L’Eritrea mobilita tutti i riservisti al di sotto dei 55 anni. Il ruolo del paese, all’interno della guerra tra Addis Abeba e Tigray, non è mai stato di secondo piano. Isaias Afwerki non permetterà la sopravvivenza della leadership tigrina, considerata una minaccia per il paese.
In un contesto di guerra le previsioni hanno un valore relativo; dipendono da tanti fattori, siano essi quelli legati al campo – dove l’imprevedibilità ha il suo peso – o quelli legati al contesto politico strategico che determinano le mosse sul fronte.
E’ triste rimarcare come nel conflitto tra il governo di Addis Abeba e il governo del Tigray (che dal Novembre del 2020 sconvolge l’intero nord del paese) la presenza dell’esercito eritreo -direttamente coinvolto da Addis – più che come variabile, abbia assunto il ruolo di attore certo e principale, le cui azioni hanno spiccato per una prevedibile violenza.
Più volte abbiamo sottolineato come Isaias Afwerki, pur in presenza di un possibile tavolo di dialogo tra le parti in conflitto, non avrebbe lasciato la partita senza aver cancellato definitivamente la leadership del Tplf dalla regione confinante.
Era l’8 gennaio del 2022 e le avvisaglie di un coinvolgimento su grande scala dell’Eritrea nel conflitto etiope venivano svelate in un’intervista che lo stesso presidente rilasciò ad EriTV in occasione del nuovo anno.
Etiopia, il presidente eritreo Isaias Afwerki determinerà le sorti del Tigray
Afwerki ha sempre sostenuto che la presenza del Tplf, in special modo nei centri di potere del governo etiope (esercito in primis) fosse un pericolo per la sicurezza dell’Eritrea. Si spinse oltre, prevedendo come quello il conflitto con il Tigray People’s Liberation Front sarebbe divenuto ben presto un gioco al gatto e al topo, in un moto perenne, fatto di richiami al dialogo e tavoli di contrattazione destinati al fallimento prima di iniziare.
Un modo piuttosto diplomatico per delineare un’unica soluzione: la guerra totale contro la leadership politica tigrina, accusata di essere una minaccia diretta verso l’Eritrea, la cui esistenza era, ed è tutt’oggi, considerata come il vero ostacolo alla pace.
Le violenze, i saccheggi, le distruzioni di cui si è reso responsabile l’esercito eritreo nel Tigray sono imputabili ad un approccio basato su questo ragionamento di fondo, aggravate dall’assoluta libertà di azione dei suoi uomini sul campo.
Una libertà determinata anche dall’invidia sociale dei coscritti eritrei, alle prese con una regione ben più sviluppata delle loro terre d’origine, distanti appena qualche decina di chilometri (da qui i furti di elettrodomestici, bestiame, suppellettili, ambulanze e automobili).
Oltre alla partecipazione nella prima e seconda fase del conflitto, oltre al ruolo nell’addestramento di truppe somale o di milizie Fano sul proprio territorio, l’odierna fase nella guerra contro le truppe del TDF (Tigray Defence Forces) con tutte le difficoltà che l’ENDF sta scontando sul campo, ha portato Asmara ad una decisione drastica: la mobilitazione generale di tutti i riservisti sotto i 55 anni.
Il 5 Settembre ci giungevano voci di rastrellamenti di giovani nella zona di Tessenei, di Keren e di Segheneiti, riportate anche da BBC. In esclusiva, dopo aver verificato la notizia, ne parlammo proprio sulle pagine di Focus on Africa. Ben presto la notizia fu ripresa da Don Mussie Zerai e da Avvenire.
La mobilitazione di massa per tutti i riservisti
I segnali c’erano tutti per qualcosa che oggi sappiamo essere una mobilitazione generale.
Alcuni testimoni ci hanno riferito che gli avvisi per la mobilitazione sono stati affissi e distribuiti giovedì scorso ad Asmara, anche se verosimilmente in alcune aree del paese i coscritti sono stati richiamati già nei giorni precedenti.
Tutti i riservisti sono stati “invitati” a recarsi presso le sedi centrali dell’esercito e di portare provviste, coperte e contenitori per l’acqua ed avvertiti che la mancata presenza avrebbe avuto conseguenze gravi: arresto dei familiari, sequestro della casa e dei beni di famiglia.
Ciò non ha frenato molti dei coscritti a trovare riparo nelle zone più remote per sfuggire all’invio sul fronte etiope per un tempo indeterminato.
L’Eritrea è tristemente nota per la coscrizione militare dalla durata indefinita. Più volte, io stesso ho potuto constatare come alcuni giovani di leva prestassero servizio per anni interi, senza sapere quale fosse il termine del proprio mandato. Un fattore più volte denunciato dalle maggiori associazioni per i diritti umani internazionali.
Il paese governato da Afwerki, sin dal 24 gennaio 1993, giorno della sua indipendenza, ha vissuto praticamente in uno stato perenne di tensione. In guerra con tutti i suoi vicini (Yemen nel 1995, Sudan nel 1996 e Gibuti nel 2008) oggi si inserisce nel contesto della guerra contro il Tplf come attore protagonista.
Dalla fine di Agosto viene segnalato nel paese l’arrivo di truppe etiopi, spostate attraverso ponte aereo partito dall’aeroporto di Lalibela, via Afar, dall’altra parte del confine (notizia verificata anche dall’analista Gerjon attraverso Flightradar) e dal Tigray occidentale su camion attraverso le zone controllate dall’ENDF.
Le truppe andate ad ingrossare le fila di quelle eritree per la controffensiva partita il 1 settembre dal confine nord del Tigray, avrebbero fatto il paio alle truppe somale, addestrate in Eritrea e mai tornate a casa.
Il caso delle truppe somale in Eritrea.
L’Eritrea addestra truppe somale da almeno tre anni. La prima ondata di soldati è stata trasportata in Eritrea il 19 agosto 2019. Ci sono state una seconda e una terza ondata rispettivamente nel febbraio e nel giugno 2020.
VOA Somali ha riferito che sono 5167 i soldati somali addestrati in Eritrea, cifra poi confermata dall’ex Presidente della Somalia Mohamed Abdullahi Farmaajo, artefice dell’operazione clandestina al centro delle polemiche soprattutto dopo le voci (prive di riscontro certo) della partecipazione delle truppe al conflitto nel Tigray.
Lo scorso 7 Settembre tra i due paesi è stato sottoscritto un accordo di cooperazione in campo militare e strategico. Il memorandum seppur riporti principi nobili in fatto di cooperazione (salvaguardare la pace, la stabilità e la sicurezza della regione) è divenuto ben presto motivo di imbarazzo tra i due paesi. Nella visita di 4 giorni del Presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud in Eritrea, ha sottolineato e promesso al paese di riportare le truppe a casa.
Per ora però, la situazione rimane in stallo e a rendere tesi i rapporti è la notizia di decessi e ferimenti tra le fila degli uomini andati in addestramento (notizia confermata anche dal governo somalo). Il Presidente Sheikh Mohamud in un’intervista rilasciata al Center for Strategic and International Studies (CSIS) ha richiesto l’aiuto degli Stati Uniti d’America per riportare a casa i propri uomini.
Accuse di violenze e distruzione deliberata.
Il 10 Settembre la Fondazione per i diritti umani degli eritrei ha chiesto alle Nazioni Unite di intervenire sulla guerra in corso nel Tigray, in particolare per valutare il ruolo e le responsabilità’ dell’Eritrea.
In una lettera indirizzata al segretario generale Onu, Antonio Guterres, il legale della fondazione Emiel Juriens ha chiesto di sollecitare un’azione del Consiglio di sicurezza, dicendosi preoccupata “per le gravi violazioni dei diritti umani commesse dalle forze militari eritree (l’Eritrean Defence Force o “Edf”) nella guerra nel Tigray e per l’impatto profondo e di vasta portata di questa guerra sui diritti umani degli eritrei” che risiedono nel paese o che fanno parte della “vasta diaspora”.
Nella lettera si denunciano quindi ripetuti episodi di “massacri, l’uso sistematico dello stupro e della fame come armi di guerra, la distruzione deliberata di campi profughi nel Tigray ed il rimpatrio forzato dall’Etiopia di rifugiati eritrei, nonché la deliberata distruzione delle strutture sanitarie nella regione tigrina.
Il portavoce Ue in un comunicato “sugli ultimi sviluppi in Etiopia” ha accusato l’Eritrea di “ostacolare gli sforzi in corso per la pace in Etiopia”. Accuse seguite all’inasprimento delle sanzioni da parte degli Usa, sui diretti responsabili delle violazioni dei diritti umani nel conflitto del Tigray, che andrebbero a colpire anche militari e politici eritrei.
Isaias Afwerki.
La chiamata alle armi viene presentata come la chiamata “alla guerra che porrà fine a tutte le guerre”. Afwerki sa bene che un possibile accordo tra il governo del PM Abiy Ahmed e la leadership tigrina ( colloqui di pace informali si stanno tenendo in questi giorni a Djibouti) potrebbe mettere a rischio il piano di eliminazione totale del Tplf dal Tigray.
Il cambio di rotta del regime eritreo non è determinato solo dalla minaccia percepita del Tplf ma incarnerebbe l’innesto di una marcia in più per porre fine certa al Tigray così come lo conosciamo oggi. Anche di fronte un possibile accordo, è verosimile che il presidente eritreo non si fermi affatto, coscio che non avrà altra occasione per mettere in piedi una strategia come quella attuale.
Isaias determinerà le sorti del Tigray, perché non è sul solo Tigray che ha interesse (anche se ne incarna il principale). Aspira ad un nuovo equilibrio nella regione e ad un’influenza che fino ad oggi ha avuto solo in parte. L’accordo di pace con l’Etiopia, la chiamata alle armi da parte di Addis Abeba hanno dato l’occasione al presidente eritreo di poter fantasticare su un nuovo Corno d’Africa, del quale poter determinare le sorti.
Oltre l’intervento in campo militare, l’influenza sull’area garantirebbe la tutela di interessi economici che necessitano di “stabilità” per poter essere portati avanti e mantenuti, convogliati da “nuovi” attori internazionali come la Cina, la Russia, la Turchia e gli UAE.
Era il 29 Gennaio e proprio su queste pagine scrissi: “Cercando di costruire il puzzle tra le incertezze del caso, è verosimile che Isaias Afwerki agirà per determinare le sorti del conflitto non lasciando nessuno spazio di manovra al Tplf, nemico giurato e obiettivo più volte annunciato”.
Anche se è presto per determinare quali direzioni oggi possa prendere la guerra nel Tigray, continuo a credere che quelle parole – purtroppo – non fossero poi così prive di fondamento.
Da semplici -seppur attenti- osservatori possiamo solo raccontare cosa accade giorno per giorno. Ciò che è chiaro è che il richiamo di un ingente capitale umano è il preludio ad un’escalation del conflitto su larga scala.