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Etiopia -Tigray. Quello che sappiamo al momento sui colloqui di pace

Per la prima volta dall’inizio del conflitto emergono elementi che portano tutti gli osservatori a tenere sotto la lente di ingrandimento ciò che accade nel Corno d’Africa.

Per la prima volta dal novembre 2020, parlare di pace non è più un tabù ed alcuni movimenti tra cancellerie e comunità internazionale, osservati negli ultimi mesi, ci inducono a pensare che quanto trapelato dall’articolo di Le Monde pubblicato il 9 giugno, attraverso il quale si sono venuti a sapere particolari inediti sui colloqui di pace tra il governo etiope e la leadership del governo tigrino, possa essere fondato.

Olusegun Obasanjo, alto rappresentante dell’Unione africana per il Corno d’Africa.

Dal mese di Marzo, l’inviato dell’Unione Africana per il Corno d’Africa Olusegun Obasanjo ha moltiplicato i suoi viaggi tra Addis Abeba e Mekelle, il capoluogo del Tigray, moltiplicando gli sforzi per il raggiungimento di un cessate il fuoco incondizionato tra le parti, sostenuto dalle cancellerie internazionali.

Il portavoce del Tplf, Getachew Reda, pur smentendo le concessioni in merito al Tigray occidentale (che il giornalista di Le Monde, Noé Hochet-Bodin, riporta come pretese abbandonate) e sottolineando come sia intenzione del Tigray reclamare ogni centimetro quadrato del suolo regionale, in maniera pacifica o meno, non ha però scritto una sola parola sul resto del contenuto dell’articolo, né sui colloqui di pace.

Da ciò che sappiamo i colloqui dovrebbero tenersi a partire da fine giugno in Tanzania, nella città di Arusha e vedrebbero in prima linea, oltre ai diretti interessati, l’Unione Africana con il rappresentante per il Corno d’Africa Olusegun Obasanjo, il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta, il presidente di Gibuti Omar Ismael Guelleh e il presidente della Somalia Hassan Sheikh Mohamud.

A tutti è risultata lampante l’assenza del presidente eritreo Isaias Afwerki, così come è risultata anomala la sua assenza tra i capi di stato arrivati in Somalia per rendere omaggio al successore di Mohamed Abdullahi Farmajo.
Il PM etiope Abiy Ahmed, il presidente eritreo Isaias Afwerki e il presidente della Somalia Mohamed Abdullahi Mohamed “Farmajo”, Bahir Dar, 10/11/2018. Photo credit: EDUARDO SOTERAS/AFP via Getty Images

Un’ulteriore conferma di come il vecchio asse d’influenza (del quale Afwerki era il fulcro) quello tra Eritrea, Etiopia e la Somalia di Mohamed Farmajo (attraverso il quale si è messo un punto al conflitto ventennale tra le prime due nazioni) che ha determinato le sorti di oltre due anni di guerra nel Tigray, creato un equilibrio a tre nella regione in a collaborazione sempre più stretta nel campo della sicurezza, minaccia interna e terrorismo, si stia rimodellando e sta includendo altri attori: la Somalia, il Kenya e Gibuti.

Al centro dell’agenda politica nazionale inoltre, oggi sembrano esserci alcune emergenze prioritarie (la carestia e la siccità), la cui risposta necessita la pacificazione nazionale del paese e una risposta repentina, senza dispersione alcuna di energia, denaro, intenti.

Nella stessa direzione andrebbero anche alcune mosse nei confronti di alleati storici interni. Il governo di Abiy Ahmed, dopo aver giovato della forza militare delle milizie regionali Fano durante il conflitto, negli ultimi due mesi ha stretto la morsa sulle associazioni nazionaliste ahmara e risposto con durezza alle proteste delle migliaia di combattenti delle milizie, procedendo ad oltre 4000 arresti. Stessa sorte riservata per le milizie dell’Oromo Liberation Army, oggi oggetto di una vera e propria offensiva delle forze federali.

Ciò porterebbe a pensare ad un nuovo equilibrio all’interno del Prosperity Party, che dovrebbe mettere all’angolo le forze più estremiste ahmara ed oromo, definendo una forza più centrista e lontana dalle istanze etno-nazionaliste di carattere regionale.
Truppe tergine nella città di Kombolcha – Ethiopia Map

Nel mentre i tigrini, arrivati a meno di 200 chilometri dalla capitale negli ultimi mesi del 2021 ed oggi ritiratisi completamente entro i confini regionali, oggi rivolgono le loro attenzione al fronte settentrionale, verso le truppe eritree che ancora occupano porzioni della regione, accusate di uccisioni indiscriminate, saccheggi e stupri perpetrati ai danni di civili inermi, durante la prima fase dei combattimenti e durante l’occupazione di intere aree del Tigray.

Già il Tigray, regione della quale abbiamo ampiamente parlato ma per la quale non avremo mai speso abbastanza attenzioni e pensieri, è alle prese con una delle più gravi crismi umanitarie e alimentari al mondo.

La guerra oltre ad aver prodotto 500mila morti e milioni di sfollati (sono 5,2 quelli interni) si abbatterà sulla popolazione con tutte le sue conseguenze. Gli aiuti umanitari, bloccati per mesi nella regione Afar sembrano affluire in maniera sostanziale (seppur ancora insufficiente).

La attività umanitarie e il transito delle colonne di cibo salvavita, contro la malnutrizione, di forniture sanitarie e di medicinali hanno ripreso a singhiozzo, facendo arrivare a destinazione 1100 camion nelle ultime due settimane, anche se il governo etiope continua a negare che vi sia un’emergenza in atto nella regione. L’8 di Giugno ha bloccato una dichiarazione di carestia nella sua regione del Tigray, secondo Mark Lowcock, l’ex sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari e coordinatore dei soccorsi di emergenza.

Il leader del Tplf, Debretsion Gebremichael

Le condizioni del Tplf per giungere alla pace appaiono chiare: il ritiro delle truppe eritree e somale dal Tigray, il mantenimento delle proprie forze armate, il rispetto del diritto all’autodeterminazione del proprio popolo come sancito dalla costituzione, il mantenimento del Tigray occidentale (considerato storicamente territorio tigrino ma conteso con gli ahmara).

Così come d’altronde quelle del governo, che difficilmente capitolerà di fronte ciò che ha sempre concepito come una minaccia alla propria integrità nazionale.

Il volo USAF partito dalla base militare Usa in Djibouti diretto verso Mekelle nel Tigray, segnalato da Laurent Le Bloa ieri, 13 Giugno 2022

Per giungere ad un accordo di pace che soddisfi tutte le parti in causa occorrerà tempo, forse ci vorranno degli anni.

Questo è solo l’inizio di un lungo percorso, ma per la prima volta dallo scoppio della guerra, sembra esserci uno spiraglio concreto per un accordo formale e sostanziale. L’aumento di attenzioni da parte delle cancellerie internazionali nell’ultimo mese e in modo particolare negli ultimi giorni, fanno pensare che una roadmap verso la pace sia stata approntata e sia perseguibile.

Etiopia, Luigi Di Maio in Etiopia dopo 16 mesi di pianificazione.
Etiopia, Luigi Di Maio in Etiopia dopo 16 mesi di pianificazione.
La lettera scritta dai tre partiti politici del Tigray con la richiesta di ripristinare i servizi elettrici, di comunicazione, bancari.

Ora che il primo passo lo faccia il governo etiope, ripristinando, come richiesto dai tre partiti politici del Tigray in una lettera indirizzata al Segretario di Stato Usa Antony Blinken e all’alto rappresentante per la politica esterna della Ue Josep Borrell, l’elettricità, i servizi di telecomunicazione, di internet, quelli bancari e finanziari.

La strada per la pace passa per un primo passo. E’ ora di farlo, per il popolo etiope.

 

 

 

 

 

 

 

 

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