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Sud Sudan, la storia di Amy e del calcio femminile nel Paese che il Papa avrebbe dovuto visitare

La storia di Amy Lasu, capitana del giovane e fragile Sud Sudan, racconta la forza dello sport, in quel Paese che il Papa avrebbe dovuto visitare proprio in questi giorni. Qui il video integrale (link), realizzato da Amref per Africa Mediata.

Amy si allena, in un campo a Juba, capitale del Sud Sudan che attendeva la visita storica di Papa Francesco. Si allena mentre nel nostro continente le nazionali stanno per dare il via agli Europei di Calcio Femminile. Amy Lasu è la capitana della squadra femminile di uno stato giovanissimo, ma fragile. Dopo anni vissuti in Kenya, Amy è tornata nel suo Paese, anche per essere d’esempio e di aiuto ad altre ragazze e bambine.

Era il 1998, Amy aveva solo  tre anni, quando con la sua famiglia fu costretta a fuggire dalla guerra civile e a rifugiarsi in Kenya.  Qui è cresciuta, ha frequentato le scuole, si è laureata in gestione delle risorse umane presso la Moi University nel 2018, prima di fare rientro nella sua terra natia. “Il Sud Sudan rappresenta la mia identità, le mie origini. Il Kenya, invece, il luogo che mi ha fatta diventare quella che sono oggi”.

In Kenya ha anche affinato il suo talento calcistico con la Women Premier League (WPL), sbocciato per la prima volta all’età di sette anni. Il calcio, in Africa, regala a lei e a molte sue compagne la speranza di una vita normale: il sogno di una vita migliore. Amref ha incontrato Amy, in una partita di calcio pensata per sensibilizzare la popolazione sulla tematica delle malattie rare in Sud Sudan.

“Ci sono donne che hanno seguito anche corsi per allenare e corsi per arbitrare. Questo significa che il calcio sta dando a noi tutte nuove aspettative – racconta Amy, che poi aggiunge -. Tante ragazze mi ammirano perché in qualche modo sono riuscita ad affermarmi; dimostrare loro che è questo è possibile mi rende estremamente felice”.

In Sud Sudan Amy si è data una sorta di missione: “Sono convinta che più bambine inizieranno a tirare calci ad un pallone, meno matrimoni e gravidanze precoci ci saranno. È proprio questo quello che voglio fare con loro: avvicinarle al campo da gioco, informarle e tenerle alla larga dai pericoli che corrono. Tutto ciò mi motiva a lavorare ancora più duramente”.

Amy sa quanto sia difficile nel suo Paese essere donne ancor prima che essere calciatrici. “È meraviglioso quanto difficile – spiega -, così come lo è fare quello che spesso pensiamo non ci appartenga, come lo sport. Da donna puoi dimostrare tanto, ma spesso i familiari, le comunità e le tradizioni non te lo permettono”. “Io sono stata fortunata – ammette -. Gioco a calcio da quando ero piccola e la mia famiglia mi ha sempre supportata. Molte altre ragazze non hanno però la mia stessa fortuna… Non possono inseguire i propri sogni, e spesso si trovano anche a condurre una vita che non desiderano. Vengono date in spose da bambine, tenute in casa a fare cose ‘da donne’, senza diritto di scelta”. 

 
Per questo l’obiettivo di Amy è istituire presto una propria accademia di calcio. “Voglio poter dare il buon esempio: per le ragazze, per le famiglie, per la società. E per far sì che ogni bambina possa diventare la donna, o la calciatrice, che ha sempre sognato di essere”. La storia di Amy è stata raccontata nel dossier Africa MEDIAta (a cura di Amref e Osservatorio di Pavia), mentre l’intervista video integrale è visibile al link sopra. 
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