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In Libia vince la diplomazia degli affari. I diritti umani possono aspettare

Qualche giorno fa il premier libico Abdul Hamid Dbeibah si è recato a Roma per la sua prima visita ufficiale da quando ha assunto la carica di primo ministro.

Con Dbeibah c’erano diversi ministri libici, da quello degli Esteri a quelli all’Interno, ai Trasporti e all’Economia. In occasione del Business Forum che si è tenuto alla Farnesina, la delegazione italiana era ancora più folta. Oltre al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, hanno infatti partecipato  una nutrita rappresentanza di imprese italiane: Snam, Saipem, Terna, Ansaldo Energia, Fincantieri, PSC Group, Italtel, Leonardo, WeBuild, Gruppo Ospedaliero San Donato, Cnh Industrial, Eni. Sul tavolo erano in discussione affari molto importanti, la riattivazione di alcuni macro-investimenti italiani in Libia, come la costruzione dell’Autostrada della pace inserita negli accordi siglati da Berlusconi e Gheddafi nel 2008, e, ovviamente, il dossier energetico. La condizione per siglare gli affari con la nuova Libia è sempre la medesima: la Libia deve perseguire quel processo di stabilizzazione, avviato a metà marzo con la nascita del governo di unità nazionale, che dovrebbe traghettare alle elezioni del 24 dicembre prossimo.

E’ così si è dato il via alla danza entusiastica delle dichiarazioni di rappresentanti del governo italiano sul processo di stabilizzazione in Libia e sull’asse strategico con una Libia nuova e unita. La passione commerciale e affaristica dell’Italia è ovviamente ricambiata dalla nuova Libia di Dbeibah, il quale ha a più riprese ribadito che l’Italia è il miglior partner per la Libia. E’ evidentemente scoppiato un amore affaristico che sarà duraturo. Amore commerciale ribadito poi nel faccia a faccia di Dbeibah con Draghi.

La nuova Libia sarà anche unita, ma nella realtà restano divisioni interne, mercenari stranieri, russi e turchi ancora presenti militarmente e la presenza ingombrante di Haftar, il quale spera ancora di ritagliarsi un ruolo cruciale nella nuova Libia.

Per quanto occorra riconoscere al Governo italiano lo sforzo di una strategia europea che regoli i flussi migratori, è altrattanto innegabile che prima di tutto occorre rompere quel malsano sodalizio che vede da una parte la necessità libica di garantire la sicurezza per poter aiutare la sua  ripresa economica e, dall’altra, la necessità italiana ed europea di frenare i flussi di migranti irregolari che attraversano il Mediterraneo. Non è più rimandabile rompere il questo vecchio sodalizio basato esclusivamente su un accordo economico che rende sacrificabili individui umani più deboli, in nome del quale l’Italia scarica i migranti e la Libia rafforza economia e istituzioni.

Quello che servirebbe è una strategia più ampia, perché proteggere le acque e i confini non basta. Occorre  avere il coraggio di disegnare un approccio più ampio e globale, che comprenda i diritti umani, il rafforzamento giuridico ed economico della Libia.

Ma per l’Italia e l’Europa i diritti umani restano ancora fuori dalla porta principale che regola la diplomazia degli affari.

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