vai al contenuto principale

“Figli dello stesso mare. Francesco e la nuova alleanza per il Mediterraneo”, il libro di Riccardo Cristiano

“Figli dello stesso mare. Francesco e la nuova alleanza per il Mediterraneo”, è questo il titolo del nuovo libro di Riccardo Cristiano che ricostruisce il magistero mediterraneo di Francesco dal 2013 ad oggi che sarà in libreria dal 31 marzo.
Ne presentiamo qui in anteprima uno stralcio relativo alla guerra siriana, al ricorso alle armi chimiche e alla strategia di Vladimir Putin.

“Il massacro chimico della Ghouta orientale, che costò la vita a circa 1.500 persone, inclusi donne, bambini e anziani, avvenne il 21 agosto del 2013, ma se lo guardiamo nel contesto siriano fu in fin dei conti piccola cosa. Ma se fu “poca cosa” allora perché – sapendone il forte impatto emotivo – compierlo? La risposta giusta la sanno solo nella leadership siriana, noi sappiamo che molte voci hanno tentato di attribuire la responsabilità agli stessi insorti, che lì cominciò l’escalation dell’Isis e che il regime consentì agli ispettori dell’Onu di recarsi sul posto solo il 25 di quel mese. Gran parte delle tracce erano state cancellate, ma comunque gli ispettori trovarono un pezzo di missile di fabbricazione sovietica che era in dotazione all’esercito siriano. Il papa si riferì alla strage in occasione dell’Angelus dell’1 settembre 2013:

“Vivo con particolare sofferenza e preoccupazione le tante situa- zioni di conflitto che ci sono in questa nostra terra, ma, in que- sti giorni, il mio cuore è profondamente ferito da quello che sta accadendo in Siria e angosciato per i drammatici sviluppi che si prospettano. Rivolgo un forte Appello per la pace, un Appello che nasce dall’intimo di me stesso! Quanta sofferenza, quanta deva- stazione, quanto dolore ha portato e porta l’uso delle armi in quel martoriato Paese, specialmente tra la popolazione civile e inerme! Pensiamo: quanti bambini non potranno vedere la luce del futuro! Con particolare fermezza condanno l’uso delle armi chimiche! Vi dico che ho ancora fisse nella mente e nel cuore le terribili immagini dei giorni scorsi! C’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire! Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza! Con tutta la mia forza, chiedo alle parti in conflitto di ascoltare la voce della propria coscienza, di non chiudersi nei propri interessi, ma di guardare all’altro come ad un fratello e di intraprendere con coraggio e con decisione la via dell’incontro e del negoziato, superando la cieca contrapposizione. Con altrettanta forza esorto anche la Comunità Internazionale a fare ogni sforzo per promuovere, senza ulteriore indugio, iniziative chiare per la pace in quella Nazione, basate sul dialogo e sul negoziato, per il bene dell’intera popolazione siriana”.

Emergono qui due elementi chiari: i termini usati contro gli autori non citati della strage sono fermissimi. Anche i termini usati contro l’ipotesi di intervento in Siria sono chiari. La condotta vaticana è dunque già indicata: si ritiene Assad di tutta evidenza il responsabile della strage ma si ritiene l’intervento armato un errore. Forse il precedente iracheno ha orientato la Santa Sede, benché nessuno parlasse di un’invasione sul modello iracheno, ma di un’azione che avrebbe dovuto mettere fuori uso le piste aeree usate per sterminare la popolazione siriana. Ma c’era l’enorme arsenale chimico da considerare. Dall’inizio del conflitto siriano la Casa Bianca, che sapeva tutto di quell’arsenale segreto perché informata da uno dei suoi realizzatori – poi scoperto ed eliminato dal regime –, temeva molto. Che fine avrebbe fatto quell’arsenale chimico? Se cadeva il regime sarebbe finito in mani più pericolose? Questi erano i veri timori su cui faceva leva Assad. Messa davanti al fatto compiuto cosa avrebbe Washington? Avrebbe preferito che quelle armi le usasse lui contro i siriani o che quelle armi rischiassero di finire in mano a gruppi jihadisti? Il presidente Obama si era lasciato sfuggire una frase scomoda, definendo l’uso di armi chimiche contro il proprio popolo “una linea rossa” che la sua Casa Bianca non avrebbe tollerato. Difficile capirne il senso dalla Siria, quasi che massacrare in un modo sia possibile, in un altro no. Comunque Obama dovette dire che avrebbe agito militarmente contro l’esercito siriano, non certo che avrebbe invaso la Siria. Ben presto però fu chiaro che l’America non lo avrebbe seguito: l’opinione pubblica era contraria per i costi astronomici delle invasioni irachena e afghana, per il gran numero di morti e tutto sommato perché non ci fu un dibattito sul bivio politico su ciò che avrebbe significa- to punire o non punire Assad. Tutto l’impegno esercitato per fermare Obama è descritto minuziosamente da Joby Warrick. Colpiscono gli ostacoli frapposti agli ispettori, le loro scoperte, inclusa la certa provenienza di un ordigno fatale da territori controllati dal regime. L’iniziativa di Francesco ha favorito la ricerca di una via d’uscita, gestita con enorme intelligenza dai russi. Il papa scrisse a Putin contro l’intervento e per favorire un insperato accordo tra russi e americani sul disarmo chimico della Siria. L’occasione fu colta al balzo da Putin, che secondo Warrick sorprese gli stessi americani per arrendevolezza a ogni richiesta, anche sul varo di una risoluzione Onu.

Qui non vanno confuse le posizioni: chi scrive non può nascondere di ritenere che l’intervento sarebbe stato non utile, ma indispensabile. Il papa non pensava questo. Ma certamente guidò la diplomazia vaticana in modo da agevolare un accordo che avrebbe potuto innescare un circolo virtuoso nella cooperazione: nel giro di poche ore la Siria, che non solo negava – con la copertura di importanti ecclesiastici locali – di aver compiuto il massacro chimico, ma anche di avere armi chimiche, ammise di avere un gigantesco arsenale chimico, aderì al trattato contro di esse e si impegnò a consegnare le sue armi proibite, sebbene poi alcune le nascose. Essendo questo il prodotto di un pressing congiunto di russi e americani si poteva sperare che avviasse un circuito capace di far procedere in un circolo virtuoso e non vizioso. Non è andata così. Gilles Kepel, nel suo libro Uscire dal caos, spiega che i russi aderirono all’accordo per impedire l’intervento americano e spianare così la stra- da al loro, che sarebbe giunto nel 2015. E lo dice perché lo ha saputo direttamente da loro, dalla viva voce di una delle fonti più attendibili di quel tempo, Evgenij Primakov, che nell’autunno del 2014 a Mosca gli spiegò la loro strategia:

“Difendere la credibilità russa, restituendo una legittimità internazionale al governo alleato siriano, grazie alla partecipazione al processo dell’Onu di smantellamento dell’arsenale chimico. Ciò avrebbe consentito di eliminare ogni prospettiva di intervento militare occidentale, che sarebbe andato a favore delle forze democratiche all’interno della ribellione. Questa situazione avrebbe facilitato la cristallizzazione del conflitto fra gli insorti presi in ostaggio dal jihadismo mondiale, che sarebbero stati oggetto di un crescente sospetto occidentale, e un asse russo-iraniano, che si sarebbe sentito ancor più libero di agire direttamente in Siria”.

 

 

Torna su