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Rame, zinco, oro e argento. Gli affari della Cina in un nuovo progetto minerario in Eritrea

381.000 tonnellate di rame, 850.000 tonnellate di zinco, 436.000 once d’oro e 11 milioni di once d’argento, per un valore annuale netto di 692 milioni di dollari ed un attività prevista per 17 anni.

Questo il “Progetto Asmara”, al cui taglio del nastro ha partecipato l’ambasciatore cinese in Eritrea, Cai Ge. L’Asmara Mining Share Company, titolare dell’Asmara Project in Eritrea, è una joint venture (60%-40%) tra la SRBM cinese e l’ENAMCO di proprietà statale.

L’ambasciatore cinese Cai Ge, taglia il nastro all’inaugurazione della nuova miniera polimetallica di Asmara in Eritrea.                             Photo credit: Ambasciata cinese

Il progetto dovrebbe contemplare quattro siti, Emba Derho, Adi Nefas, Gupo e Debarwa; secondo lo studio di fattibilità datato 2013 e rivisto nel 2014, l’estrazione dai quattro giacimenti avanzati che compongono il Progetto Asmara e l’elaborazione del minerale in una posizione logisticamente ideale nel sito di stoccaggio più grande, quello di Emba Derho, sono attività economicamente solide.

L’attività estrattiva è delineata in tre fasi: la prima prenderebbe il via con l’estrazione di una grande quantità di rame dal sito di Debarwa, che accumulato in superficie sarà adatto alla fase di lisciviazione, ovvero al trattamento in una soluzione di cianuro, potassio, calcio o sodio che in presenza di ossigeno, scioglieranno e porteranno in superficie il metallo.

Finita questa fase inizierà quella di produzione di rame e infine quella di zinco. Il rame di alta qualità sarà frantumato e caricato in container e trasportato per 120 km all’impianto portuale di Massaua per essere spedito e venduto a una fonderia in Cina (una processo noto come minerale di spedizione diretta o “DSO”).

L’obiettivo del governo eritreo, presieduto da Isaias Afwerki ormai da tre decadi, è quello di avere su suolo eritreo, quattro siti di produzione mineraria di concezione moderna entro il 2025. Per arrivare a questo obiettivo, si stanno utilizzando grandi quantità di denaro, tra le quali i ricavi del già esistente sito minerario di Bisha.

Già il sito di Bisha, perché non solo di Cina si dovrebbe parlare, essendo il primo sito di estrazione del paese, in mano alla canadese Nevsun Resources (NYSEMKT: NSU), in joint venture con la Eritrean National Mining Company (ENAMCO); Bisha ad oggi è ancora una delle miniere di rame a cielo aperto di più alta qualità al mondo, con il suo 2% di rame equivalente.

Solo due settimane fa abbiamo riportato dell’inaugurazione del progetto di Colluli, con la scoperta da parte dell’australiana South Boulder Mines Ltd di uno dei più grandi giacimenti di cloruro di potassio al mondo, proprio nella zona. Con i suoi 194 milioni di tonnellate di potassio, sarebbe il sito più grande al mondo, peraltro logisticamente perfetto per vendere il potassio ai grandi mercati di Cina ed India.

Come mai tutta questa attenzione nella zona? Davvero la presenza di metalli rari e preziosi è così consistente?

In effetti la regione è riconosciuta come geologicamente importante, il luogo dove le rocce precambriane divise dal Mar Rosso danno vita a vasti giacimenti di . Viene definita come scudo arabo-nubiano, altri molto più semplicemente la chiamano il “Mahd adh Dhahab” o la “culla dell’oro“, facendo riferimento alle miniere di Re Salomone. Un’area che sta attirando l’attenzione e ormai la partecipazione di molti fondi di investimento come Blackrock e Vanguard.

Etiopia, Eritrea, Sudan, Egitto e Arabia Saudita sono sotto la lente d’ingrandimento e non v’è alcun dubbio che in campo minerario riserveranno altre sorprese. Sorprese che non piacciono ad investitori internazionali come la Cina, pronta ad mettere sul banco centinaia di milioni di euro ed estendere la propria influenza nell’area, non solo economica.

 

 

 

 

 

 

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