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Sudan, la lotta tra generali al potere spinge il Sudan verso la guerra civile

Un tentativo di colpo di stato annunciato quello che si sta consumando in Sudan, ma con una novità sostanziale: il coinvolgimento dei miliziani della società russa Wagner Group.
Dalle prime ore della mattinata di oggi sono risuonati a Khartoum, la capitale, colpi di arma da fuoco ed esplosioni dopo giorni di tensione tra le Forze di supporto rapido, paramilitari guidati dal vice presidente del Consiglio di transizione sudanese, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, meglio conosciuto come “Hemeti”, e l’esercito regolare fedele al generale Abdel Fattah al-Burhan, che è a capo del Consiglio Sovrano.

Sono almeno 56 le vittime degli scontri, di cui molti civili, e centinaia di feriti.

L’attacco più grave quello sferrato con una granata all’aeroporto di Khartoum di cui le milizie di Hemeti affermano di aver preso il controllo. Due passeggeri dell’aereo investito dall’esplosione sono rimasti uccisi mentre tutti i voli commerciali sono tornati nei loro Paesi d’origine piuttosto che tentare di atterrare. Ma in molti, sia sudanesi che stranieri, sono intrappolati nello scalo non potendo partire né uscire dall’aeroporto sotto assedio.

La risposta dell’aviazione sudanese è stata pressoché immediata con il bombardamento delle basi paramilitari nella capitale. Allo stesso tempo le forze aeree governative hanno distrutto con caccia da guerra un campo delle Forze di supporto rapido nella regione orientale del Nilo.

Ma l’azione militare cruciale è quella che ha visto impegnati sul terreno i miliziani russi, che con i “colleghi” sudanesi condividono gli interessi delle miniere d’oro di cui hanno il controllo, che hanno favorito la “presa” del quartier generale dell’esercito e del palazzo presidenziale.

Le forze di Hemeti sostengono di controllare sia l’aeroporto che i due importanti palazzi presidenziali mentre il portavoce dell’esercito, Brig Gen Nabil Abdallah, ha dichiarato che “i combattenti per affermare la propria supremazia sono in corso e l’esercito sta svolgendo il suo dovere di salvaguardare il paese”.

Le avvisaglie che qualcosa di grave stesse per accadere si erano affacciate già da martedì scorso, quando erano stati schierati nelle strade della capitale decine di blindati per rispondere a una manifestazione pacifica nel giorno in cui si celebrava la caduta della dittatura in Sudan, l’11 aprile del 2019.

Khartoum, nell’anniversario della fine del regime trentennale del presidente – dittatore Omar Hassan al-Bashir, ha vissuto ore di tensione nell’attesa della firma di un accordo fra le autorità al potere e il coordinamento delle forze civili per un governo guidatoda questi ultimi.

Mentre Burhan aveva manifestato la volontà di procedere all’alternanza alla guida del Sudan, Hemeti voleva imporre uno slittamento di dieci anni durante i quali “strutturare meglio il paese e garantire piena stabilità”.

Altro punto di attrito quello relativo alla gestione dell’apparato di sicurezza e in particolare all’ipotesi di inserimento nell’esercito sudanese delle Forze di supporto rapido, che durante le proteste del 2019 contro il dittatore Bashir repressero nel sangue le manifestazioni pacifiche dei civili che chiedevano ai militari di fare un passo indietro dopo la caduta del regime.

In base alla tempistica dettata da precedenti intese, le parti avrebbero dovuto annunciare lo scorso 11 aprile un nuovo primo ministro ed altri membri del futuro governo. Ma il comitato congiunto composto da esponenti dell’esercito e delle Rsf, istituito per discutere delle questioni controverse, ha sospeso i colloqui determinando uno stallo.

Nelle stesse ore, 14 veicoli blindati guidati dai miliziani del Sudan, avevano lasciato il quartier generale di Zurq, località situata al confine con la Libia, per muoversi verso il centro di Khartoum “in previsione di qualsiasi emergenza”.

Al centro delle tensioni ci sono in particolare le differenti vedute sul futuro delle milizie esistenti fra il presidente del Consiglio sovrano, Burhan, ed il suo vice nonché comandante delle Rsf “Hemeti” Dagalo ma anche la visione dei rapporti internazionali, in particolare con la Russia dove di recente entrambi i leader sudanesi sovrano avevano incontrato il ministro degli Esteri Lavrov.

Intanto, nonostante gli scontri tra le due fazioni militari, sono in migliaia i manifestanti scesi in piazza per chiedere libertà e democrazia.

La società civile non vuole subire inerme questo nuovo attacco alla sovranità del popolo sudanese che pretende il ripristino di un governo civile dopo il golpe del 2021 che aveva deposto il primo ministro Abdalla Hamdok.

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