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Inchiesta esclusiva. L’Etiopia possiede arsenali di armi chimiche?

Il 23 maggio 2021 il prestigioso quotidiano britannico The Telegraph pubblica una inchiesta giornalistica sul sospetto di utilizzo di armi chimiche (contro la popolazione civile nel Tigray, regione nord dell’Etiopia in guerra civile dal 03 novembre 2020. L’indagine è iniziata a seguito dei primi casi di vittime affluiti presso gli ospedali di Mekele, capitale del Tigray. Tutti presentavano orribili, estese e profonde ustioni.

Sono stati contattati due esperti mondiali di armi chimiche: Hamish de Bretton-Gordon, ex comandante del reggimento chimico, biologico e nucleare del Regno Unito e Dan Kaszeta, specialista chimico e biologico presso l’istituto collegato al Ministero della Difesa britannico: Royal United Service Institute. Entrambi, dopo aver analizzato foto e video raccolti,hanno affermato che le bruciature sul corpo delle vittime sembrano molto simili alle ferite riscontrate sulle vittime in Siria, dall’utilizzo del fosforo bianco.

Il Ministero degli Esteri etiope si è affrettato a diramare un comunicato stampa di smentita 4 ore dalla pubblicazione dell’indagine sul quotidiano britannico. Il comunicato risulta grottesco in quanto lo stesso Ministero Esteri due ore prima aveva rifiutato la proposta del The Telegraph di poter commentare le accuse rivoltegli. A seguito della inchiesta giornalistica il Direttore del Dipartimento Umanitario delle Nazioni Unite ha chiesto che si apra una inchiesta indipendenteper stabilire se realmente armi chimiche sono state utilizzate nel conflitto in corso nel Tigray.

A seguito di questa orribile (e molto probabile) notizia, è opportuno porci una semplice domanda. L’Etiopia possiede armi chimiche?

L’Etiopia ha firmato la Convenzione sulle armi chimiche nel 1993. Il trattato richiede che ogni stato membro dichiari se possiede armi chimiche sul proprio territorio, indipendentemente dall’età delle armi o a chi appartengono.

L’arsenale fascista di armi chimiche.

La presenza accertata di armi chimiche nel Paese riguarda quelle utilizzate dall’esercito italiano durante la guerra d’invasione del 1935 – 1937. Presenza confermata nel 2004 dal Presidente etiope Girma Wolde-Giorgis Lucha (mandato presidenziale 2001 – 2013) che chiese l’assistenza all’Italia per il lo smaltimento dellemunizioni chimiche che l’esercito italiano aveva frettolosamente abbandonato per mettere in salvo le sue truppe dall’avanzata degli Alleati in Etiopia.

La presenza di armi chimiche fasciste in Etiopia è stata oggetto di una lunga e accanita diatriba tra Roma ed Addis Ababa. Secondo il rapporto del 1939 redatto dall’Impero Etiope alla Società delle Nazioni l’esercito italiano tra il 1936 e il 1940 aveva trasportato 80.000 munizioni chimiche in Etiopia attuando 20 attacchi con gas velenosi nel 1936. Il rapporto riscontrò la netta smentita del regime fascista. La posizione negazionista dell’Italia durò anche nel dopo guerra, inserita nella scelta politica dei vari governi democratici dagli anni Cinquanta in poi di non fare i conti con i crimini contro l’umanità commessi durante il periodo coloniale in Eritrea, Etiopia, Libia e Somalia.

Nel 2001 durante lavori edili furono ritrovate 1.400 bombe italiane tra cui alcuni ordigni chimici, secondo le notizie diramate allora dalla coalizione di governo Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front (EPRDF) guidata dal Primo Ministro Meles Zenawi, leader storico del Tigray People’s Liberation Front (TPLF) deceduto per cause naturali il 20 agosto 2012. Fu inviata da Roma una delegazione tecnica che stabilì l’assenza di armi chimiche tra gli ordini ritrovati dagli etiopi.

In assenza di tecnici super partes sussiste tutt’oggi il sospetto che le indagini degli esperti italiani fossero indirizzate prevalentemente a proteggere il loro paese. Se l’Italia avesse ammesso l’esistenza di armi chimiche abbandonate in Etiopiasarebbe stata responsabile della loro distruzione, secondo le leggi internazionali. Lo smaltimento e distruzioni delle armi chimiche deve essere eseguito tramite rigorose e costosissime procedure su monitoraggio di enti internazionali.

L’arsenale chimico dell’esercito fascista può essere utilizzato negli attuali conflitti in Tigray o in Oromia? No! La capacità di un agente chimico di mantenere inalterata la propria composizione durante il periodo di immagazzinamento per un lungo periodo riguarda solo due tipi di armi chimiche: il CN – Cloroacetofenone, sostanza usata come gas lacrimogeno, e il DM – Adamiste, sostanza irritante usata per disperdere le folle durante manifestazioni. È praticamente impossibile che qualsiasi arma chimica italiana risalente agli anni Trenta e Quaranta possa venire utilizzata a distanza di 85 anni.

L’arsenale di armi chimiche abbandonato dai somali durante la guerra del Ogaden.

Diversa storia fu per le eventuali armi chimiche abbandonate dall’esercito somalo durante il conflitto dell’Ogaden nel 1977. L’organizzazione per la protezione mondiale dai pericoli nucleari, biologici, radiologici, chimici e informatici: Nuclear Threat Initiative (NTI) con sede a Washington, in un articolopubblicato sul suo sito il 3 marzo 2004 poneva l’accento sulla mancata dichiarazione da parte del governo TPLF della presunta presenza di un stock chimico abbandonato dalle truppe somale.

Il trattato della Convenzione sulle armi chimiche (sottoscritto anche dall’Etiopia) richiede che ogni Stato membro dichiari la eventuale presenza di armi chimiche sul proprio territorio, indipendentemente dall’età delle armi o a chi appartengono al fine di permettere le delicate e costosissime operazioni di smaltimento per impedire il loro riutilizzo.

All’epoca il portavoce del OPCW (Organisation for the Prohibition of Chemical Weapons): Peter Kaiser riferì ai media internazionali l’assenza della dichiarazione da parte del governo etiope della presunta presenza di armi chimiche somale. “Fino a quando non avremo una dichiarazione non ci sarà alcuna base per una ispezione e l’avvio delle procedure di smantellamento delle armi chimiche eventualmente presenti in Etiopia. La mancanza di una dichiarazione non significa necessariamente che le munizioni non siano state trovate in Etiopia” affermò Kaiser al Nuclear Threat Initiative.

Questa dichiarazione (necessaria per dissipare ogni eventuale dubbio) non giunse mai ufficialmente. Vi fu solo una dichiarazione non ufficiale da parte di un portavoce dell’Ambasciata etiope a Washington dove affermava di non avere dettagli sul numero di armi chimiche eventualmente rimaste nella sua nazione. Eppure delle armi chimiche furono usaste contro la ribellione e i civili in Eritrea nel 1982 e nel 1990.

Non si conoscono i reali motivi che indussero la coalizione di governo guidata dal TPLF a non collaborare con la Comunità Internazionale sulla presenza di armi chimiche somale e al loro smaltimento. Tuttavia, anche in questo caso, forti sono i dubbi di un possibile utilizzo odierno di armi chimiche risalenti a 44 anni fa per le stesse ragioni spiegate per l’arsenale chimico abbandonato dai fascisti italiani.

Armi chimiche usate dal DERG.

Durante la sessione della Camera of Lords ( che assieme alla Camera dei Comuni forma il Parlamento britannico), del 16 marzo 1982 Lord Averbury informa sull’uso di agenti chimici da parte del Governo Militare Provvisorio dell’Etiopia (denominato in Amarico ደርግDERG – Comitato), guidato dal dittatore Mengistu Haile Mariam. Le armi chimiche furono usate in Eritrea contro il EPLF (Eritrean People’s Liberation Front) guidato da Isaias Afwerki. All’epoca il EPLF lottava a fianco del TPLF e di formazioni guerrigliere Oromo contro la dittatura stalinista del DERG denominata anche il “Red Terror”.

L’Ambasciatore Etiope a Londra negò l’accusa mossa da Lord Averbury, approfittando dell’assenza di prove concrete. Lord Averbury si basava su credibili fonti dell’opposizione etiope eritrea in esilio ma non su prove documentate. All’epoca il M16 e la CIA concordarono sulla veridicità delle affermazioni di Lord Averbury ma si scontrarono contro la tattica di Mengistu della “Silence War”, la guerra silenziosa. Una tattica che prevede l’assoluto controllo della informazione al fine di non far trapelare all’esterno nessuna notizia del conflitto civile e, soprattutto, nessuna prova di eventuali crimini di guerra.

La Silence War di Mengistu fece scuola per le successive avventure belliche del TPLF in Somalia. Nel 2015 fu copiata dal regime razziale nazista burundese del dittatore Pierre Nkurunziza e dalla successiva giunta militare burundese del Generale Neva (presidente illegale dal 2020) e dal Primo Ministro Allain Guillaume Bunyoni indagato presso la Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità avvenuti tra il 2015 e il 2016.

Anche il Premio Nobel per la Pace Abiy usa questa tattica, senza riuscirci bene. Se nel Burundi (piccolissimo paese) è stato facilissimo applicarla dopo aver eliminato o costretto all’esilio la maggioranza dei giornalisti e degli attivisti umani, la densità demografica e l’estensione geografica dell’Etiopia, rende difficile attuare con successo la Silence War anche con un ferreo controllo delle comunicazioni e di internet a causa della moderna tecnologia che permette a chiunque di catturare immagini o video con un semplice Smartphone.

Il fosforo bianco utilizzato come arma chimica compare per la prima volta durante il terribile bombardamento aereo della città portuale eritrea di Massawa (la Perla del Mar Rosso) avvenuto alle 10.30 della mattina del 22 aprile 1990. Il Fosforo fu utilizzato assieme al napalm e alle bombe a frammentazione multipla, quest’ultimegentilmente offerte al DERG dai sovietici. La notizia venne riportata da Human Rights Watch e veemente smentita dal regime stalinista. Il rapporto di H.R.W. si basava su referti medici delle vittime, testimonianze e sul rapporto della CIA del 1984 che trattava della minaccia rappresentata dall’espansione della capacità di guerra chimica biologica in vari Paesi del Terzo Mondo, Etiopia inclusa.

Dove ha trovato Mengistu le armi chimiche? Esiste ancora il suo arsenale?

Dalle indagini dell’epoca si suppose che le armi chimiche utilizzate contro i guerriglieri del EPLF e sulla popolazione civile eritrea, provenissero in parte dall’arsenale abbandonato dall’esercito somalo durante la guerra dell’Ogaden (1977), in parte fornite dal vicino Sudan e dall’Unione Sovietica. Per l’utilizzo del fosforo bianco si ipotizzò una produzione in Etiopia. Alla caduta del regime DERG, la coalizione di governo EPRDF non accennò a nessun ritrovamento di eventuali residui dell’arsenale chimico utilizzato da Mengistu e tanto meno dell’esistenza di eventuali fabbriche di produzione.

Le potenze occidentali non posero domande ne avvertirono la necessità di eventuali inchieste. In questo specifico caso esistono delle possibilità che residui dell’arsenale chimico del DERG possano essere utilizzati oggi, in special modo per armi chimiche eventualmente prodotte agli inizi degli anni Novanta, a condizione che l’esercito etiope sia stato in grado di garantire condizioni di stoccaggio ottimali in questi ultimi 31 anni.

Le fabbriche di armamenti Nord Coreane in Etiopia.

La cooperazione militare tra il governo guidato dal TPLF e il regime Nord Coreano sulla creazione di fabbriche d’armi in Etiopia è uno tra i capitoli più oscuri e controversi della coalizione di governo che ha guidato il paese dal 1991 al 2018. Un capitolo che implica addirittura complicità degli Stati Uniti, ampiamente illustrata dall’associazione americana GlobalSecurity, una tra le principali fonti internazionali di informazioni sui settori della difesa, dello spazio, intelligence, sicurezza nazionale e armi di distruzione di massa, fondato nel 2000 con sede a Washington.

Nell’ottobre 2006 gli Stati Uniti fecero pressioni sulle Nazioni Unite per imporre severe sanzioni alla Corea del Nord a causa dei primi test nucleari nordcoreani. Per ragioni di controllo geopolitico, contenimento della minaccia islamica nel Corno d’Africa e di alleanze con la dirigenza Tigrina del TPLF, nel dicembre 2006 l’Amministrazione George W. Bush permise all’Etiopia di acquistare in segreto armi dalla Corea del Nord, in palese violazione delle restrizioni ONU imposte dalla stessaCasa Bianca. Le uniche condizioni poste ad Addis Ababa dagli americani riguardarono il periodo di acquisto (non oltre il gennaio 2007) e il loro esclusivo utilizzo in Somalia contro le milizie islamiche.

Sotto pressioni americane il 6 dicembre 2006 l’ONU approvò la risoluzione n. 1725 la quale autorizzava la costituzione di una forza internazionale regionale con il compito di stabilizzare la Somalia, sconfiggendo le forze islamiche che la controllavano tramite le “Corti Islamiche”. La creazione del contingente militare africano sotto egida dell’Unione Africana – Nazioni Unite: AMISOM, finanziato da Stati Uniti e Unione Europea, fu contemporanea all’invasione etiope della Somalia. A partire dal 26 dicembre 2006 le truppe etiopi liberarono la città di Jowar e la capitale Mogadiscio. Il contingente di invasione etiope era composto da 20.000 effettivi, 120 carri armati (T 62 e T 54-55), sostenuti da un centinaio di artiglierie, una decina di aerei Su. 27, Mig 23, 25 e Mig 21.

Per garantire la capacità bellica dell’esercito etiope in Somalia gli Stati Uniti nel marzo 2007 avviarono una seconda fase dell’operazione segreta riguardante la cooperazione militare tra Addis Ababa e Pyongyang. La creazione di due fabbriche di armi nelle città di Ambo e Debre Zeit in Oromia. In un classico intrigo internazionale, esperti militari americani collaborarono con i loro omologhi nordcoreani per la creazione di queste due fabbriche di armamenti.

L’interlocutore comune era il Generale Tigrino Samora Yonus, all’epoca Comandante Supremo delle Ethiopian National Defense Force ( ENDF) sostituito dal Primo Ministro Abiy il 7 giugno 2018 con il Generale Seare Mekonen un veterano del TPLF comandante del Comando Nord dell’esercito etiope stazionato in Tigray.

Il Generale Mekonen fu ucciso in circostanze misteriose durante il fallito golpe nello Stato regione dell’Amhara il 22 giugno 2019. Dopo un periodo di assestamento il comando delle ENDF è stato assunto a partire dal 4 novembre 2020 dal Vice Comandante del Comando Centrale e Comando Orientale: il Generale Birhanu Jula, che attualmente dirige le operazioni militari in Tigray e Oromia.

Nel 2008 l’Amministrazione Bush, nel timore che la cooperazione promossa con il nemico numero uno degli Stati Uniti del settore asiatico, andasse troppo oltre e sfuggisse dal controllo americano, richiese al Primo Ministro Meles l’autorizzazione ad esercitare un ferreo controllo sulla produzione di armamenti nelle fabbriche di Ambo e Debre Zeit. Nonostante l’apparente disponibilità di Meles, il Generale Samora Yonus si oppose categoricamente a qualsiasi controllo americano rassicurando Washington che i rapporti con la Corea del Nord erano puramente tecnici e a livelli talmente minimi che non meritavano l’attenzione e le preoccupazioni dell’alleato americano.

Il Generale Tigrino affermò che la produzione riguardava esclusivamente armi leggere sottolineando che l’abbattimento dei costi tramite produzione locale, consentiva l’Etiopia di adempiere ai suoi obblighi nelle missioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite e proteggere gli interessi strategici Etiopi-Americani in Somalia.

A distanza di due mesi dal veto posto, il Generale Samora annunciò la partenza degli esperti militari e dei tecnici nord coreani che avevano terminato il loro lavoro permettendo alle due fabbriche di armamenti di produrre in autonomia i fucili d’assalto AK-47 versione cinese. La fabbrica di Ambo fu oggetto di una visita dell’Ambasciatore americano che constatò che la produzione si limitata solo ai AK-47.

Tuttavia i servizi segreti americani nutrirono forti sospetti che nelle due fabbriche di armamenti fossero attivate produzioni di altre armi ben più micidiali e nascoste al partner americano. Sollevarono anche il sospetto che l’Etiopia avesse da tempo avviato un programma interno di produzione di armi chimiche, accelerato dalla cooperazione militare Addis Ababa – Pyongyang, ironicamente voluta dagli Stati Uniti.

I sospetti della Intelligence americana riprendevano le dichiarazioni fatte dal Contrammiraglio Thomas Brooks, Direttore della Intelligence navale americana il 7 marzo 1991 presso la Commissione della Camera per la Difesa. All’epoca Brooks affermò che vi erano alte probabilità che l’Etiopia possedesse armi chimiche a scopo difensivo.

Le dichiarazioni di Brooks furono rafforzate dal “Congressional Reserarch Service for Nuclear, Biological, Chemical Weapons and Missiles” che nel agosto 2001 elencò la coalizione di governo guidata dal TPLF come probabile detentrice di armi chimiche. Tuttavia al momento non esiste alcuna prova che testimoni la capacità produttiva dell’Etiopia di fosforo bianco o altre agenti utilizzati per la guerra chimica né il possesso di un stock di armi del genere.

Nonostante l’impossibilità temporanea di stabilire con esattezzaun ipotetico programma di guerra chimica del governo etiope, iniziato con il DERG, e continuato dal TPLF e ora dal Prosperity Party, rimane il mistero del fosforo bianco utilizzato sulla popolazione inerme del Tigray. Un utilizzo puramente criminale in quanto sul piano militare è risaputo da tutti gli esperti militariinternazionali che l’uso di armi chimiche, radiologiche o biologiche ha il solo obiettivo di terrorizzare la popolazione o di accelerare progetti di sterminio etnico.

Johnny Nehme, titolare del dottorato in scienze biomedicali presso l’Università di Parigi e ora Direttore del Dipartimento studi di contaminazione di armi non convenzionali presso il Comitato Internazionale della Croce Rossa, conferma l’uso terroristico sui civili delle armi chimiche nelle moderne guerre in quanto è ormai raro un concentramento di truppe significativo come all’epoca delle due Guerre Mondiali.

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