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Truppe ruandesi e mozambicane in pattuglia congiunta

Mozambico, la guerra nel nord del Paese: quasi un milione di profughi e cinquemila morti

In Mozambico si muore, mentre ai vertici politici si pensa a come modificare la Costituzione per aggirare il limite di mandati presidenziali fissato a due consecutivi e dare modo al presidente Filipe Nyusi di restare saldamente al potere.

Suor Maria De Coppi, missionaria comboniana d’origine veneta, è tra le vittime di una violenza che a intermittenza scuote il Paese, soprattutto nella sua parte settentrionale a sud della Tanzania.

Ripercorriamo la storia di questo grande Paese africano con il professore Luca Bussotti, docente universitario presso l’Università Federale di Pernambuco, Brasile, e presso l’Università Tecnica del Mozambico, ricercatore in studi africani e conoscitore del Mozambico e dell’Africa lusitana, ovvero dei Paesi africani ex colonie del Portogallo che mantengono in uso la lingua portoghese.

Abbiamo letto nell’ultimo anno di attacchi jihadisti in Mozambico, di tensioni che si ripetono a cadenza irregolare. Cosa succede?
Ero in Mozambico due settimane fa e, come ho scritto su un articolo per la rivista Nigrizia, il 2 settembre c’è stato un attacco da parte di terroristi, seguito da una più energica e distruttiva azione che ha visto coinvolta la missionaria italiana, che risiedeva nel Paese da quasi 60 anni. Nell’attacco sono stati presi di mira un ospedale, una scuola, una chiesa cattolica e abitazioni di civili. Questi gruppi colpiscono le infrastrutture governative, talvolta le stesse moschee. Nell’ultimo attentato due suore spagnole si sono messe in salvo con dodici alunne, mentre suor Maria, pare a seguito delle urla e della sua reazione, è stata colpita e freddata.

Possiamo parlare di terrorismo islamico nel Paese?
Certamente esiste questa piaga ed è pericolosamente in crescita. Le statistiche, in generale, ci raccontano che il 48% degli attacchi jihadisti nel mondo hanno luogo in Africa. La Provincia dell’Africa Centrale dello Stato Islamico (ISIS) ha rivendicato questo attentato, come ha rivendicato altri attentati e decapitazioni di cristiani a giugno, contrariato dal proselitismo cattolico. I gruppi di musulmani che hanno abbracciato le armi sono concentrati a Cabo Delgado una regione del nord del Paese. Purtroppo hanno esteso il loro raggio d’azione anche più a sud, nella confinante regione di Nampula. Per troppi musulmani del distretto di Cabo Delgado, costretti a una vita di disagio e privazioni, l’adesione ai gruppi islamici estremisti si rivela il solo modo per sopravvivere o vendicarsi dello stato di emarginazione in cui da sempre sono stati relegati dal potere centrale.

Eppure questa zona settentrionale, che si affaccia anche sull’Oceano Indiano, è una zona ricca di risorse…
A Montepuez (Cabo Delgado) c’è la più grande miniera di rubini al mondo, per non parlare dei giacimenti di gas. Il problema è che non sono i locali a beneficiare di queste ricchezze. I mozambicani del nord non possono neppure lavorare in questi settori, perché le politiche governative hanno trascurato la loro formazione e la loro crescita culturale, così vengono impiegati gli stranieri e i locali, ma provenienti da altre aree del Paese e scolarizzati, soprattutto dalla capitale Maputo.

Com’è possibile che all’interno di uno stesso Paese vi sia un gap culturale simile tra un’area ed un’altra?
Tutto è riconducibile alla storia etnica e politica del Mozambico, e in parte anche all’instabilità nel Paese. Tra il 1976 ed il 1992 c’è stata la guerra civile, ripresa tra il 2013 ed il 2018. I governi succedutisi dopo l’indipendenza sono stati dispotici e autoritari, ma la questione etnica è sempre stata tenuta celata. Tuttavia, dal 2014, con l’avvento di Nyusi, non si è più tenuto conto del mosaico etnico mozambicano. Nyusi ha favorito il proprio gruppo etnico, attuando aperte politiche di esclusione e violazione dei diritti umani contro altri gruppi.

Dunque i makonde sono solo il 2% della popolazione e sono al potere. Gli altri mozambicani non saranno propriamente soddisfatti di questo stato di cose…
Se leggiamo la realtà composita del Mozambico con i nostri parametri rischiamo di essere sviati. Certo si tratta di una minoranza netta, a fronte per esempio dell’etnia makhuwa, la più presente nel Paese, stanziata soprattutto nelle regioni del nord che abbiamo citato per l’esplosione degli attentati jihadisti. Eppure, sebbene esistano pregiudizi tra gruppi etnici e differenze linguistiche o religiose, non sono queste differenze ad alimentare le tensioni e le guerre. Negli anni immediatamente successivi all’indipendenza, il socialismo del partito Frelimo aveva cercato addirittura di cancellarle queste specificità, e di operare un processo di accelerata nazionalizzazione delle masse che è riuscito soltanto in parte.
I conflitti e le chiusure etniche nascono per ragioni economiche, per guadagnarsi l’accesso alle risorse. Lo Stato è sempre stato escludente, con questo Presidente ancor di più. Quel che mi preoccupa è che i gruppi jihadisti – e continuo a dire che la religione è strumento, non motivo alla base della guerriglia in corso – reclutano senza obbligare con la violenza: ci si avvicina ai terroristi di propria sponte.

Lo Stato come risponde alla proliferazione jihadistica?
Le truppe interne non si sono dimostrate determinate nell’affrontare il problema, vuoi per corruzione, vuoi per impreparazione. Così ci sono soldati rwandesi e della SADC (Comunità di Sviluppo dell’Africa Meridionale) a proteggere luoghi sensibili e di interesse strategico come i giacimenti di gas, grazie anche al finanziamento dell’Unione Europea. Sono stati i rwandesi a liberare la città di Mocimboa da Praia, per un anno nelle mani dell’ISIS. Purtroppo, però, altre zone sono ancora fuori controllo, fra cui alcuni distretti makonde (come Nangade) e, adesso il sud della provincia di Cabo Delgado e il nord della provincia di Nampula, dove è stato sferzato l’attacco in cui anche suor Maria de Coppi è morta.
Dal 5 ottobre 2017 c’è la guerra nel nord del Paese: quasi un milione di profughi e cinquemila morti. Ma il Presidente ha una lotta più importante attualmente a cui dedicarsi: intervenire sulla Costituzione ed eliminare l’articolo che ne ostacola la candidatura ad un terzo mandato a capo del Paese.

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