vai al contenuto principale

Congo Brazzaville, scenari e futuro del Paese. Intervista con il leader dell’opposizione René Mavoungou Pambou

Dr. Pambou, Lei è da tempo in esilio nel Regno Unito, sicuramente a causa del dittatore Sassou Nguesso, che perseguita gli oppositori. Vorrei dunque chiederle: cosa rischia un oppositore congolese in esilio?

Sì, io abito nel Regno Unito, la mia patria d’adozione. Seguendo un principio di precauzione, ho scelto di vivere in esilio piuttosto che di finire precocemente nella tomba nella terra dei miei antenati. A questo proposito, è opportuno sottolineare che abbiamo a che fare con una delle dittature più feroci del mondo, nel senso che essa distrugge le vite e i destini. Ciò avviene in ragione del fatto che Sassou Nguesso da sempre incarna una cultura di violenza e di morte. Per questo devo confessare che per me fare politica, in qualità di oppositore-resistente al regime dittatoriale di Brazzaville, significa prendere dei rischi enormi. Me ne rendo pienamente conto, perché siamo di fronte a un tiranno spaventoso, spietato e sanguinario, la cui preoccupazione è di far tacere gli oppositori più feroci al suo potere, quando non riesce a convincerli o a circonvenirli. Bisogna dunque capire che, dovunque essi siano, gli oppositori congolesi non sono al sicuro. In effetti, questo potere malefico e criminogeno, che è caratterizzato dall’intolleranza politica, non cessa di spezzare delle preziose vite umane. È evidente che gli oppositori della diaspora sono perseguitati e subiscono minacce di morte e intimidazioni. Cito come prova il caso del generale Ferdinand Mbaou, che nella regione parigina è stato vittima di un tentativo di omicidio da parte di due ex-agenti della DGSE, il servizio segreto francese. È evidente che gli hanno sparato con l’intenzione di ucciderlo; fortunatamente per lui, il proiettile, che è rimasto fino ad oggi nel suo corpo, non ha colpito un punto vitale. C’è anche il caso del giornalista Aristide Mobebissi che, inseguito in piena notte in una città del nord della Francia da sicari reclutati nei paesi dell’est, è sfuggito in extremis alla morte. Non posso omettere l’aggressione fisica che l’attivista politico Roland Levy Nitou ha subito in pieno giorno a Parigi, non lontano dal palazzo dell’Eliseo, da parte di un commando guidato da un certo Edgar Bokilo, un miliziano utilizzato per i lavori sporchi dal tiranno Sassou Nguesso.

Lei è il coordinatore dell’UPC (Uniti Per il Congo): se domani il suo partito dovesse andare al potere, cosa proporrete per il Congo-Brazzaville? Cosa farete per le scuole, gli ospedali e le strade? Cosa farete per garantire che ci sia la democrazia? Farete una riforma della Commissione elettorale? Introdurrete nella Costituzione il limite di due mandati presidenziali?

L’UPC si è assegnato l’obiettivo di andare al potere in modo regolare, cioè tramite un’elezione a suffragio universale, secondo questo principio democratico di base: un uomo, un voto. Non possiamo tuttavia perdere di vista il fatto che il potere repubblicano è l’emanazione della volontà del popolo. Per fare ciò, nel quadro politico di una competizione elettorale è importante per noi ottenere dei voti dal popolo, cui appartiene la sovranità, prima di tutto presentando il nostro programma di governo o almeno il nostro progetto di società, che è già fissato da molti anni. Da ciò che precede, posso affermare senza timore di smentita (o almeno dedurre) l’attaccamento dell’UPC ai valori universali della democrazia.

Ora è opportuno sottolineare chiaramente che nel Congo-Brazzaville abbiamo a che fare con una “democratura” su sfondo di dittatura. In realtà, dietro le quinte si tratta di una presunta “democratura elettorale”, che mostra l’apparenza fittizia di una democrazia, allo scopo d’ingannare l’opinione internazionale. È per questo che è imperativo riabilitare la vera democrazia, ipotecata dal 1997, data del sanguinoso colpo di stato del golpista recidivo Sassou Nguesso. Con la democrazia ci sarà così ipso facto l’instaurazione di uno stato di diritto e del rispetto delle libertà fondamentali. L’ideale è di garantire l’uguaglianza davanti alla legge o uguaglianza di diritto, che è il principio secondo il quale ogni essere umano dev’essere trattato allo stesso modo di fronte alla legge. Nessun individuo o gruppo d’individui deve dunque avere il monopolio dei privilegi garantiti dalla legge.

D’altronde, l’UPC non vuole scrivere un’altra Costituzione, ma rispolverare quella votata all’unanimità dal popolo congolese nel 1992, alla conclusione della Conferenza nazionale sovrana. Questa Costituzione al titolo IV, articolo 68, stipula quanto segue: “Il Presidente della Repubblica è eletto per cinque anni a suffragio universale diretto. Può essere rieletto una sola volta”. Ciò costituisce manifestamente il solo modo di garantire l’alternanza politica, senza la quale non si può parlare di democrazia.

È ovvio che siamo consapevoli dello stato di decomposizione avanzata del paese. Chi gestisce il potere si è accanito a distruggere il paese a tutti i livelli, compresa la mentalità dei cittadini, che è sabotata e lascia a desiderare. Immaginate che il congolese è diventato un miserabile che ha interiorizzato, tra l’altro, il fatto che il furto, l’appropriazione delle finanze dello stato, la corruzione siano delle cose normali, banali. Il saccheggio endemico e a grande scala del denaro pubblico è, ahimè, diventato uno sport nazionale e l’impunità è divenuta la regola, da cui la crisi economica e finanziaria senza precedenti che colpisce in pieno e che non si riesce a domare. Ahimè, in Congo le finanze pubbliche somigliano ad un elefante abbattuto in un villaggio, dove ognuno viene col coltello a tagliarne un pezzo. Le autorità al vertice dello stato e i privilegiati dell’amministrazione pubblica accumulano così allegramente, sulle spalle del popolo, ricchezze illecite e altri beni acquisiti illegalmente! È facile capire che nessun paese al mondo può sperare di progredire con tale spirito, con questa mentalità corrotta e viziosa.

Siamo dunque consapevoli che bisognerà ricostruire sulle rovine, ma la prima battaglia ardua e di lungo termine consiste prima di tutto nel prendere il toro per le corna. Si tratta in particolare di riprogrammare il software del cittadino, che si è deteriorato: bisogna cioè risanare la mentalità dell’uomo, riabilitare in lui la coscienza civica e patriottica e l’amore indistruttibile per la patria, in vista di un ritorno al rispetto dei beni pubblici. Ciò può avvenire soprattutto con il rispetto dell’ortodossia finanziaria da parte delle autorità al vertice dello stato e degli altri gestori dei beni pubblici. Per raggiungere questo scopo, ci sembra dunque imperativo iniziare un cambiamento radicale, che dovrà avvenire con la rottura e non con la continuità e la perpetuazione dei flagelli retrogradi, inoculati nel corpo sociale durante i decenni da un potere profondamente malefico e criminogeno.

Inoltre, non è moralmente sostenibile per i dirigenti di un paese il fatto d’essere felici, mentre la stragrande maggioranza non lo è e affonda invece in un oceano di miseria imposta e mantenuta. In effetti, come disse giustamente Seneca: “Nell’interesse del tiranno è anche mantenere nella povertà il suo popolo, in modo che non possa proteggersi con le armi e che sia così impegnato nelle sue occupazioni quotidiane da non aver tempo per la ribellione”. Noi dell’UPC, però, crediamo che l’ideale di ogni governo responsabile sia di vegliare allo sviluppo umano integrale, che consiste nel contribuire al perfezionamento morale e intellettuale di tutti i cittadini, nessuno escluso, come anche al miglioramento delle loro condizioni materiali e sociali. Non ripeteremo mai abbastanza che è mediante l’istruzione che si formano dei cittadini degni di questo nome e che si garantisce la loro emancipazione nella società: ciò è per antonomasia un valore aggiunto per l’individuo, tanto il suo ruolo è cruciale per lo sviluppo del paese.

Tale è l’ideale che l’UPC persegue, ispirandosi a ciò che nel nostro paese è già stato compiuto in passato in questo senso, in particolare negli anni ’60, quando il nostro paese, grazie alla politica volontarista e ambiziosa del presidente Alphonse Masamba-Débat, registrò un avanzamento significativo nei confronti delle “tigri asiatiche”. È evidente che quello fu il decennio dell’età d’oro del Congo-Brazzaville, prima del colpo di stato del 1968, che sancì la confisca del potere da parte di una stirpe di bracconieri-epicurei impenitenti della Repubblica, pieni di un egocentrismo viscerale, che hanno distrutto, annientato e saccheggiato tutto, come fanno le cavallette.

In conclusione, è grazie alla democrazia che noi ricostruiremo il paese, con uno sforzo costante per una gestione sana degli affari dello stato e della tesoreria pubblica, caratterizzata dall’ortodossia finanziaria, che permetterà di finanziare le spese del paese e di operare in seguito per il suo sviluppo armonioso e durevole.

Sembra che Sassou Nguesso sia malato, che abbia il Covid: non si tratta naturalmente di un’informazione ufficiale, ma ci sono degli osservatori indipendenti che lo affermano. Lei mi può dire qual è la verità, cioè quali sono le condizioni di salute di quest’uomo?

Per quanto riguardo la salute del satrapo congolese, è una questione che suscita costantemente speculazioni e voci di corridoio. Da quel che ne so io, un recente comunicato ufficiale del governo ha lasciato intendere che egli era tenuto ad osservare la quarantena, perché era stato a contatto con un positivo. In effetti, si tratta del Covid che hanno contratto i suoi familiari e altre persone del suo entourage, in compagnia dei quali ha partecipato al matrimonio di suo nipote a Kinshasa, nella Repubblica democratica del Congo. Egli ha comunque tenuto il tradizionale discorso di fine anno alla nazione; del resto, è un essere umano e alla sua età non può evitare di avere dei problemi di salute. Io non mi auguro che questo tiranno spaventoso, spietato e sanguinario muoia prima di aver risposto dei suoi numerosi crimini davanti al tribunale degli uomini, qui sulla terra, come preludio alla giustizia di Dio.

Torna su