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Rd Congo: cosa ricordare del viaggio del Papa

Francesco è stato il secondo Papa a recarsi in Repubblica Democratica del Congo dopo Giovanni Paolo II, il quale lo visitò due volte, quando ancora si chiamava Zaire: nel maggio 1980 e nell’agosto 1985. Quello attuale è stato il 40° viaggio apostolico di Jorge Bergoglio, dal 31 gennaio al 3 febbraio 2023 (che prosegue fino al 5 a Juba, in Sud Sudan), ed è stato intitolato “Tutti riconciliati in Gesù Cristo”, con un chiaro riferimento alla necessità di fermare i conflitti che da decenni insanguinano il Paese, soprattutto le province orientali, lungo il confine con Uganda, Rwanda e Burundi.

Gli affollatissimi incontri pubblici tenuti da Francesco a Kinshasa, come la messa sulla spianata dell’aeroporto di Ndolo con oltre un milione di fedeli e l’appuntamento con i giovani nel gremito Stadio des Martyrs, sono stati l’occasione per ascoltare voci troppo spesso ignorate (come quelle dei sopravvissuti ai massacri nel Nord Kivu e nell’Ituri), ma anche per far sentire loro una vicinanza (umana, oltre che spirituale) che allevia le ferite e le cicatrici, almeno in parte. Per la RDC è stato un evento storico e, come molti si augurano, la visita del Papa potrebbe effettivamente incidere sia sul piano nazionale che su quello internazionale.

Nel primo caso, le parole più forti del Pontefice sono state contro la corruzione nell’amministrazione pubblica e per la pacificazione dell’est congolese. Molto efficace, durante l’incontro con i giovani, il momento in cui Bergoglio ha invitato gli oltre 70.000 ragazzi e ragazze presenti a stringersi le mani gli uni con gli altri e a scandire in coro un vigoroso “No alla corruzione”:

Ma altrettanto deciso è stato un passaggio del suo discorso accanto al Presidente Félix Tshisekedi, il giorno del suo arrivo, quando ha evidenziato le tragiche storture di quello che potremmo chiamare “eccesso di identità”: “Prendere ostinatamente posizione per la propria etnia o per interessi particolari immettendovi spirali di odio e di violenza, va a scapito di tutti”, infatti ha poi aggiunto che bisogna evitare “di scivolare nel tribalismo”:

Certamente i gesti simbolici e le parole da sole non bastano, tuttavia rappresentano anche un monito che, provenendo da una voce autorevole, non potrà essere ignorato facilmente: nel prossimo dicembre, infatti, si terranno le elezioni presidenziali e, se Tshisekedi è certamente favorito per la posizione di potere che ricopre e anche grazie alla buona organizzazione di questa visita papale, è anche vero che potrebbero esserci delle sorprese. Ad esempio, durante l’appuntamento nello Stadio des Martyrs, come ha colto Antonella Napoli, direttrice di “Focus on Africa”, si sono sentiti vari cori contro l’attuale presidente: “Fatshi yebela mandat esili”, “Fatshi [il soprannome del Capo di Stato] preparati, il tuo mandato è finito”. Durante la messa all’aeroporto di Ndolo, inoltre, erano presenti tutti i contendenti alla Presidenza congolese, desiderosi di non mancare questo importante appuntamento con la storia; tra costoro c’era anche il principale sfidante di Tshisekedi, Martin Fayulu, che in un tweet pubblicato alla fine della visita papale ha usato parole di ringraziamento per il Pontefice, ma anche toni forti contro gli avversari politici: “Ringrazio Papa Francesco per aver illuminato il mondo sulla situazione sociale e politica della RDC. Ho concesso il perdono a coloro che hanno rubato la vittoria del popolo [il riferimento è a Tshisekedi nelle precedenti elezioni del dicembre 2018]. Mi impegno per elezioni trasparenti, imparziali e pacifiche nel 2023”.

In merito alla sicurezza nell’est congolese, il conflitto è certamente dovuto a una disastrosa situazione economica e sociale, tuttavia in quell’area la violenza è sempre nata anche da parole di odio, da discorsi stigmatizzanti in cui l’etnicizzazione esasperata è stata utilizzata come scintilla per vampate di indicibile brutalità. Aver richiamato l’attenzione pubblica su questo elemento è un atto consapevole che Francesco ha poi esteso ad una dimensione internazionale, quando con determinazione ha detto: “Togli le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, togli le mani dall’Africa! Smettila di soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare, né una terra da saccheggiare”.

La visita apostolica del Papa argentino ha imposto al mondo di guardare questa porzione di pianeta generalmente ignorata e nascosta e lui l’ha ribadito anche in altre occasioni, come ad esempio durante l’incontro con le vittime del conflitto nel Kivu e nell’Ituri, quando ha sottolineato il disinteresse di molti media internazionali per l’Africa, una situazione non più accettabile, perché il silenzio su quanto accade a “Bunia, Beni-Butembo, Goma, Masisi, Rutshuru, Bukavu, Uvira, luoghi che i media internazionali non citano quasi mai” non è più giustificabile.

Il viaggio congolese di Francesco ha una dimensione internazionale importante; le sue parole contro il “colonialismo economico”, altrettanto schiavizzante del “colonialismo politico”, hanno aperto le prime pagine dei giornali locali, ma sono rivolte anche al resto del mondo, soprattutto le nazioni ricche e industrializzate verso cui sono dirette le abbondanti materie prime del Paese, come gli Stati dell’Europa, del Nord America o la Cina. Lo scandalo per cui la RDC possiede minerali rari e risorse preziose, ma la sua popolazione di cento milioni di persone vive in media con poco più di due dollari al giorno, ossia con uno dei redditi più bassi del pianeta, deve scuotere le coscienze, ben al di là degli aspetti meramente economici o di solidarietà, perché deve interrogare innanzitutto il sistema globale che ne è alla base. È una questione profonda e di non semplice risoluzione, tuttavia il mondo migliore che auspica il Pontefice è quello che mira a superare l’individualismo patologico e il regionalismo claustrofobico, la depredazione dell’ecosistema e l’accumulo morboso che porta ad escludere l’altro e a far evaporare la comunità.

Il Papa è una eminente figura religiosa, eppure i suoi passi e le sue parole sono politiche, nel senso che delineano una visione e indicano una direzione. Questa è innanzitutto rivolta ai congolesi e agli africani – agli abitanti di Goma come a quelli di Kinshasa, a quelli di Kigali come a quelli di Bujumbura – ma da cui noi, che solo apparentemente viviamo lontano da quelle terre, non possiamo sentirci esclusi.

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