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Acqua, ecco come il fast fashion stia inquinando i fiumi dell’Africa

I fornitori di alcuni dei più grandi marchi di moda e supermercati del mondo sono accusati di scaricare pericolosi livelli di tossine dalle fabbriche in Madagascar, Mauritius, Tanzania e Lesotho e di bloccare l’accesso all’acqua pulita per le comunità locali, come rivela una nuova indagine di Water Witness International (WWI).

 

Il nuovo rapporto How fair is fashion’s water footprint? espone come la produzione di vestiti in Africa per i marchi di moda sia legata all’inquinamento che sta uccidendo i fiumi, e nega l’accesso all’acqua sicura, ai servizi igienici e alle strutture di lavaggio alle lavoratrici e alle loro comunità.

 

L’elenco di coloro che si riforniscono dall’Africa sono marchi tra cui: Adidas, Asos, Carrefour, Disney, Dockers, Esprit, Etam, G -Star, GAP, George (ASDA), Hanes, H&M, Hugo Boss, Levi’s, Mango, Marks and Spencer, Monsoon, Next, Otto, Primark, Reebok, Sears, Tesco, Tommy Hilfiger, Walmart, e Zara.

WWI ha ricevuto numerose denunce da informatori sul mancato rispetto della legge sul controllo dell’inquinamento da parte dei produttori tessili e di abbigliamento, e sulla mancanza di acqua pulita e di servizi igienici per i lavoratori.  I campioni presi da Water Witness a valle delle fabbriche tessili hanno mostrato acqua di fiume con un pH di 12, alto come la candeggina, e livelli di Cromo VI, una sostanza chimica cancerogena legata a difetti di nascita, a 75 volte il limite legale.

Il dottor Nick Hepworth, direttore di Water Witness International e autore principale del rapporto ha detto:

“Le persone riportano bruciature sulla pelle e problemi di salute dovuti al contatto con sostanze chimiche pericolose a causa dell’inquinamento delle fabbriche tessili e di abbigliamento. Nei casi più gravi, abbiamo scoperto che alle comunità locali viene negato l’accesso all’acqua pulita a causa delle fabbriche, senza possibilità di scelta se non quella di usare l’acqua inquinata del fiume nelle loro case e fattorie.  Abbiamo trovato alcuni esempi di buone pratiche, però i fornitori e i marchi di moda sembrano avere una politica del “non chiedere, non dire”. Abbiamo bisogno di un’azione reale sul territorio. I marchi globali devono fare un passo avanti e chiedere trasparenza nelle loro catene di approvvigionamento; questo è l’unico modo per fornire prodotti sicuri ed etici ai loro clienti”.

 

I lavoratori dell’abbigliamento, di cui si stima che l’80% siano donne, sono anche pesantemente colpiti dall’incapacità delle aziende di fornire possibilità di lavaggio e servizi igienici, un indicatore ampiamente riconosciuto di schiavitù moderna e un tappeto rosso per la trasmissione COVID-19.

 

Accordi commerciali favorevoli, incentivi fiscali, programmi di aiuto mirati e il costo della manodopera più economico del mondo hanno trasformato l’Africa in un centro crescente per la produzione di tessuti e abbigliamento. [1] I principali mercati di consumo sono l’Europa, l’Asia orientale e gli Stati Uniti, che da soli importano dall’Africa abbigliamento per un valore di 685 milioni di dollari l’anno.

 

Sareen Malik, segretario esecutivo, African Civil Society Network for Water and Sanitation, ha detto:

“L’inquinamento della produzione tessile è un problema molto significativo in Africa. Gli effluenti non trattati delle fabbriche tessili stanno uccidendo i nostri fiumi – non c’è vita a valle. Abbiamo bisogno di crescita economica, ma non deve mai avvenire a spese del nostro ambiente e della salute dei nostri figli”.

 

Il dottor Nick Hepworth ha aggiunto:

“Il nostro rapporto mostra diffuse violazioni ambientali e dei diritti umani in nome dello sviluppo e delle opportunità per l’Africa. E’ semplicemente oltraggioso che i marchi globali della moda e i supermercati stiano cercando di tagliare i costi e massimizzare i profitti distruggendo l’ambiente idrico e imponendo condizioni atroci ai lavoratori e alle comunità in Africa.  Abbiamo urgente bisogno di vedere una gestione responsabile dell’acqua basata su standard internazionali e sulla divulgazione completa e obbligatoria dell’impatto sull’acqua di queste multinazionali”.

 

La gestione responsabile dell’acqua è gravemente limitata dalla mancanza di dati, risorse, responsabilità e volontà politica. I rischi reputazionali associati alle scarse prestazioni idriche potrebbero distruggere l’emergente settore della moda africana, far deragliare la crescita economica e negare al continente un prezioso contributo allo sviluppo sostenibile e inclusivo.

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