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RDCongo, in meno di un anno 16 attacchi ai campi per sfollati, 185 morti e centinaia feriti

Lo scorso 8 giugno uomini armati hanno attaccato a Kashuga, nella provincia del Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, un campo in cui le famiglie avevano cercato riparo dopo essere fuggite dal conflitto tra gruppi armati e le forze armate nazionali (FARDC). L’attacco ha causato sette vittime, le ultime di una serie di 16 attacchi brutali e mirati ai campi di sfollati nelle province del Sud Kivu, del Nord Kivu e dell’Ituri, che negli ultimi 12 mesi hanno causato la morte di oltre 185 uomini, donne e bambini e centinaia di persone sono state ferite. “Hanno strappato le tende e decapitato mia figlia. Non ho più forze e non posso lottare per trovare cibo per i miei figli. Al mondo posso solo chiedere di aiutarci a ricominciare e a trovare un modo per guadagnare, vestirci e provvedere alle cure. Voglio che torni la pace per poter lavorare di nuovo”, ha raccontato un uomo ventottenne, sopravvissuto ad un attacco a un campo per sfollati a febbraio.

Questo l’allarme congiunto lanciato da varie organizzazioni che operano nel paese – Action contre la Faim, Consiglio danese per i rifugiati, Magna, Medair, Mercy Corps, Consiglio norvegese per i rifugiati, Save the Children, Solidarités International – che condannano senza riserve gli attacchi ai civili e alle infrastrutture civili, come scuole e ospedali. La violenza contro i civili, anche durante un conflitto, è vietata dal diritto internazionale umanitario. Gli attacchi a scuole e ospedali sono una grave violazione dei diritti dei bambini nei conflitti. Le organizzazioni chiedono a tutte le parti di porre fine alle atrocità contro i civili, agli attacchi alle infrastrutture civili e all’impunità per queste azioni e alle autorità di ripristinare la pace e di garantire la sicurezza dei civili nelle aree di sfollamento e di ritorno, nonché di intraprendere indagini efficaci e di consegnare alla giustizia i responsabili delle violazioni dei diritti umani. Inoltre, è fondamentale, sottolineano, che i partner bilaterali della RDC sostengano il Meccanismo Regionale di Monitoraggio e gli sforzi di mediazione dell’Unione Africana e di altri paesi del continente, per contribuire a porre fine a questo brutale conflitto. Kashuga è una città del territorio di Masisi, nel Nord Kivu. Secondo il Cluster Protezione, dal maggio 2021 ci sono stati in totale 16 attacchi ai campi per sfollati che hanno causato 82 feriti e 185 morti, tra cui anche donne e bambini. Dei 16 attacchi totali agli sfollati, nove si sono verificati in Ituri, sei nel Nord Kivu e uno nel Sud Kivu. In tutta la RDC più di 5,5 milioni di persone sono attualmente sfollate (IDMC).

Il Paese ospita anche più di 500.000 rifugiati provenienti da Burundi, Rwanda, Sud Sudan e Repubblica Centrafricana. La RDC attraversa attualmente una delle più grandi carestie al mondo, con 27 milioni di persone che soffrono la fame. Inoltre i suoi rapporti diplomatici con il Rwanda si stanno rapidamente deteriorando: secondo l’esercito congolese, le forze ruandesi hanno supportato gli ultimi attacchi dei ribelli del gruppo M23 nel Nord Kivu, intensificatisi dalla fine di maggio, che continuano anche in questi giorni: il 10 giugno si sono avuti pesanti combattimenti a Bigega, nel territorio di Rutshuru, e il 14 giugno l’importante città di Bunagana risulta presa dall’M23. Questo ha fatto reagire le cancellerie occidentali, in particolare quelle dei paesi membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Dall’altro fronte, il Rwanda respinge le accuse di collusione con l’M23, un gruppo, composto principalmente da tutsi congolesi, e, anzi, accusa l’ONU di “prendere posizione” per la RDC. Il governo di Kinshasa accusa il suo vicino ruandese di aver schierato 500 soldati sul suo territorio, ma Kigali nega e ritiene che la RDC sostenga un altro gruppo armato, i ribelli hutu ruandesi delle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (FDLR).

Intanto aumentano anche le prese di posizioni internazionali di intellettuali e personalità della cultura, come Denis Mukwege, Premio Nobel per la Pace 2018, che denuncia la “aggressione” del Rwanda contro la RDC e chiede al Belgio di agire: “può giocare un ruolo molto importante“, come quello avuto nel 2012 dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che all’epoca “aveva chiamato il presidente ruandese per chiedergli di fermarsi e una settimana dopo, il gruppo M23 si era ritirato in Rwanda; una telefonata che ci ha dato pace per dieci anni“.

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