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Il massacro annunciato in Sudan e le complicità internazionali

Lo avevamo anticipato e purtroppo ciò che si temeva si è verificato con conseguenze drammatiche. L’escalation di violenze in Sudan è deflagrata nel cuore del Paese, a Khartoum, e si è estesa fino al Darfur e Port Sudan. Oltre 30 vittime, tra cui Mujitabi Salah un giovane giornalista, nelle ultime 24 ore nella capitale, una cinquantina con i morti nelle altre città sudanesi. Centinaia i feriti. E mentre l’Alleanza delle Forze del cambiamento e delle libertà, che comprendono l’Associazione dei professionisti sudanesi e i partiti dell’opposizione, annunciano la sospensione di ogni colloquio con il Consiglio militare transitorio, alle Nazioni Unite viene convocata una riunione urgente sul Sudan.
Il Regno Unito e la Germania i promotori della richiesta al Consiglio di sicurezza per discutere delle violenze perpetrate dalle forze di sicurezza per sgomberare il sit-in davanti al quartier generale dell’esercito.
Già nel pomeriggio il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres aveva condannato gli attacchi ai civili e
l’Alto commissario per i Diritti umani, Michelle Bachelet, aveva deplorato l’uso della forza contro il sit-in di protesta a Khartoum definendo “estremamente allarmanti le notizie sull’uso di munizioni vere da parte delle forze di sicurezza vicino e anche all’interno di strutture sanitarie”.
La Bachelet si riferisce all’irruzione delle Rapid support force nel Royal Care International Hospital sparando all’interno della struttura dove i medici stavano prestando assistenza ai feriti delle cariche.
A fronte dei crimini perpetrati dalla giunta militare sconcerta l’inerzia della comunità internazionale. Attraverso i social network sappiamo in tempo reale ciò che avviene in Sudan eppure tutti, dai governi alle organizzazioni internazionali, restano a guardare mentre nel Paese i massacri continuano.
E poi ci sono quegli Stati che hanno deciso di supportare apertamente il Consiglio transitorio militare. Come dimostrano le visite all’estero, nonostante lo stallo nei colloqui fra il Consiglio militare di transizione (Tmc) e le forze della Dichiarazione per la libertà e il cambiamento (Fdfc) per la spartizione del potere dopo la destituzione del presidente Omar Hassan al Bashir.
Le manovre dei vertici militari di Khartoum per rinsaldare l’asse con le monarchie del Golfo (Arabia Saudita ed Emirati Arabi) e i loro alleati, in primo luogo l’Egitto hanno visto protagonista in primis il presidente del Consiglio militare, Abdel Fatah al Burhan, che la scorsa settimana si era recato al Cairo e di Abu Dhabi, dove ha incontrato rispettivamente il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi e il principe ereditario Sheikh Mohamed bin Zayed al Nahyan.
La missione del generale che guida la Giunta è stata preceduta da quella dal suo vice Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto con il soprannome ‘Hemeti’ a Gedda, in Arabia Saudita, dove ha incontrato l’erede al trono e ministro della Difesa saudita, il principe Mohammed Bin Salman.
Le visite, che a loro volta ricambiano quelle effettuate il mese precedente a Khartoum di una delegazione congiunta emiratino-saudita subito dopo la destituzione di Bashir, sembrerebbero quindi testimoniare una volta di più l’intenzione delle autorità di transizione sudanesi di abbracciare l’asse formato da Riad, Abu Dhabi e Il Cairo, a scapito dei tradizionali alleati, il Qatar e la Turchia. Insomma l’operato di Burhan e Hemeti, quest’ultimo vera e propria eminenza grigia del Consiglio e colui che ha voluto la svolta repressiva delle ultime ore, smaschera il reale obiettivo dei militari, nonostante l’annuncio di volere indire elezioni entro 9 mesi, l’intenzione appare quella di voler consolidare il potere.

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