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RDC-Uganda: accordo eserciti per combattere i ribelli dell’ADF

Il 28 novembre, “Radio France International” ha diffuso una sua notizia esclusiva: il presidente della RDC Félix Tshisekedi avrebbe accolto la richiesta del suo omologo ugandese Yoweri Museveni di autorizzare l’ingresso delle forze armate ugandesi (UPDF) nei territori dell’est della Repubblica Democratica del Congo. Dovrebbe trattarsi di un’operazione congiunta con le FARDC (le forze armate congolesi) contro i ribelli dell’ADF (Allied Democratic Forces). Questo è un gruppo armato ugandese che riunisce movimenti di opposizione al presidente Museveni, fondato nel 1995, ma stanziatosi nelle provincie orientali della Repubblica Democratica del Congo. Si tratta di un gruppo composto essenzialmente da islamisti del movimento tabligh, caratterizzato da proselitismo e ultra-fondamentalismo, che è stato capeggiato da Jamil Mukulu, un cristiano convertito all’Islam, dal 2007 al 2015, anno del suo arresto, poi da Musa Seka Baluku. Secondo varie stime, l’ADF ha tra i 300 e i 600 combattenti e, dal 2017, risulta affiliata dello Stato Islamico.
L’informazione non ha ancora ricevuto conferma da parte delle autorità perché si tratta di una decisione delicata, considerata la storia recente tra i due Paesi, coinvolti tra il 1998 e il 2003 nella più grande guerra dell’Africa, in cui si sono combattute 8 nazioni africane e circa 25 gruppi armati. Quel conflitto ha causato circa 5,4 milioni di morti, spesso per malattia e fame, conclusosi senza alcuna vittoria definitiva ma con la ritirata degli eserciti di Uganda e Rwanda dall’est della RDC, sebbene in contemporanea, in quegli stessi territori, sia scoppiata la guerra del Kivu.
Facendo riferimento ad una fonte ONU, RFI spiega che la decisione del capo di Stato congolese sarebbe stata presa venerdì sera, 26 novembre, quando “le Nazioni Unite sarebbero state informate della volontà di Félix Tshisekedi di far entrare l’UPDF, l’esercito ugandese, nei territori del Nord Kivu e dell’Ituri”. L’operazione avrebbe lo scopo di combattere il gruppo armato delle ADF, i cui attacchi negli ultimi anni sono aumentati soprattutto contro i civili e le forze congolesi; il caso più recente risale al 16 novembre, quando le autorità ugandesi hanno accusato le ADF di aver organizzato e attuato i due attentati avvenuti a Kampala.
Secondo vari osservatori e membri della società civile, l’ipotesi dell’arrivo di un altro esercito nell’Ituri e nel Nord Kivu “rappresenta un’altra minaccia per i civili”, perché i miliziani delle ADF si mischiano agli abitanti, rendendosi difficili da identificare.

Tra le voci più critiche ed autorevoli, quella del dottor Denis Mukwege, Premio Nobel per la Pace 2018, che la sera del 28 novembre ha scritto su Twitter che, “dopo 25 anni di crimini di massa e saccheggio delle nostre risorse da parte dei nostri vicini, l’autorizzazione del Presidente [Tshisekedi] a far entrare l’UPDF è inaccettabile. No ai piromani/pompieri! Gli stessi errori produrranno gli stessi tragici effetti”:

Nelle provincie orientali congolesi del Kivu, da oltre sei mesi è in vigore lo stato d’assedio, che tuttavia non è riuscito a portare alcuna pace. Molti, pertanto, leggono questa iniziativa del Presidente come un’ammissione di fallimento di quella strategia.
Una cooperazione tra l’UPDF e le FARDC contro le ADF in Repubblica Democratica del Congo è iniziata già nell’ottobre 2013, ma si era limitata all’invio di ufficiali di collegamento e alla condivisione di informazioni. Quella sinergia permise un indebolimento del gruppo ribelle, tuttavia dopo sei mesi si capi’ anche che l’operazione non era arrivata fino in fondo, perché le ADF non erano state del tutto sconfitte, come spiegato in questo servizio di NTVUganda del maggio 2014:

L’approvazione dell’operazione militare congiunta ugandese-congolese da parte di Felix Tshisekedi è particolarmente attesa dal presidente Yoweri Museveni, non solo per ragioni di sicurezza, ma anche per motivi economici. Lo scorso maggio, infatti, un consorzio ugandese si è aggiudicato la costruzione di diverse strade che collegano i due Paesi, per cui i due eserciti avrebbero anche il compito di tutelare i cantieri e le infrastrutture.
Secondo le informazioni più recenti, la decisione congolese sembra sicura, tuttavia la sua attuazione necessita ancora della definizione di vari dettagli, ma soprattutto dell’approvazione da parte del Parlamento. Dal canto loro, le Nazioni Unite spiegano che MONUSCO (l’operazione di peacekeeping nell’est congolese) ha ricevuto informazioni che la invitano a coordinarsi con le forze sul terreno. Secondo il ricercatore Daniel Levine-Spound, questo ha degli effetti concreti sull’operazione dell’ONU: “La MONUSCO ha il mandato di fornire sostegno alle forze armate congolesi in determinate circostanze. Per esempio, la missione è autorizzata a “condurre operazioni offensive mirate… sia unilateralmente che congiuntamente con le FARDC” attraverso la Force Intervention Brigade. Tuttavia, la Missione non ha un mandato per sostenere le forze armate ugandesi (UPDF) o altre forze armate”, per cui, ad oggi, risultano varie lacune nell’ordinamento generale che organizza e regola i rapporti militari della zona.

Inoltre, secondo i principi delle Nazioni Unite, i caschi blu di stanza nella RDC sono chiamati a determinare il rischio di “gravi violazioni” dei diritti umani e del diritto internazionale dei rifugiati, anche da parte di eventuali partner in operazioni militari e, stando alle accuse ricevute nel 2009 e 2010, MONUSCO non puo’ permettersi errori o sospetti, per cui dovrebbe poter ricevere informazioni adeguate sulle unità e sui comandanti che le viene chiesto di sostenere. Ma, si domanda Daniel Levine-Spound, i governi interessati sono disposti a questa apertura?

Al momento, molte tra queste domande sono ancora ipotetiche, tuttavia è significativo anche che l’annuncio della collaborazione tra FARDC e UPDF avvenga in un momento in cui la partecipazione tra FARDC e MONUSCO stia aumentando nella provincia del Kivu.

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