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Una guerra a lungo termine eroderà l’intero architrave dell’Etiopia

Da più di un mese l’esercito federale etiope, unitamente alle milizie ahmara e afar, ha avviato una controffensiva per riconquistare le aree occupate nelle regioni Ahmara e Afar dal Tigray Defence Forces.

Nello stesso frangente il TDF ha iniziato una ritirata veloce dalle zone conquistate da Agosto in poi. Se per bocca dei leader del Tplf, tale ritirata è stata dipinta come strategica, l’apporto militare determinato dai droni e l’utilizzo mirato dell’aviazione militare hanno sicuramente stravolto le certezze fin li conquistate dal fronte.

Il tentativo del TDF di stringere in una morsa la capitale, andando ad occupare l’asse stradale verso Gibuti, disegnava verosimilmente l’intento di esercitare una pressione sempre più crescente sul governo (tesa a far capitolare il PM Abiy Ahmed e alla ricostruzione di un governo funzionale), lasciando il fianco sud-occidentale all’azione militare dell’Oromo Liberation Army.

Un’azione che non ha avuto le conseguenze sperate. La tenace resistenza delle milizie Afar sul fronte orientale, ha dato tutto il tempo necessario al governo di organizzare la controffensiva, facendo partire le operazioni proprio nella regione.

La ritirata del TDF è altresì pensabile come un ripiegamento verso un terreno più adatto ad una fanteria leggera come quella del fronte (soggetta alla distruzione delle retrovie da parte dell’aviazione e dei droni), sicuramente distante da quanto dichiarato dal leader e portavoce del Tplf, Debretsion Gebremichael, che ha parlato di un “aggiustamento territoriale strategico”, ma sicuramente più congeniale.

Un fronte allungato verso sud ha impegnato in maniera consistente i tigrini, ha causato numerose perdite tra le sue fila (determinato anche da una campagna di arruolamento da parte del governo che ha ridato nuova linfa all’esercito federale e nuova forza alla sua spinta) ed ha costretto tali forze, a vie di rifornimento logisticamente scoperte, in balia dei raid dell’aviazione, in un territorio pianeggiante e molto diverso da quello montuoso del Tigray.

E’ presumibile che il fronte si assesterà nei pressi del confine con il Tigray, e questo ce lo stanno confermando i numerosi passaggi di mano in mano di alcune città come Gashena o Lalibela, data per riconquistata da parte del governo il 1 Dicembre per poi ripassare sotto il controllo del TDF il 12 Dicembre, imbottigliando migliaia di civili in fuga dai combattimenti e dall’incertezza.

Il TDF sta facendo i conti con la riorganizzazione dell’ENDF, con i successi fin qui conseguiti e con l’utilizzo sempre più mirato dei droni, collocati dal 24 agosto presso la base aerea di Samara, nella regione Afar e dall’arrivo di ingenti quantitativi di armi via Emirati presso la base aerea di Harar Meda.

E’ probabile che il tentativo sia quello di rinchiudere il TDF all’interno dei confini del Tigray, colpendolo dall’alto ad intermittenza, destabilizzando la coesione sociale e dando il colpo finale alla popolazione, sperando nell’abbandono di ogni tipo di istanza politica e militare e soprattutto rendendolo privo di qualsiasi fonte di approvvigionamento.

La milizia tigrina ha potuto sino ad oggi contare su quanto conquistato. Dopo una prima fase di difficoltà, le armi, il carburante e le derrate alimentari sono state quasi del tutto il frutto delle conquiste militari sin li avute. Un fronte in avanzata può contare su nuove armi, medicine, gasolio, denaro, ma un fronte in ritirata prima o poi entrerà in affanno.

Una guerra a tutto campo che, è bene dirlo, si sta sempre più internazionalizzando. La partecipazione dell’esercito eritreo ai combattimenti ha reso palese come il conflitto non potesse essere considerato come una mera questione interna al paese. Le forniture belliche arrivate a sostegno delle operazioni dell’ENDF, da parte della Turchia e via Emirati Arabi Uniti (più volte documentate) potrebbero sancire il prolungarsi della guerra a tempo indeterminato, portando le parti a pensare la mancanza di una via di uscita (se non la vittoria) come ad una soluzione, come più volte ribadito dal governo etiope in queste settimane.

Lo Yemen e la Somalia sono un buon esempio di come questo potrebbe verificarsi anche in Etiopia soprattutto di fronte uno scenario come quello odierno, che non fa presagire la vittoria netta di una parte sull’altra, né un accordo negoziato tra le forze combattenti.

L’Etiopia di oggi non è l’Etiopia del 1991, la popolazione non è quella del 1991. Il Tplf, specialmente nei grandi centri urbani non gode di grande popolarità e il conflitto si è attestato su motivazioni determinate dall’appartenenza etnica, molto distanti dalle istanze ideologiche e politiche dell’allora EPRDF.

IL TDF e l’OLA vorrebbero ampie autonomie per le proprie regioni e forse qualcuno al proprio interno sogna la secessione dalla federazione, ma tra i due, oltre queste motivazioni vi è ben poco terreno comune, che potrebbe essere eroso dal prolungamento della guerra.

Il governo centrale in molte zone è visto come un occupante e aguzzino, come carnefice del proprio popolo.

Un’erosione che non risparmierà nulla. Indipendentemente da chi la spunterà (di certo non il popolo etiope, interessato dalla carestia, dalle privazioni, dalla morte e in molti casi documentati, da veri e propri crimini di guerra) se le ostilità non cesseranno in tempi brevi, a rimetterci sarà l’Etiopia, partendo dalla sua economia per finire con la sua architettura federale.

Un danno in parte già fatto. Tra la popolazione colpita, sia essa tigrina, amara, oromo o afar, i contraccolpi della guerra saranno ingenti e profondi e a dispetto di quale sarà l’esito, produrranno odio e rancore verso il vicino, per decenni.

Photo credit:

PHOTO: EDUARDO SOTERAS/AGENCE FRANCE-PRESSE/GETTY IMAGES
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