 anni iniziata nel culto del Candomblè, che in questa lettera dettagliata ci ha permesso di conoscere e diffondere importanti e interessanti informazioni di tipo culturale, storico e religioso. A seguire il testo della lettera di Marianna Soffiantino che ringraziamo infinitamente:

“Niente sesso, niente droga e non facciamo sacrifici umani”, comincio sempre così, tanto per chiarire. Quando si parla di culti religiosi afrodiscendenti la fantasia si accende, stimolata da informazioni e immagini scadenti provenienti dai vecchi film, libri mal scritti e fumetti banali. Il Candomblè è una religione antica che affonda le proprie radici nel continente africano in una zona piuttosto vasta che comprende Nigeria, Benin, Angola, Congo e Togo; sono stati individuati diversi “cicli” di deportazione:

1) Ciclo della Guinea a partire dalla seconda metà del XVI secolo.
2) Ciclo dell’Angola e del Congo per tutto il XVII secolo.
3) Ciclo della Costa di San Giorgio di Mina (Costa degli schiavi, che comprende Ghana, Togo, Benin, Nigeria fino a Lagos fino alla fine del XVIII secolo).
4) Ciclo della Baia di Benin tra il 1700 e il 1850.

Tra il 1500 e il 1800 si stima che salparono dalle coste africane circa 6 milioni di schiavi (c’è chi pensa che fossero molti di più), appartenenti a diverse etnie tra le quali Male, Bantu, Yorubà, Fant-Axanti, Ewe, Fon e poi ancora numerosi piccoli gruppi Kroumans, Agni, Zema e Timini. Parlavano lingue, avevano usanze e regole sociali differenti e ovviamente adoravano altrettante divinità gli Orixas; il numero dei sopravvissuti al viaggio è incalcolabile, così come il numero dei morti di stenti, malattie e maltrattamenti. I registri ufficiali sono incompleti, ancora oggi cercando “identità degli schiavi” su Wikipedia si legge: Questa sezione sull’argomento storia è ancora vuota. Gli schiavi torturati, umiliati, affamati portavano con sè un carico prezioso e una volta sistemati, mischiati e ridistribuiti nelle fazendas piantarono i semi della propria conoscenza: i cardini fondamentali di una religione nuova, una filosofia rivoluzionaria, una mitologia antica di 5000 anni, canti, danze, sistemi di divinazione, una spiritualità finalmente umana e poi ancora un infinito numero di rituali e gli awo, i segreti. In Brasile i diversi sistemi religiosi attecchirono e come unica forma di resistenza alla violenza, si mischiarono tra loro. Alcune sezioni dei culti vennero dimenticati, modificati, adattati alla vita nel nuovo continente, fuse e sincretizzate con le credenze cattoliche. Il cattolicesimo imposto agli schiavi con la forza divenne un ottimo “sipario” per coprire il culto ancestrale abbinando e sovrapponendo ad ogni Santo un orixà. Gli accostamenti avvenivano generalmente per affinità e accostamento di simboli, Santa Barbara martirizzata col fuoco che incenerisce i nemici con un fulmine diventa una perfetta Iansa, orixà guerriera padrona del fulmine e del fuoco. In questo modo Ogun, orixà della guerra e del ferro diventa San Giorgio con l’armatura che uccide il drago e Yemanja la dea madre del mare azzurro diventa la Madonna. Gli schiavi si riuniscono e danzano in cerchio di nascosto, usano prodotti locali per cucinare le offerte, adottano l’uso di conchiglie locali per predire ciò che sarà, tramandano i racconti nella propria lingua, le donne vengono coperte da capo a piedi di crinoline, ma sotto, a contatto col corpo portano le collane semplici di piccole perline colorate con le quali sono state iniziate. Gli oppressi resistono, si adattano e fruttificano: nel sangue e nella disperazione nasce il Candomblè. Il Candomblè è una religione che si aggiorna continuamente e nel corso dei decenni si è arricchito di nuove-antiche conoscenze. Viene sempre più recuperata la lingua originaria a scapito del portoghese, vengono aggiornati gli ingredienti e i materiali spesso recuperati e importati direttamente dall’Africa, i Santi cattolici sbiadiscono come un trucco di magia che non serve più. L’Africa è il nostro metro di riferimento, lo spazio sacro viene suddiviso e organizzato come quello dei villaggi; le danze e il suono dei tamburi che riproducono incessantemente il senso del tempo circolare, le cantigas (litanie che raccontano i gesti mitici degli orixà) per la maggior parte tramandate e altre recuperate di recente da sacerdoti brasiliani che sono “tornati a casa” in Africa e hanno registrato, trascritto e integrato il materiale superstite; la struttura fortemente gerarchizzata della comunità, le offerte rituali, il culto delle foglie, la trance, la divinazione e ovviamente le divinità derivano interamente dalla nostra origine comune africana. Ho studiato questo culto alla facoltà di Scienze Etno-Antropologiche dell’Università di Genova dove mi sono laureata con una tesi sperimentale sui cibi e l’alimentazione religiosa del Candomblè. Durante le ricerche per la tesi sono stata iniziata al culto. Sono stata iniziata in una Casa di Santo italiana vent’anni fa e in seguito sono stata accolta dal mio attuale Pai de Santo, Pai Taunderan presso l’Ilè Axè Alaketù Odè Igbò a Juquitiba, San Paolo, famosissimo tempio discendente dalla Casa de Oxumarè di Salvador, a sua volta uno dei terrieros più antichi e ricchi di tradizione del Brasile. Generalmente, a questo punto della storia snocciolo tutta la mia ascendenza genelogica che si blocca inevitabilmente al porto degli schiavi di Salvador de Bahia fa un tuffo nell’Atlantico e riemerge in Nigeria, presso l’antico e ricchissimo impero Oyo, le sue invincibili armate, le noci di cola, il sale, le stoffe. Sono passati ormai vent’anni ma non posso dimenticare la prima volta che Pai Taunderan ha letto il mio passato e il mio futuro nel pozzo senza fine delle conchiglie. Non posso dimenticare nulla dell’iniziazione, è difficile condividere le emozioni di un’esperienza così particolare, unica. Il percorso sacerdotale è complicato, lo sappiamo tutti fin dall’inizio, alti e bassi, difficoltà e gioia, ostacoli, intoppi. Noi siamo diversi siamo: figli di guerrieri e di regine, il nostro tempo è infinito, non esistono termini come “peccato” o “senso di colpa”, “vergogna”, il nostro metro di valutazione della realtà è eccentrico, il rapporto con la natura viscerale, ferocemente ecologico. Dopo l’iniziazione la vita si fa difficile: insomma sono una donna yoruba bianca africana, sacerdotessa di una religione brasiliana, pratico riti oscuri, leggo il futuro nelle conchiglie, incorporo divinità chiassose, a volte questo è davvero troppo in Italia. Ultimamente stanno nascendo nel nostro paese nuove realtà per la divulgazione del Candomblè. Nelle Università si scrivono libri, si girano documentari, ricercatori fanno ricerca sul campo e frequentano le cerimonie pubbliche; il materiale è per forza di cose incompleto, fantasioso se non errato, ma le religioni iniziatiche sono così “chi sa non parla, chi non sa parla”. Per quanto riguarda la realtà italiana mi preme concludere con una bella notizia: mio fratello Pai Leonardo di Airà inaugurerà a breve un nuovo terreiro l’Ilè Asè Aira Olomi Oniwa. A lui e alla sua splendida nuova comunità voglio dedicare questo breve articolo. Gli Orixà sono sempre in cammino e l’Africa fiorirà finalmente in Italia.

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