Skip to content
Primo piano

Etiopia. Nuovi colloqui per il disarmo. Il nodo Eritrea

Ph. Credit: AP/Copyright 2022

Giovedì 1 Dicembre il governo etiope ha annunciato l’apertura di un nuovo tavolo di colloqui tra le parti per l’avvio del processo di disarmo delle Tigray Defence Forces, come stabilito dagli accordi di Pretoria, che hanno decretato la fine delle ostilità andate avanti per oltre due anni. Un comitato congiunto per il disarmo, formato da…

Giovedì 1 Dicembre il governo etiope ha annunciato l’apertura di un nuovo tavolo di colloqui tra le parti per l’avvio del processo di disarmo delle Tigray Defence Forces, come stabilito dagli accordi di Pretoria, che hanno decretato la fine delle ostilità andate avanti per oltre due anni.

Un comitato congiunto per il disarmo, formato da inviato del governo e del Tplf, si è riunito per la prima volta il 30 Novembre a Shire, la prima volta che le parti tengono una riunione all’interno del Tigray.

L’accordo di pace, ratificato in Kenya, stabilisce il disarmo delle forze combattenti tigrine, entro 30 giorni dalla ratifica (2 Novembre). Saranno le forze federali dell’ENDF ad assumere il totale controllo di tutte le installazioni militari e delle infrastrutture militari e civili di interesse nella regione (aeroporti, strade, caserme, uffici governativi) e a garantire la sicurezza al suo interno.

Ph. Credit: AP/Copyright 2022
Ph. Credit: AP/Copyright 2022

Una posizione che apre un grande tema, quello della presenza nel Tigray di truppe eritree e milizie Fano in pianta stabile. Una presenza che nei primi momenti ha fatto nicchiare la leadership politica tigrina, che in più occasioni ha fatto trapelare la propria contrarietà.

La settimana scorsa, Tadesse Worede, comandante delle TDF, ha sottolineato ancora una volta alla stampa come “la continua presenza di queste forze (eritree e amhara), rende difficile persino pensare a una questione di disarmo“.

Nessuno fino ad oggi ha avuto il coraggio e l’opportunità (anche strategica) di citare l’Eritrea come parte in causa. La sua rappresentanza non è stata invitata ai colloqui di pace, la presenza delle truppe eritree non è stata mai resa nota in un nessun documento ufficiale. Se volessimo arrivare alla radice del problema, l’Eritrea “formalmente parlando” non è nemmeno presente nel Tigray.

Un vuoto formale che ricordiamo, ha lasciato campo libero alle truppe di Isaias Afwerki, resesi protagoniste di saccheggi, violenze contro la popolazione civile e vari crimini di guerra, compreso lo stupro e la fame come arma di guerra.

Se i funzionari etiopi non hanno mai confermato o solo fatto accenno ad un “ritiro” dei soldati eritrei, l’Alto rappresentante per il Corno d’Africa dell’Unione Africana, Olusegun Obasanjo, durante la sua visita nella regione, tenutasi il 24 Novembre, ha affermato davanti  alle tv nazionali che “nessuno stato sovrano dovrebbe permettere la presenza di truppe straniere sul proprio suolo“.

Truppe eritree fotografate nei dintorni di Adigrat, Tigray
Truppe eritree fotografate nei dintorni di Adigrat, Tigray
La dichiarazione del Dipartimento di Stato Usa
La dichiarazione del Dipartimento di Stato Usa

Un’affermazione che ha prodotto a catena l’affondo del Bureau of African Affairs del Dipartimento di Stato Usa, un sostegno senza condizioni alla posizione dell’Unione africana e la reazione immediata del governo eritreo, che attraverso il Ministro dell’Informazione Yemane G. Meskel, che ha accusato gli Usa di interpretare in modo del tutto sbilanciato il diritto internazionale, sottolinenando come “le architetture di difesa tra gli Stati africani sovrani non devono essere soggette a preventivo avallo o veto da parte di poteri estranei”.

La risposta del Ministro dell'Informazione eritreo Yemane G. Meskel
La risposta del Ministro dell’Informazione eritreo Yemane G. Meskel

Un modo piuttosto elegante per dire agli Usa di starne fuori. Una posizione inconciliabile con l’impegno del Segretario di Stato americano Antony Blinken profuso sin dal primo momento per l’apertura di una tavolo di dialogo tra le parti in conflitto, proseguito con la partecipazione attiva del Dipartimento di Stato Usa ai colloqui di pace.

Quale sarà il prossimo passo di Isaias Afwerki in questo frangente?

I rapporti arrivati negli ultimi giorni sulle azioni dell’esercito eritreo, potrebbero non lasciare dubbi su quale sia la risposta.

Anche durante i colloqui sono proseguite le segnalazioni, poi rafforzate da rapporti ben documentati, di saccheggi di proprietà private e pubbliche, uccisioni ed arresti extragiudiziali di cittadini tigrini. Solamente tra il 17 ed il 23 Novembre, come riportato da Bloomberg, le forze eritree avrebbero prelevato dalle proprie abitazioni centinaia di persone e le avrebbero giustiziate o portate altrove, avrebbero proceduto a saccheggi sistemici.

Asmara non ha mosso alcuna opposizione alla cessazione delle ostilità, ha aiutato il governo etiope a progettare l’accordo (difficile pensare che Addis Abeba non abbia dialogato con Asmara prima di procedere a sedersi al tavolo di Pretoria), a scandirne tempistiche e condizioni.

14 Luglio 2018. Il presidente eritreo Isaias Afwerki viene accolto dal primo ministro etiope Abiy Ahmed al suo arrivo all’aeroporto internazionale di Addis Abeba. AP Photo Mulugeta Ayene

Isaias ha già raggiunto il proprio obiettivo, ha definitivamente sventrato il Tplf, ne ha minato la base e ciò che abbiamo visto sul campo, fino ad alcuni giorni fa, è stata solo la trasposizione violenta e cinica di una strategia politica, le cui conseguenze si sono abbattute come uno tsunami sul popolo tigrino.

Etiopia, il presidente eritreo Isaias Afwerki determinerà le sorti del Tigray

Difficile pensare ad una resistenza ad oltranza dei tigrini. Fiaccati da due anni di guerra e da un blocco totale che ha sfaldato le linee di rifornimento, nulla hanno potuto contro i molteplici fronti da gestire. Anche la caparbietà ed il morale, doti per le quali si sono sempre contraddistinti, hanno ceduto; la popolazione, intrappolata nel mezzo dei combattimenti, ha sofferto pene inimmaginabili ai più.

Altrettanto difficile è pensare ad un ritiro su larga scala delle truppe eritree dal Tigray, che a seguito della grande mobilitazione forzata di questa estate, il 24 Agosto hanno fatto accesso in grande numero nella regione per prendere parte all’ultimo round dei combattimenti con le TDF insieme ad un numero piuttosto consistente di truppe dell’ENDF (l’esercito federale etiope, n.d.r.) ancora presente in Eritrea, insieme a quelle somale, con le quali potrebbero condividere il destino.

Il Presidente somalo Hassan Sheikh Mahmoud in visita alle proprie truppe in Eritrea, alla presenza del Presidente eritreo Isaias Afwerki.
Il Presidente somalo Hassan Sheikh Mahmoud in visita alle proprie truppe in Eritrea, alla presenza del Presidente eritreo Isaias Afwerki.

Oltre 5000 soldati somali, inviati nel 2021 in Eritrea dall’allora presidente Mohamed Abdullahi Farmaajo per un addestramento congiunto, non hanno mai fatto ritorno a casa.

A nulla sono valse le rimostranze del neopresidente Hassan Sheikh Mohamud, che nel Luglio di questo anno, durante un viaggio istituzionale ad Asmara, ha richiesto formalmente la restituzione delle truppe al paese di appartenenza (in questi giorni il Presidente somalo dovrebbe effettuare un secondo viaggio in Eritrea proprio per richiederne il ritorno).

La visita ufficiale del Presidente Hassan Sceicco Mahmoud ai cadetti somali di stanza in Eritrea.
La visita ufficiale del Presidente Hassan Sceicco Mohamud ai cadetti somali di stanza in Eritrea.

Quale sarà il destino dei soldati etiopi in Eritrea? Difficile dirlo, poiché come nel caso dei soldati somali, le truppe etiopi potrebbero essere pedine di un gioco ben più grande di una mera presenza strategica in terra straniera.

Tigray, civili.

Cosa ne sarà invece del Tigray? Sarebbe sciocco e prematuro prevedere quale sia il futuro prossimo della regione. Oggi vi è un’emergenza umanitaria alla quale far fronte, milioni di persone che necessitano di aiuti umanitari e sanitari, del ripristino dei servizi di base e del ritorno ad una parvenza di “normalità”. Parvenza, per ora, fragile, alla mercé degli eventi.

Lo stop ai combattimenti è solo il primo passo; se con fiducia tutti noi speriamo nella riuscita di questo processo, siamo coscienti che ben presto si dovrà fare giustizia, anche se per questo occorrerà tempo, anche se il percorso sarà un percorso ad ostacoli.

 

 

 

 

 

 

 

 

Articoli correlati
Torna su