Da quando sono scoppiati i combattimenti tra l’esercito sudanese (SAF) e le forze di intervento rapido (RSF), migliaia di rifugiati eritrei sarebbero stati allontanati dai campi profughi e convogliati in una zona a confine con l’Eritrea, denominata Gate 13.
Secondo alcuni attivisti per i diritti umani eritrei, oltre 3500 rifugiati eritrei sarebbero state già rimpatriati in Eritrea dai funzionari della sicurezza.
In base a quanto riferito da alcune fonti al quotidiano inglese The Guardian, gran parte dei rifugiati sono giovani, fuggiti dalla coscrizione obbligatoria e universale (proclamata dal Presidente Isaias Afwerki nella seconda fase della guerra intrapresa a fianco dell’esercito etiope contro la leadership tigrina del Tplf) e da civili in fuga dall’autoritarismo e dalle condizioni di vita al limite della sopravvivenza.
Molti di loro sarebbero stati prelevati dal campo per rifugiati di Cassala, vicino al confine, e inviati a confine sulla strada che porta a Tessenei.
Nessuno sa cosa sia accaduto ai rimpatriati. Alcuni di loro dopo essere riusciti a mettersi in contatto con i familiari in patria, hanno riferito che nessuno dei forzati ha fatto rientro a casa, quindi sarebbero stati portati altrove.
Alcuni di loro erano dei rifugiati politici, attivisti che si opponevano al regime di Isaias Afwerki. Nelle 3500 persone rimpatriate, portate nei dintorni di Tessenei, 95 sarebbero state imprigionate, tra di loro 8 donne.
Agli altri, sarebbe stato dato il permesso di far ritorno dalle loro famiglie, ma nessuno sa per certo quale sarà la loro fine.
“Il regime eritreo è brutale“, ha detto la fonte tra gli attivisti al giornale, “sono preoccupato che alcuni di loro scompariranno per sempre, specialmente quelli che avevano opinioni su Afwerki“.
Una tragedia nella tragedia. Il Sudan ospita oltre 1,1 milioni di rifugiati. Sebbene l’80% di essi sono rifugiati interni, nel paese sono presenti più di 126000 rifugiati eritrei, stabilitisi in gran parte (75000) nell’area di Khartoum, e presenti nella regione da prima che scoppiassero gli scontri armati tra esercito ed RSF.
Uomini e donne che hanno subito abusi di ogni tipo, anche in quello che doveva essere il luogo del loro rifugio. Più volte, le associazioni per i diritti umani hanno segnalato detenzioni arbitrarie e pagamenti di riscatto a danno di cittadini eritrei.
Da stime ufficiali sappiamo che ad oggi 9 cittadini eritrei avrebbero perso la vita nella zona urbana della capitale e altri 4 invece, nella zona di Jabara (quartiere di residenza del comandante delle RSF, “Hemeti” Dagalo).
Alcune centinaia di persone hanno cercato di riparare verso sud, pagando centinaia di dollari per trovare rifugio nella città di Wau, nel Sud Sudan. Altri sono stati trasferiti a confine con l’Uganda, nella città di Kaya, passando per il centro di Renk, come riportato da Marie-Helene Verney, rappresentante dell’UNHCR in Sud Sudan.
Sudan, al via colloqui di pace in Arabia Saudita ma il conflitto non si ferma
Nella guerra che i media hanno quasi dimenticato, per la quale in queste ore si sta tentando una soluzione diplomatica (dopo le innumerevoli tregue annunciate e immancabilmente violate) a Jeddah, portata avanti dall’Arabia Saudita, il destino di centinaia di migliaia di profughi interni e provenienti da Eritrea, Tigray, Somalia e Siria appare avvolto nel buio.