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Sahara Occidentale, si continua a combattere. Chi rientra nei campi dal fronte accolto come eroe

Da quando lo scorso novembre il Regno del Marocco ha infranto gli accordi del cessate il fuoco con il Fronte Polisario, non c’è stato giorno in cui non si sia combattuto nel Sahara Occidentale.
Le tensioni dovute all’azione violenta  dell’esercito marocchino che ha sgomberato con la forza il presidio sul valico del Guerguerat, lungo la strada che collega il Marocco alla Mauritania, organizzato da dalla comunità saharawiI per denunciare la violazione della “zona cuscinetto” da parte di Rabat, sì sono trasformate in un vero e proprio conflitto.
L’intervento dei militari marocchini nell’area contesa  ha spinto il Fronte Polisario a schierare il proprio esercito ponendo fine all’intesa raggiunta nel 1991 con la mediazione delle Nazioni Unite.
Mohamed Salem Ould Salek, ministro degli esteri della Repubblica araba democratica Saharawi, autoproclamata dal Polisario nel 1976, ha confermato che  i combattimenti continueranno fino al ritiro totale delle truppe di occupazione che rivendicano per il regno di Rabat una sovranità che appartiene per diritto di appartenenza, come  testimoniano le origini secolari, al popolo Saharawi.
La situazione sul terreno si è inasprita con la decisione degli Stati Uniti di riconoscere la sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale annunciata con un tweet dal presidente uscente Donald Trump dopo aver promosso l’accordo tra Marocco e Israele per ristabilire le relazioni diplomatiche.
La Repubblica araba democratica saharawi sin dal primo momento ha dichiarato la decisione degli Usa “nulla e di fatto non valida” affermando che la comunità internazionale non l’avrebbe riconosciuta.
Ex colonia spagnola, il territorio conteso è per lo più costituito da dune del Sahara ma anche dall’accesso al mare, l’Oceano Atlantico, tra i più pescosi del continente africano.
Dal 1975 il Polisario reclama l’indipendenza di quella parte di territorio annessa al Marocco e chiede un referendum sull’autodeterminazione come è nel diritto del popolo saharawi.
A certificarlo sin dal 1966 l’Onu che nell’attesa di un voto per affermarla aveva dispiegato una missione per garantire il mantenimento della pace.
Ma la Minurso non è riuscita nel suo mandato e la tregua è stata infranta.
La ripresa delle ostilità evidenzia il fallimento sul terreno non solo delle Nazioni Unite ma di tutta la comunità internazionale. Ciò ende quanto mai necessario che l’Europa intervenga con forza per riaprire il processo di pace ed evitare migliaia di vittime innocenti.
Non c’è  saharawi che non sostenga il presidente della repubblica Ghali e coloro che sono impegnati al fronte, considerati veri e propri eroi come dimostra l’accoglienza al rientro nei campi di chi ha combattuto per settimane nel solo interesse del proprio popolo.
Resta l’amarezza per un conflitto che si poteva e si doveva evitare.
Quando risuonano i colpi delle armi è una sconfitta per tutti.
Nessuno vince, perde solo la pace.

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