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Biocarburanti, secondo T&E la produzione dell’ENI in Africa è molto al di sotto degli obiettivi

Secondo una ricerca della ONG europea “Transport & Environment” (Trasporti e Ambiente, T&E), l’ENI non ha raggiunto nemmeno un quarto dei suoi obiettivi di produzione di biocarburanti per il 2023. Nell’articolo di presentazione dei risultati si legge che: “Il gigante petrolifero italiano Eni non sta mantenendo la sua promessa di produrre migliaia di tonnellate di colture per biocarburanti. L’indagine […] solleva dubbi sulla credibilità del piano della società – sostenuto dal primo ministro italiano Giorgia Meloni – di incrementare i biocarburanti come alternativa al petrolio e al gas“.

Il progetto iniziale era molto ambizioso, perché è sempre più necessario e urgente produrre biocarburanti in modo sostenibile, dunque senza peggiorare il riscaldamento globale e senza causare danni ambientali. L’ENI aveva scommesso sull’agroenergetico, aggiungendo che questa strategia avrebbe favorito gli agricoltori africani. Non a caso, questo è uno dei pilastri del nuovo partenariato tra l’Italia e il continente africano, chiamato “Piano Mattei”, lanciato poche settimane fa.

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Degli accordi sull’agroenergia sono stati raggiunti dall’ENI anche con il Rwanda:

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L’indagine di T&E sui progetti di Eni in Kenya e nella Repubblica del Congo (Brazzaville) mostra che, almeno in questa fase, l’azienda non riesce a produrre colture “miracolose” per biocarburanti resistenti alla siccità su larga scala e migliaia di agricoltori che erano stati attratti dalla promessa dell’ENI di trarre profitto dalla coltivazione dell’olio di ricino, stanno confrontandosi con risultati piuttosto deludenti. Nell’articolo di T&E si legge:

Eni ha promesso di creare una filiera completamente nuova di “oli sostenibili” da colture agricole e ha avviato partnership con sei paesi africani per sviluppare “agri-hub” che forniranno olio vegetale alle sue raffinerie. La principale coltura su cui Eni scommette, il ricino, è pubblicizzata come resistente alla siccità e adatta alla semina su terreni di scarsa qualità. Solo in Kenya, Eni punta a reclutare 400.000 agricoltori che producano fino a 200.000 tonnellate all’anno entro il 2027. Le interviste sul campo con gli agricoltori e le altre principali parti interessate nei due paesi in cui i progetti sono più avanzati – Kenya e Repubblica del Congo – mostrano che l’azienda sta registrando una notevole sottoproduzione. L’analisi dei dati in Kenya mostra che Eni non è riuscita a raggiungere nemmeno un quarto degli obiettivi di produzione del 2023, mentre, nella Repubblica del Congo, i progetti Eni sono rimasti nella fase pilota per più di 18 mesi.

In altre parti del mondo, il gruppo ENI produce già biocarburanti in modo industrializzato, in particolare olio di palma, sebbene ne abbia ridotto l’uso per non favorire la deforestazione; alla fine dello scorso gennaio la stessa ONG T&E ha mostrato che il colosso petrolifero italiano fa ancora molto affidamento sui PFAD (Palm fatty acid distillate, Distillato di acidi grassi di palma) nel suo biodiesel, per cui il risultato è che le emissioni continuano pressoché come prima.

I biocarburanti come il bioetanolo e il biodiesel vengono prodotti attraverso processi di trasformazione delle biomasse, che sono sostanze organiche provenienti da piante e animali. Queste biomasse possono derivare da vari fonti, tra cui gli scarti dell’industria agroalimentare, i rifiuti organici urbani, le potature agricole e forestali, i residui della lavorazione della legna e altri materiali simili. I biocarburanti sono considerati “virtualmente” carbon neutral poiché, quando vengono bruciati nei motori termici, rilasciano anidride carbonica che era stata precedentemente assorbita dalle piante durante la fotosintesi. Questo ciclo chiuso di carbonio implica che l’anidride carbonica emessa durante la combustione dei biocarburanti è compensata dall’assorbimento di CO2 durante la crescita delle piante utilizzate per produrre le biomasse. In sintesi, i biocarburanti offrono un’alternativa più sostenibile ai combustibili fossili poiché contribuiscono alla riduzione delle emissioni di gas serra e favoriscono la circolarità dei materiali organici nella produzione energetica.

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