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Verso il 2021, l’Africa tra passato, presente e futuro

Sessant’anni dell’epifania del 1960, l’anno dell’emancipazione dell’Africa dalla barbarie coloniale, e dieci anni dall’esplosione delle primavere arabe, in seguito al suicidio del venditore ambulante tunisino Mohamed Bouazizi, che si diede fuoco per protestare contro le angherie della polizia corrotta.
A dieci anni di distanza siamo costretti a fare i conti con altre barbarie, da quella di al-Sisi in Egitto al caos totale che regna sovrano in Libia, passando per il sostanziale tradimento di una speranza nella quale molti di noi avevano, forse ingenuamente, creduto.
Eppure, come ho avuto modo di sostenere già in altre occasioni, al di là delle guerre ignorate dai nostri mezzi d’informazione, dei conflitti tribali e delle stragi che vengono compiute in numerose aree del continente, se un nuovo Sessantotto dovesse verificarsi, accadrebbe sicuramente in Africa, là dove la popolazione ha un’età media nettamente inferiore a quella occidentale, dove le forze vive e vitali sono assai diffuse e dove c’è spazio per costruire ciò che non c’è mai stato in un universo disperato e meraviglioso, travagliato e ricco di potenzialità, bisognoso di rinascere e desideroso di diventare protagonista di un secolo che molti osservatori hanno definito cinese ma che potrebbe essere anche, se non soprattutto, africano.
Non vorrei sembrare troppo ottimista, fatto sta che oggi l’Africa è in grado di recitare un ruolo di primo piano nel contesto globale. La centralità acquisita in seguito all’affermarsi della questione migratoria, il potente rilancio del tema della solidarietà internazionale, la vicenda di Silvia Romano, il valore supremo della cooperazione e i significativi accordi stipulati negli ultimi anni (non mi riferisco, ovviamente, alla vergogna dei lager libici per bloccare i disperati in fuga verso le nostre coste) ci dicono, infatti, che con l’Africa dovremo confontarci per decenni. Senza contare che un mondo ormai multipolare e multietnico, lo sviluppo delle nuove tecnologie e l’anacronismo di qualunque pulsione coloniale offrono a un continente meraviglioso e ricchissimo di risorse l’opportunità di trovare quella soggettività teorizzata a lungo, invano, dai padri del pensiero politico e filosofico africano. Certo, bisognerà stare attenti alla concorrenza cinese, in quanto l’assenza dell’Europa potrebbe condurre una terra in crescita e fiera della propria ritrovata importanza fra le braccia di un rivale infido.
Ciò che servirebbe, ora più che mai, sarebbe dunque un’alleanza mediterranea, la riscoperta di rapporti che per troppo tempo abbiamo accantonato o, comunque, non curato con la sufficiente attenzione e una collaborazione che favorisca lo sviluppo interno dell’Africa e stabilisca scambi di varia natura, sostituendo l’abominevole sfruttamento del secolo scorso con un rapporto su un piano di parità che arricchisca entrambi. È difficile che accada, soprattutto se si considera che la politica estera continua, in maniera assurda, a essere appannaggio dei singoli stati europei. Tuttavia, vale per l’Italia ma anche per gli altri, se vogliamo costruire veramente l’Europa, dobbiamo ricordarci che, al contempo, dobbiamo aiutare l’Africa a costruire se stessa e volerle bene, comprendendo che la sfida più grande del Ventunesimo secolo è anche la più grande speranza che sia mai stata offerta all’umanità: vivere tutti sotto lo stesso cielo, accantonando per sempre le ambizioni di dominio dei più forti che non hanno mai prodotto nulla di positivo. Utopia? Può darsi, ma cosa abbiamo costruito finora col cinismo? Specie di questi tempi, un cambio di paradigma a livello economico e geo-politico non è solo necessario: è indispensabile.
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