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RD Congo, aiutiamoli a casa loro con i fatti non solo a parole

Nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) è in corso un’emergenza sanitaria difficile da gestire, che purtroppo ha il potenziale di trasformarsi in una emergenza sanitaria globale. Si tratta della seconda epidemia di ebola più mortale di sempre, dopo quella che dal 2013 al 2016 ha colpito Guinea, Liberia e Sierra Leone. Ed è un’epidemia che coinvolge le regioni di Ituri e Nord Kivu, teatro di un conflitto armato che impervia ormai da 15 anni.

Sono già più di 750 le persone morte per quest’ultima epidemia, e i numeri stanno crescendo velocemente. L’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) dichiara di avere a disposizione solo la metà dei soldi necessari per affrontare la l’epidemia. E l’instabilità della regione non aiuta a mantenere circoscritto il raggio d’azione del virus. Sono più di un milione gli sfollati a causa delle violenze, molti dei quali nei confinanti Uganda e Rwanda. Vengono effettuati controlli mirati al passaggio della frontiera, però secondo l’OMS il rischio che l’epidemia possa espandersi oltreconfine è reale.

Sembra non esserci pace, insomma, per le popolazioni delle regioni più orientali della RDC. Sono passati pochi mesi dal riconoscimento del Premio Nobel per la Pace a Denis Mukwege, ginecologo e attivista che a Panzi, nel Sud Kivu, ha inaugurato anche grazie all’Agenzia per la Cooperazione allo Sviluppo svedese, un ospedale per donne vittime di violenze sessuali. In 20 anni sono oltre 80.000 le donne curate da Mukwege. Numeri spaventosi, che dimostrano come le donne rimangano vittime di violenze perpetrate deliberatamente come arma da guerra per terrorizzare la popolazione.

Un conflitto, quello del Kivu, che purtroppo è stato alimentato per troppo tempo anche dalle esportazioni di stagno, tungsteno, coltan e oro, che riempivano le tasche dei guerriglieri e dei criminali di guerra, in grado di esportare illegalmente nei Paesi limitrofi questi minerali di conflitto utilizzati per la produzione di tablet e cellulari. Anche grazie al forte impegno dei Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo, l’Unione Europea ha approvato nel 2016 una messa al bando dei minerali di conflitto, che avrà finalmente inizio nel 2021.

Ma sono tantissime le sfide per la Repubblica Democratica del Congo e le sue disastrate regioni orientali. Il riconoscimento a Denis Mukwege ha aiutato ad accendere i riflettori su questo enorme Paese, ma è ora che la comunità internazionale si muova in modo più deciso e strategico per incanalare la DRC verso un percorso di stabilizzazione e sviluppo più deciso. Non basta la missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO), a cui l’Italia peraltro non partecipa attivamente. Serve un impegno diplomatico più forte, anche per sostenere le ragioni di Martin Fayulu, candidato alle Presidenziali del gennaio 2019, derubato dalla vittoria elettorale per mano dei brogli a favore del suo avversario Tshisekedi. E un impegno finanziario vero, per provvedere alle risorse necessarie per debellare l’ebola prima che l’epidemia si espanda ulteriormente in quest’area instabile e disastrata.

Aiutiamoli a casa loro, ma con i fatti e non solo a parole.

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