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Malawi, la Bbc smaschera società cinese di produzione video che sfrutta i bambini

Un’inchiesta di BBC Africa, realizzata dalla giornalista Runako Celina e il giornalista investigativo del Malawi, Henry Mhango ha smascherato un’industria cinese di produzione di video che sfrutta i bambini in Malawi. Il documentario ripercorre l’inchiesta nata dalla denuncia dello youtuber ghanese Wode Maya, che nel 2020 mostrava un video apparso in rete in cui alcuni bambini ripetevano frasi in cinese descrivendosi come “mostri dal basso quoziente intellettivo”.
‘Racism for sale‘ parte proprio dall’esigenza investigativa di scoprire innanzitutto dove fosse stato girato questo video e da chi. Quello che emerge immediatamente è un mercato del web basato in Cina e sostenuto da un’enorme rete di finanziatori che gestiscono il commercio di questi video. Basta, infatti, una semplice ricerca online per approdare su pagine Facebook che rimandano a siti dove acquistare video venduti a centinaia di dollari. Alcuni video identificati nell’inchiesta sono stati venduti sui social media cinesi Weibo e Huoshan, in questi compaiono bambini affamati a cui agitano davanti delle patatine, altri che giurano di restare in Africa oppure che promuovo la bellezza del colore della pelle cinese. È la punta di un iceberg, sotto il quale si nasconde il pericolo di un mercato nero che nel dark web riesce a commercializzare video dal contenuto più esplicito e pedopornografico.

Ma tornando alla domanda, dove sono stati girati questi video? La risposta la fornisce la tecnologia. Grazie alle immagini estrapolate i giornalisti sono riusciti a risalire a un villaggio in Malawi; Lilongwe. Recatisi sul posto è stato chiaro fin da subito che si trattava di un’organizzazione che gestiva un mercato basato sullo sfruttamento minorile. Intervistando gli abitanti si è scoperto che la produzione di video era stata mascherata come un’opera caritatevole, una scuola per bambini in cui veniva insegnata loro la lingua e la cultura cinese realizzando video “divertenti”, che venivano poi pagati mezzo dollaro al giorno. Grazie alla collaborazione di un giornalista cinese sotto copertura, che si è finto interessato all’acquisto dei video, l’inchiesta arriva finalmente sulle tracce di Lu Ke che a telecamere nascoste conferma di essere lui a realizzarli. Nel video l’uomo confessa di guadagnare decine di migliaia di dollari al giorno grazie allo sfruttamento dei bambini vulnerabili e di non avere alcun rispetto ne pietà per loro. Tesi confermata peraltro dalle testimonianze di alcuni bambini che hanno rivelato di aver subito violenze fisiche ogni qualvolta commettevano degli errori; a indicazione che questa “scuola” era tutto fuorché un luogo di studio della cultura cinese.

Tutto questo va inserito in un contesto di visione colonialista della Cina in Africa. Un colonialismo soft all’apparenza, ma che in realtà nasconde tutti i paradigmi di un colonialismo classico e tra questi c’è sicuramente il razzismo.

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