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Rd Congo, verità su agguato 22 febbraio atto di giustizia ma anche per costruire la pace

Sei uomini seduti su un prato, ammanettati, le gambe distese e la polizia alle spalle, davanti la stampa. Arrestati con l’accusa di rapire ed uccidere. Tra loro potrebbe esserci chi, il 22 febbraio dello scorso hanno, ha spezzato le vite di Luca Attanasio, l’ambasciatore italiano nella Repubblica democratica del Congo, di Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo.

Un tentativo di rapimento a scopo di riscatto, questo il movente secondo Aba Van Ang, a capo della polizia della Provincia del Nord Kivu. E’ l’ipotesi sempre sostenuta dalle autorità locali sin dalle prime ore.

Li mostra, Van Ang, al governatore militare Constant Ndima Kogaba, in questa terra devastata da un conflitto decennale dove dal maggio del 2021 è stato decretato lo stato d’assedio e le autorità civili sostituite dai soldati.

Gli autori dell’agguato sarebbero membri di gruppi ribelli locali, come i Baluma Bakula, che avrebbero puntato a guadagnare un milione di dollari da quel bottino di uomini.

A premere il grilletto sarebbe stato il capo del gruppo, che risponde al nome di Aspirant, tutt’ora in fuga nel fitto dell’impenetrabile natura congolese, sulle cui tracce sarebbero, però, già gli investigatori congolesi.

Che questa sia una svolta, dovranno dimostrarlo i fatti, in una regione dove l’impunità regna e da decenni chi uccide raramente paga. L’ipotesi, su cui hanno sollevato dubbi diversi resoconti di stampa, è tutta da verificare, e la procura di Roma, titolare dell’inchiesta sull’agguato, avrebbe richiesto l’acquisizione dei verbali di arresto. I carabinieri dei Ros, secondo alcune agenzie, dovrebbero poter sentire i sospetti sul posto.

Anche se fosse confermata, però, resterebbero aperte domande complesse su cui fare luce e che non escluderebbero altre responsabilità.

Chiunque abbia viaggiato su quelle strade, sa che il business dei rapimenti, anche nella capitale Goma, è in fortissima crescita, in particolare da quando la crisi economica si è fatta più dura.

Le prime vittime sono proprio i congolesi, costretti a vendere il poco che hanno, a chiedere aiuto, a vedersi privati degli affetti, dei figli. Chiunque abbia viaggiato su quelle strade sa che la morte può arrivare in molti modi, per un agguato o perché si può finire nella trappola di un posto di blocco tirato su dai miliziani. E’ uno stillicidio quotidiano.

La somma che i rapitori avrebbero voluto chiedere, se la versione delle autorità congolesi venisse confermata, non farebbe però supporre l’assalto casuale ad un qualunque viaggiatore, ma ad un Occidentale, uno che valeva denaro, tanto denaro. Sarebbe necessario appurare se e in che modo il gruppo armato sia venuto a conoscenza del transito di quel convoglio, se e come sia stato pianificato.

Sapevano chi c’era a bordo? Come?

La logistica in una zona di guerra è cruciale, e difficilissima, e nella gestione della sicurezza un capitolo tra i più delicati è la riservatezza delle informazioni, muoversi con la minor visibilità possibile, far perdere le proprie tracce perché basta una voce, un sussurro, perché si dia corpo ad un progetto di rapimento. Su queste dinamiche, che potrebbero essere iniziate anche prima di quel 22 febbraio, servirà fare luce, se venisse dimostrato che tra quegli uomini ci sono realmente gli autori dell’agguato.

C’è un altro punto su cui si dovrebbe fare chiarezza: se è vero che potrebbe essere un gruppo di criminali comuni – che restano uomini armati fino ai denti, abituati a vivere in un paese in guerra dove è più facile comprare un kalashnikov che dell’acqua, e non semplici bande dedite al saccheggio –  non è detto che questi non avessero contatti con realtà più strutturate in una rete di relazioni, nella galassia dei diversi gruppi armati, che è tutt’altro che semplice da dipanare.

Restano i dubbi. Sull’identità degli autori, sulle dinamiche, sulle procedure che avrebbero dovuto minimizzare i rischi.
A quanto si apprende, le autorità militari vorrebbero un processo pubblico per i sospettati.  Accertare la verità è un atto di giustizia per chi ha perso la vita in quel giorno di febbraio e per le loro famiglie, ma è anche necessario per costruire la pace, perché la guerra si nutre dell’impunità.

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