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Sudan. Le RSF e la battaglia finale per il Darfur

E’ domenica mattina e le notizie che arrivano dal Nord Kordofan non sono affatto rassicuranti: si intensificano i combattimenti con artiglieria pesante intorno alla città di Al Ubayyid nel Nord Kordofan.

Le forze armate sudanesi (SAF) sembrerebbero aver avuto la meglio riuscendo a respingere gli attacchi delle forze di supporto rapido (RSF) ma l’offensiva ha lasciato sul campo centinaia di morti e decine di mezzi militari, andati persi negli scontri.

Secondo quanto riferito, negli ultimi tre giorni, le RSF avrebbero accumulato forze ingenti dal Darfur nel tentativo di catturare Al Ubayyid e sconfiggere la Quinta divisione di fanteria della città.

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Testimoni oculari hanno riferito al Sudan Tribune che le RSF avrebbero attaccato l’hinterland della città da due direttrici, nord e ovest, con forze aggiuntive arrivate da Barah e En Nahud. L’attacco ha interessato le zone residenziali di Unit, le piazze 12 e 13 e il quartiere di Taiba.

Intensi combattimenti sono andati avanti per tre ore, ad avere la meglio è stato l’esercito che è riuscito a mantenere il controllo -precario- del territorio; le RSF per ora operano ai margini della zona, prendendo di mira con razzi Katyusha intere aree civili.

La città di Al Ubayyid è al centro degli interessi delle RSF, un trampolino di lancio verso la conquista del Darfur. Un obiettivo mai taciuto né celato sin dallo scoppio della guerra, avvenuta ormai un anno fa.

La sua conquista taglierebbe definitivamente i collegamenti tra il Nord Kordofan, lo Stato del Nilo Bianco ad est ed aprirebbe la strada verso il completo controllo del Darfur ad ovest.

Al Fashir, ai margini della regione, è l’unica città non controllata direttamente dalle forze di supporto rapido, ultima roccaforte delle forze armate sudanesi nel Sudan occidentale. Una città 800mila persone (2 milioni la stima, se consideriamo le aree urbane limitrofe) di persone alle quali si sono aggiunti negli ultimi mesi 500mila sfollati, proprio perché città al riparo dai combattimenti, fino ad oggi almeno.

Negli ultimi giorni infatti alcuni villaggi in prossimità della città sono stati attaccati dalle RSF; “negli ultimi giorni, diversi villaggi vicino a Al Fashir sembrano essere stati rasi al suolo. Secondo quanto riferito, un numero imprecisato di persone in un campo per sfollati interni sono state uccise dai bombardamenti e dagli scontri armati“, ha affermato Laetitia Bader, direttrice dell’Ufficio per il Corno d’Africa di Human Rights Watch.

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Rifugiati in fuga dalle recenti violenze nella regione sudanese del Darfur siedono all’ombra vicino alla città di Adre, in Ciad. © UNHCR

Rapporti allarmanti sulla mobilitazione di massa dei combattenti da entrambe le parti sollevano preoccupazioni sul fatto che i combattimenti in una delle città più popolate del Darfur potrebbero portare a atrocità contro i civili“, ha aggiunto.

Alle parole di Laetitia Bader si è aggiunto l’allarme lanciato dall’ONU, che ha avvertito di un pericolo imminente per la città, ben chiaro nelle parole di Rosemary DiCarlo, sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari politici: “Combattere a Al Fashir potrebbe scatenare sanguinosi conflitti intercomunali in tutto il Darfur“.

La città ospita il campo profughi più grande del paese: Zamzam, situato a circa 14 km a sud della città di Al Fashir. Uomini, donne e bambini fuggiti dall’orrore dei combattimenti e dalla pulizia etnica messa in atto dalle RSF nei confronti degli appartenenti alle etnie non di origine araba.

Qualora i civili dovessero cominciare a fuggire dall’area, dovrebbero (improbabile con l’accerchiamento in corso delle RSF) iniziare un lungo cammino di 400 km verso est, attraverso un’area completamente desertica, questo per raggiungere qualsiasi potenziale rifugio sicuro.

Il personale dell’UNHCR valuta i bisogni delle persone colpite dalla violenza intercomunitaria a Jebel Moon, Darfur occidentale. © UNHCR/John Mwate

La battaglia per Al Fashir potrebbe scatenare uno scontro con i gruppi armati presenti in Darfur che fino ad oggi hanno osservato una prudente e interessata neutralità nello scontro in atto tra SAF e RSF, esacerbando ulteriormente la divisione tra etnie arabe e non arabe.

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Dopo mesi di lavoro e di una prudenza al limite dell’ipocrisia della comunità internazionale, un primo rapporto indipendente sulle uccisioni di massa di uomini e donne di etnia Masalit, il Centro Raoul Wallenberg per i diritti umani (RWCHR) ha reso pubblica la prima indagine indipendente, riuscendo a stabilire “le basi legali per individuare i responsabili – mandanti e autori – del genocidio in atto contro i Masalit e altri gruppi non arabi“.

A sudanese girl who fled the conflict in Sudan’s Darfur region, and was previously internally displaced in Sudan, moves past makeshift shelters, near the border between Sudan and Chad, while taking refuge in Borota, Chad, May 13, 2023. REUTERS/Zohra Bensemra

Dopo mesi passati aggirare la questione del genocidio, ora abbiamo un rapporto conclusivo del RWCHR che ci dice cosa avrebbe dovuto essere già determinato: le RSF e le milizie alleate sono responsabili del genocidio in Darfur contro gli appartenenti a etnie non arabe“.

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