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Africa, Amnesty: misure anti-Covid strumento per reprimere dissenso pacifico

Le misure per frenare la diffusione del Covid-19 nei Paesi africani hanno fornito un ulteriore pretesto per la repressione del dissenso pacifico nel corso del 2021. Lo denuncia Amnesty International nel suo rapporto sullo Stato dei diritti umani nel mondo, pubblicato oggi. “Le tendenze globali per soffocare le voci indipendenti e critiche hanno preso piede nel 2021 in tutta l’Africa subsahariana quando i governi hanno implementato una gamma sempre piu’ ampia di strumenti e tattiche. Le misure per frenare la diffusione del Covid-19 hanno fornito un ulteriore pretesto per la repressione del dissenso pacifico in tutta la regione, con il primo istinto di molti governi di vietare le proteste pacifiche, citando problemi di salute e sicurezza, anche in Camerun, Ciad e Costa d’Avorio, Lesotho e Zimbabwe”, si legge nel rapporto. “Nel frattempo, in Paesi come l’Eswatini e il Sud Sudan gli organizzatori sono stati arrestati e Internet e’ stato interrotto per far deragliare le proteste pianificate. Le forze di sicurezza hanno usato una forza eccessiva per interrompere le proteste pacifiche di centinaia o migliaia di persone che hanno sfidato i divieti. In oltre 12 Paesi, tra cui Angola, Benin, Senegal, Ciad, Eswatini, Guinea, Nigeria, Sierra Leone e Sudan, molte persone sono morte quando le forze di sicurezza hanno sparato con proiettili veri. In Eswatini, la violenta dispersione delle proteste a favore della democrazia ha provocato 80 morti e oltre 200 feriti in cinque mesi. In Sudan almeno 53 persone sono morte quando le forze di sicurezza hanno utilizzato proiettili veri per disperdere le proteste contro il colpo di stato militare di ottobre”, afferma il rapporto.
In Ciad, prosegue Amnesty, sono state arrestate almeno 700 persone che protestavano contro il processo elettorale e poi contro l’instaurazione del governo di transizione, mentre nella Repubblica democratica del Congo tre attivisti arrestati nel Nord Kivu per aver organizzato un sit-in pacifico per protestare contro la cattiva gestione in un’amministrazione sanitaria locale sono rimasti in detenzione e in Eswatini almeno mille manifestanti pro-democrazia, inclusi 38 bambini, sono stati arrestati arbitrariamente. “Invece di fornire spazio per la discussione e il dibattito cosi’ disperatamente necessario su come affrontare al meglio le sfide del 2021, molti Stati hanno raddoppiato gli sforzi per mettere a tacere le voci critiche”, denuncia ancora l’Ong, sottolineando poi che nuovi conflitti sono scoppiati o si sono protratti in Mali, Burkina Faso, Niger, Repubblica Centrafricana, Nigeria, Camerun, Etiopia, Sud Sudan e Mozambico, dove le parti in guerra che hanno violato i diritti umani internazionali e il diritto umanitario. Sulla loro scia, i civili hanno subito danni collaterali, milioni sono stati sfollati, migliaia sono stati uccisi, centinaia hanno subito violenze sessuali e i gia’ fragili sistemi sanitari ed economici sono stati portati sull’orlo del baratro, denunciano i ricercatori, citando in particolare i casi dell’Etiopia – dove le parti in conflitto hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani, comprese violenze sessuali contro le donne, uccisioni illegali e sfollamenti forzati, e gli aiuti umanitari sono stati negati a milioni di persone nel Tigre’ -, del Mozambico – dove i civili hanno continuato a essere catturati tra tre forze armate nel conflitto di Cabo Delgado, in cui sono morte oltre 3 mila persone dall’inizio del conflitto nell’ottobre 2017 e quasi 1 milione di persone sono state sfollate – e nella Repubblica Centrafricana, dove tutte le parti in conflitto hanno commesso attacchi illegali, comprese uccisioni e altre violazioni e abusi del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani, alcuni dei quali costituiscono crimini di guerra.

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