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Cooperazione in Uganda, una scelta difficile ma vincente. Il racconto dal campo

Dopo un paio di settimane, se non ricordo male, dal mio ingresso nell’Ospedale di Kitgum, riacquistato quel minimo di inglese che avevo perso, la mia capa mi propose di presentare una caso clinico nel consueto briefing mattutino delle 8.
Debbo confessare che ero molto agitato, mi sentivo ancora inadeguato al contesto e non dominavo ancora perfettamente la lingua inglese.
Scelsi una caso clinico complesso – ma in realtà relativamente frequente – di un paziente con una diagnosi di tubercolosi polmonare cavitaria, ricoverato da diversi giorni, che non dava il ben che minimo segno di miglioramento, continuando ad avere tosse e febbre, nonostante la terapia antitubercolare. Le medicine per curare la tubercolosi c’erano più o meno tutte, mentre erano pochi gli antibiotici a disposizione.
Presi la lastra del paziente, mi disegnai un grafico rudimentale sull’andamento clinico del paziente e mi presentai alla riunione del mattino. Il mio sospetto era, come qualche volta accadeva, che il paziente potesse avere anche una polmonite batterica.
La mia presentazione andò molto bene, come anche la discussione, e dopo qualche intervento dei miei colleghi si decise di aggiungere anche l’antibiotico alla terapia antitubercolare.
Intanto, ogni pomeriggio, a fine turno, avevo preso l’abitudine di passare con la motocicletta al mercato di Kitgum. Mi piaceva e mi rilassava tantissimo. C’era una parte del mercato dedicato all’abbigliamento, coloratissimo, dove di tanto in tanto acquistai una maglietta tipica del posto. Mi immergevo totalmente in quell’atmosfera densa dei colori e degli odori tipci dell’Africa, dove normalmente non incontravi espatriati come me, ma solo donne, uomini e bambini del posto, e mi piaceva sentirmi uno di loro.
Dall’altre parte del mercato, c’erano banconi che esponevano lo stoccafisso seccato. Lì l’odore era meno gradevole, al contrario quasi nauseante, ma ogni tanto mi fermavo a guardare chi vendeva e chi acquistava e le loro reazioni.
Alla fine del mio giro, facevo molto spesso un passo dal negozio, vicino al mercato, che vendeva di tutto, dalle sigarette, alla birra e bibite varie. Mi prendevo di solito una birretta o una specie di coca-cola locale e compravo una pannocchia arrostita presso un banchetto che si trovava sotto il negozio. Mi sedevo sulla motocicletta, mi mangiavo la mia pannocchia, fumavo una sigaretta, guardando lo spettacolo di colori e persone e mi sentivo in pace con me stesso.
Una mattina, come tante altre, arrivai nel mio “reparto” dopo il briefing mattutino e, prima di iniziare il giro dei pazienti che sedevano sulle panche, mi si avvicinò Francis, mi prese da parte e mi raccontò che le infermiere del turno di notte si erano addormentate e avevano lasciato senza idratazione, mediante flebo, tutta la notte una ragazza che era stata ricoverata il giorno prima con una grave dissenteria e febbre molto alta. Avevano trovato la sventurata ulteriormente disidratata e in pre-coma. Non mi volle fare i nomi delle due infermiere coinvolte, mi spiegò che purtroppo episodi del genere accadevano, secondo chi era di turno, e che non sarebbe servito a nulla rimproverarle, cosa che peraltro aveva già fatto lui. Si raccomandò di non parlare con nessuno dell’episodio, nemmeno con la caposala, che era restia a informarmene.
Non so ancora adesso se feci la cosa giusta. Istintivamente sarei andato dalla caposala e avrei cercato con lei delle soluzioni, ma Francis mi rassicurò che per quella volta l’avrebbe fatto lui e mi avrebbe tenuto aggiornato, così desistetti dall’idea di prendere personalmente posizione e lasciai fare a lui.
Non so che cosa Francis abbia detto alla caposala, non so se la mia scelta di fare un passo indietro sia stata la scelta giusta, ma quello di cui sono sicuro è che da quel giorno la caposala cambiò atteggiamento nei miei confronti, aprendosi e parlandomi come era abituata a fare con Francis, e con Francis stesso iniziò una collaborazione diversa, quasi amichevole.
Ma questo ve lo racconterò nella prossima puntata. Posso solo rassicurarvi che andai a visitare la paziente con un’infermiera, decidemmo la nuova strategia terapeutica e che la paziente guarì completamente dopo alcuni giorni.

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