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Giulio Regeni e i desaparecidos in Egitto che non conosciamo

Cinque anni fa al Cairo Gulio Regeni, alle 19:41, entrava in un buco nero che, nove giorni dopo, avrebbe rigurgitato una storia di torture, orrore, morte. Una storia terribile, come le altre migliaia di cui sappiamo poco o nulla ma che disegnano un quadro che in molti fingono di non vedere.
Nessuno chiede conto al governo egiziano di quanto avviene nelle proprie carceri, almeno fino a quando a essere soggetto a trattamenti inumani è uno straniero. In questi casi, quando non ‘devono’ trapelare notizie sulle torture subite da persone di altre nazionalità arrestate in Egitto, oppure egiziani detenuti illegalmente. porta alla luce, con tutta la drammaticità della sua fine e le responsabilità politiche di un Paese con il quale l’Italia ha sempre avuto ottime relazioni diplomatiche, una realtà conosciuta ma finora lasciata, volutamente, ‘sotto traccia’: le continue violazioni dei diritti umani in Egitto nei confronti della popolazione egiziana ma anche di stranieri ‘scomodi’ come Giulio che non conosciamo e di cui non sapremo mai nulla.

La tortura, da lungo tempo praticata dalle forze di sicurezza egiziane, è lo strumento per estorcere confessioni a chi è ritenuto una spia o anche solo un oppositore. Da decenni le organizzazioni internazionali denunciano violazioni perduranti, perpetrate impunemente da agenti e funzionari dello Stato. Dall’inizio del 2014, secondo la Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà, sono state almeno 120 le morti in carcere riconducibili a maltrattamenti e violenze da parte degli agenti penitenziari.

In una lettera di Ahmed Hassan Ali, 33 anni, da quattro anni nel reparto di massima sicurezza di Tora, descrive nei dettagli come è stato più volte torturato, sia in prigione che nella stazione di polizia dove era stato portato dopo il suo arresto. Ahmed scrive che lui e le altre persone all’interno del suo padiglione subiscono aggressioni sessuali, vengono spogliati, costretti in posizione prona e stuprati con tubi. “Quando non sono le guardie a torturare i prigionieri, lo fanno altri detenuti su loro ordine. Usano fili elettrici per causare scariche ad alto voltaggio ai nostri corpi già martoriati dalle botte” è il grido di dolore di Ahmed che sostiene di essere stato picchiato e violentato, trattenuto a forza fino alla rottura del braccio sinistro.

Nella lettera sono descritti anche altri episodi, come quello che vede come carnefice un funzionario dei servizi segreti responsabile degli interrogatori a Tora e vittima un ragazzo, poco più che ventenne, Ahmed Ismail, costretto a bere una miscela di acqua, olio, sale, detersivo in polvere, latte e tabacco fino a quando non ha vomitato sangue.

Le organizzazioni internazionali per i diritti umani nell’ultimo anno e mezzo hanno segnalato di arresti arbitrari, soprattutto di oppositori politici, attivisti e giornalisti scomodi per mano delle autorità egiziane che costituivano “una grave violazione del diritto internazionale”.
Sono state documentate decine e decine di casi di persone scomparse dopo essere state arrestate dalle forze di polizia. In più occasioni i funzionari di pubblica sicurezza hanno negato di avere trattenuto individui o si sono rifiutati di rivelare la sorte di molti di loro.
Hrw ha affermato con forza che il metodo ‘desaparecidos’ viene attuato sistematicamente e per finalità politiche, configurando in tal caso ‘crimini contro l’umanità’.

Il direttore di Human Right Watch, Joe Stork, ha sottolineato come sotto la presidenza del generale egiziano Abdul Fattah al-Sisi, che ha rovesciato l’ex presidente Mohammed Morsi nel 2013, i servizi segreti e la polizia egiziani stiano operando nell’assoluta impunità: centinaia di persone sono state uccise e 40mila sono state tratte in arresto per motivi politici. Nel 2014 un gruppo di lavoro delle Nazioni Unite, costituito per indagare sulle denunce delle organizzazioni non governative, aveva accertato numerose scomparse anomale. La relazione finale riportava 52 casi e sui quali il governo di al-Sisi si era rifiutato di fare chiarezza. I funzionari Onu, già dai primi casi valutati, avevano espresso preoccupazione per il deteriorarsi delle condizioni della sicurezza in Egitto che poteva facilitare l’insorgenza di molteplici violazioni dei diritti umani, tra cui appunto le ‘sparizioni forzate”. A confermarlo un dato emblematico della gravità della situazione: solo nel 2015 l’Egyptian Commission for Rights and Freedom, organizzazione indipendente egiziana ideatrice della campagna Stop Enforced Disappearance, ha ‘censito’ oltre 1.700 persone scomparse, una media che supera i quattro al giorno.

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