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Mozambico, un conflitto e una crisi dimenticati che si aggravano di giorno in giorno

In Mozambico si sta consumando un conflitto che coinvolge centinaia di migliaia di persone nell’indifferenza del mondo occidentale.
Una crisi dimenticata, di cui Focus on Africa pressoché in solitudine ha più volte parlato, che si aggrava di giorno in giorno.
Come racconta don Kwiriwi Fonseca, contattato telefonicamente, gli attacchi dei jihadisti nella provincia di Cabo Delgado, iniziati nell’ottobre del 2017, hanno causato circa 2.500 vittime e 750.000 sfollati, ma anche un gran numero di rapimenti, la maggior parte dei quali ai danni di ragazzi e ragazze.
Giovani poco più che bambine come Maryam, 14 anni, che ha passato diciotto mesi nelle mani dei suoi rapitori è tornata a casa solo grazie all’intervento di un miliziano amico del padre che l’ha aiutata a fuggire.
Ma molte altre vittime di questi sequestri non sono state altrettanto fortunate.
Il sacerdote, responsabile della comunicazione nella diocesi di Pemba (a nord del Mozambico) nei giorni scorsi aveva relazionato sulla situazione ai vertici della fondazione pontificia ‘Aiuto alla Chiesa che soffre’ che ha diffuso una nota in cui ha sottolineato che non ci sono statistiche ufficiali sul numero dei rapimenti ma che “si può parlare di centinaia” di casi.
Sullo scopo dei rapimenti, Don Fonseca non ha dubbi: “I terroristi usano questi bambini e li addestrano con la forza a combattere nelle loro truppe, mentre le ragazze vengono violentate e costrette a diventare le loro ‘spose’. In alcuni casi, quando si sono annoiati di loro, queste ragazze vengono semplicemente cacciate via».
Una delle prime persone ad avvertirlo di questi rapimenti è stata una religiosa brasiliana, suor Eliane da Costa. Si trovava nella città settentrionale di Mocímboa da Praia, nell’agosto dello scorso anno, quando questa città portuale è caduta nelle mani dei terroristi, e in seguito decine di persone sono state rapite. «La stessa suor Eliane- ha spiegato don Fonseca – è stata trattenuta per 24 giorni dai terroristi, in montagna». Un’altra città vittima di attacchi terroristici è stata Mucojo, centro amministrativo del distretto di Macomia. Padre Fonseca ha riferito quanto accaduto alla signora Mina nel corso degli attacchi terroristici: “Cinque uomini sono apparsi improvvisamente e la gente del posto si è resa conto che erano terroristi di Al-Shabaab. I terroristi hanno trovato Mina a casa con il marito, il fratello e i quattro figli. Hanno preso tre ragazzi, di 14, 12 e 10 anni. Hanno legato suo marito e suo fratello e le hanno detto di andarsene perché li avrebbero uccisi. Mina si è rifiutata di andare via, così è stata costretta a guardare mentre tagliavano la gola di suo marito e di suo fratello. Non solo, anche la sua bambina di due o tre anni ha assistito agli omicidi. La bimba è tuttora sotto shock”, ha concluso il sacerdote.
Intanto l’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati, esprime profonda preoccupazione per l’incolumità dei civili nel Mozambico settentrionale, dal momento che il conflitto armato e l’assenza di sicurezza nella città costiera di Palma continuano a costringere migliaia di persone alla fuga, due mesi e mezzo dopo un brutale attacco sferrato da gruppi armati non governativi.

Ogni giorno, le persone fuggono alla disperata ricerca di riparo, sia all’interno del Mozambico sia oltre confine in Tanzania. Secondo le stime degli operatori umanitari, circa 70.000 civili sono fuggiti da Palma a partire dal 24 marzo, portando il numero totale di sfollati nella provincia di Cabo Delgado a quasi 800.000. Altre migliaia di persone sono bloccate in zone assolutamente non sicure nei dintorni di Palma, dove gli aiuti umanitari accedono con restrizioni. Tuttavia allOnu, e alle agenzie partner, recentemente è stato concesso di accedere ad alcune aree per prestare aiuto agli sfollati che vivono in condizioni disperate.

Numerosi sono anche i civili che hanno tentato la traversata del fiume che segna il confine con la Tanzania, per cercare protezione internazionale. Secondo le autorità di frontiera mozambicane, a partire da gennaio 2021, oltre 9.600 uomini sono stati obbligati a tornare in Mozambico attraverso il varco di Negomano. Le persone respinte dalla Tanzania finiscono per vivere una situazione disperata al confine, sono esposte a violenza di genere e rischi per la salute, dal momento che molte trascorrono le notti all’aperto in un clima estremamente freddo, senza un riparo né coperte. È necessario fornire con urgenza beni vitali, tra cui cibo. L’Unhcr chiede che alle persone in fuga da conflitti sia garantito accesso ad altri territori e alle procedure di asilo, e, in particolare, che sia rispettato il principio di non-refoulement (divieto di respingimento). I rifugiati non devono essere costretti a fare ritorno in aree in cui permangano situazioni di pericolo.

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