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RD Congo-Rwanda: un massacro nel Nord Kivu che sconcerta tra accuse reciproche

Secondo fonti locali, il 29 novembre scorso è stato perpetrato un massacro contro i civili in alcuni villaggi a nord di Goma, nell’est della RDCongo, dove da un anno sono tornati ad affrontarsi soldati dell’esercito regolare congolese e miliziani di gruppi armati, specie dell’M23, il Movimento 23 Marzo, composto principalmente da tutsi congolesi filo-rwandesi. Nell’eccidio sarebbero morte centinaia di persone: a seconda delle fonti e dei giorni, il numero varia da 100 a 200, fino a 272 persone uccise, secondo il bollettino ministeriale del 5 dicembre, di cui 17 bambini, soprattutto nel villaggio di Kishishe.

Al momento, le circostanze in cui è avvenuto il massacro sono ancora piuttosto oscure, tuttavia sarebbe stato perpetrato in una chiesa e in un ospedale avventisti, presso una popolazione che – riferiscono i pochi testimoni ascoltati dalla stampa – “non hanno nulla a che fare con le FDLR o i Mai Mai” (due gruppi ribelli avversari dell’M23).

Secondo Willy Ngoma, portavoce dei ribelli M23, gli eventi di Kishishe “sono stati pesantemente manipolati e pubblicizzati per motivi politici” e, come riferito in un documento pubblicato il 3 dicembre, il massacro sarebbe stato causato da scontri per il controllo del territorio tra FARDC e M23 e, addirittura, come rappresaglia governativa contro civili che rifiutano di sostenere la causa di Kinshasa. In ogni caso, aggiunge il comunicato, il bilancio sarebbe stato “fabbricato in eccesso per le necessità della propaganda”, perché ci sarebbero stati “solo” 20 morti tra i combattenti e 8 tra i civili (di cui vengono riportati i nomi):

Certamente, il clamore nazionale e internazionale è stato notevole: il Governo congolese ha istituito tre giorni di lutto, da sabato 3 a lunedì 5 dicembre:

Sul caso di Kishishe è intervenuto anche Denis Mukwege, il premio Nobel per la Pace 2018, che si è detto “inorridito” da quanto avvenuto: “massacri di massa, persone scomparse e reclutamento forzato di bambini”, chiedendo che “questi crimini portino a sanzioni tempestive contro le forze di occupazione dell’M23/RDF [cioè l’esercito del Rwanda] e azioni penali da parte della giustizia nazionale e internazionale”:

Tuttavia, proprio qualche giorno prima, il 1° dicembre, Alice Wairimu Nderitu, consigliera speciale per la prevenzione del genocidio all’ONU, aveva rilasciato una dichiarazione ufficiale sul conflitto nell’est congolese in cui condannava l’escalation di violenza e di discorsi di odio, specie contro i Banyamulenge di lingua kinyarwanda, cioè i Tutsi congolesi:

L’entità del conflitto è tale che verità e contro-verità si intrecciano in maniera inestricabile, rendendo sempre più difficile la comprensione di una tragedia che non smette di allargarsi. Un’ulteriore presa di posizione è arrivata dalla Conferenza episcopale cattolica congolese, che ha organizzato in varie città una marcia “anti-rwandese” per domenica 4 dicembre. Tra queste, la manifestazione di Kinshasa ha avuto come slogan “Noi diciamo no alla balcanizzazione della RDC”, con espliciti slogan contro il Rwanda:

Altrove si sono urlati slogan a sostegno dell’esercito e altri contro “l’ipocrisia della comunità internazionale”, in particolare quando il corteo si è trovato nei pressi della sede della MONUSCO, la missione delle Nazioni Unite in RDC, e verso alcune ambasciate del distretto di Gombe:

Proprio il piano internazionale è stato al centro del dibattito politico dei giorni scorsi, con una escalation verbale tra i presidenti del Rwanda e della RDCongo che preoccupa molto. Il 30 novembre Paul Kagame ha detto in un discorso pubblico che il suo omologo Félix Tshisekedi “non ha vinto le elezioni” nel dicembre 2018 e che con la guerra nell’est congolese e accusando il Rwanda “non cerca altro che trovare un modo per rinviare le prossime elezioni”:

Dopo qualche giorno, il 4 dicembre, Tshisekedi ha duramente risposto dicendo che “Kagame si vanta di essere un artefice della guerra, uno specialista della guerra. Ne è orgoglioso, ma io al suo posto mi nasconderei. Mi vergognerei, riterrei vergognoso e perfino diabolico il fatto di seminare morte e desolazione”:

Al momento, dopo un aumento dei toni così impressionante, è difficile immaginare come i mediatori kenioti e angolani riusciranno a portare avanti la roadmap per la pace nel Nord Kivu che proprio Kagame e Tshisekedi avevano firmato nei mesi e nelle settimane scorse.

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