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Ruanda-UK, quel volo bloccato dalla pietas più che dalla giustizia. Ma deportazione non si ferma

Questa volta la disumana deportazione orchestrata dal governo Johnson non è iniziata. L’aereo per il Ruanda non è partito.
il piano liberticida di “esternalizzare” le procedure d’asilo del Regno Unito è stato – per ora – bloccato grazie al giudice di un 
tribunale britannico che ha accolto il ricorso di un detenuto iracheno, facendolo scendere dall’aereo pronto a partire dalla pista dedicata al ministero della Difesa a Boscombe Down ad Amesbury.
Ancora prima a fermare la deportazione di un altro richiedente asilo – sempre cittadino iracheno – e di cinque rifugiati a bordo di un volo charter pagato dai contribuenti britannici per un valore stimato di 500 mila sterline – cui si aggiungono le spese legali e di mantenimento di ogni richiedente asilo – era stata a Corte europea dei diritti umani, riuscendo a evitare all’ultimo minuto che venissero spediti nel paese africano.
Nonostante quella ottenuta dagli attivisti sia una vittoria importante, la battaglia per i diritti di centinaia, migliaia di esuli, non è ancora finita. Anzi è appena iniziata.
Boris Johnson non ha alcuna intenzione di recedere dal suo intento ignorando le proteste e le critiche giunte da più fronti.
L’attuazione del programma, fortemente voluto dal governo Tory per spedire nella remota Ruanda parte dei migranti illegali che continuano a sbarcare dalla Francia attraverso la Manica, resta un obiettivo primario. Un piano che non tiene conto dei basilari diritti umani di una persona e che di fatto affida la gestione dei richiedenti asilo  alle autorità di Kigali con un accordo economico molto vantaggioso per k ruandesi.
lmmaginato come un meccanismo di deterrenza, più che in una prospettiva di trasferimento di massa dei ‘clandestini’, il progetto era entrato nel vivo con un primo volo verso il limbo africano dopo il via libera dei giudici che hanno respinto le richieste di sospensiva cautelare delle partenze avanzate da individui e organizzazioni umanitarie.
Anche se l’Home Office guidato dalla ministra dell’Interno, Priti Patel, super falco della compagine di Boris, ha ridotto il primo contingente a qualcosa di poco più che simbolico: con appena una decina di migranti inseriti infine nella lista iniziale.
Ma le organizzazioni internazionali e la Corte europea dei diritti non demordono e continuano a contrastare l’azione antidemocratica del governo Johnston.
Ultimi in ordine di tempo a prendere solennemente a scudisciate il primo ministro sono stati i vertici della Chiesa d’Inghilterra, confessione cristiana di riferimento del Regno che fa capo nominalmente alla sovrana. Secondo gli arcivescovi di Canterbury e di York, Justin Welby e Stephen Cottrell, numero uno e due della gerarchia anglicana, il cosiddetto ‘piano Ruanda’ – già attaccato dalle opposizioni politiche in Parlamento, da ong nazionali e internazionali, dall’agenzia Onu per i Rifugiati (Unhcr) e persino in dichiarazioni private attribuite al principe Carlo, erede al trono che stando al Times disistima a tutto tondo BoJo, cordialmente ricambiato – è solo una scorciatoia “immorale” che “getta vergogna sulla Gran Bretagna”. Parole alle quali Johnson, alla ricerca affannosa di un rilancio di popolarità dopo lo scandalo Partygate e il contrastato voto di fiducia alla sua leadership fra i ranghi del suo medesimo partito, ha risposto indirettamente per le rime durante la riunione del martedì del Consiglio dei ministri: denunciando i ricorsi legali contro la propria politica migratoria quasi come un favore agli scafisti, insistendo nel difenderla come “la strada giusta” e assicurando di non avere alcuna intenzione di cedere alle bufera di critiche. In sintonia la ministra degli Esteri, Liz Truss, altra aspirante lady di ferro dell’esecutivo, secondo cui il piano Ruanda – ricalcato su iniziative analoghe di trasbordo fuori confine dei clandestini in vigore in Paesi come l’Australia o tentate senza successo da altri come Israele – va inteso alla stregua di un schema che mira a “scoraggiare il traffico di carne umana”: a suo dire non soltanto economicamente “conveniente”, ma “completamente morale”. Mentre da Kigali una portavoce ruandese ne ha parlato come di una “soluzione innovativa” bersagliata dai “pregiudizi”, sostenendo che essere “accolti in Ruanda non è una punizione” e giurando sulle condizioni che il suo Paese s’impegna a garantire fino a “migliaia di ospiti”. Restano tuttavia interrogativi sul livello di rispetto dei diritti fondamentali di chi si ritroverà o sarà minacciato di ritrovarsi in una terra estranea, distante migliaia di chilometri. Oltre che sulla reale efficacia dissuasiva della trovata, messa in dubbio dai dati sugli sbarchi conteggiati anche nelle ultime 24 ore almeno a quota 260 tra Francia e Inghilterra del sud. BoJo può d’altro canto contare sull’incoraggiamento di qualche sondaggio che indica attorno al 50% il consenso dichiarato fra i britannici allo schema ruandese e alla promessa, finora rimasta nei manifesti elettorali) di una stretta post Brexit dei controlli alle frontiere, contro il 25% circa di chi s’oppone esplicitamente.
Concludo questa mia riflessione riprendendo il pensiero e il quesito di un caro amico, padre Pietro Rinaldi, per anni missionario nella Repubblica democratica del Congo, che nell’apprendere della inumana deportazione verso Kigali ha rischiato di avere un malore.
Perché la Gran Bretagna tra tanti Paesi manda i migranti non accettati in Ruanda?
Beh, la risposta è da ricercare tra le pieghe degli accadimenti tra il Paese governato da Kagame e il vicino Congo.
Per quanto la retorica di una certa informazione, che pare più cassa di risonanza per la propaganda britannica, descriva il Ruanda come un Paese che accoglie anche i rifugiati degli Stati confinati, lo presenta come fosse “il benefattore dell’umanità”… nessuno, tranne chi scrive e i collaboratori di Focus on. Africa, accenna a cosa stia avvenendo in Congo proprio a causa dei ruandesi.
Come mai chi celebra il governo di Kigali non sa, o peggio ancora, finge di non sapere, che ciò che succede nel nord Kivu è gran parte responsabilità di gruppi armati tutsi provenienti dal Ruanda e di chi si nasconde dietro quel paese?

Credits foto EFE

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