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Etiopia, l’impasse costerà cara all’economia. Quale futuro per il Paese?

Mentre i giorni passano le manovre dei TDF sulla direttrice A2, che collega Asmara ad Addis Abeba, si sono attestate presso le città di Karakore e di Senbete, aumentando, anche grazie all’apporto delle forze dell’Oromo Liberation Army (OLA), di qualche chilometro la pressione sulla statale.

Ma ciò che sta avvenendo sulla B11, la strada di collegamento con Djibouti, potrebbe essere la risposta alla domanda che in molti si stanno ponendo: perché spendere oggi tante energie nella regione Afar quando si è a circa 300 km dalla città?

Se la strategia del Tplf non fosse quella della presa della capitale?

Avere il controllo sulla linea di collegamento con Djibouti potrebbe significare per il TDF avere una strada di accesso sicura per gli aiuti umanitari verso il Tigray, avere un collegamento con l’esterno e soprattutto tagliare le vie di rifornimento ad Addis Abeba.

Non a caso in queste ultime ore, il Ministro delle Finanze, nonché portavoce del governo del Djibouti, Mahmoud Ali youssouf, si è affrettato a sottolineare come i propri porti non saranno utilizzati come base per “un intervento ostile nei confronti di paesi vicini”.

La strenua difesa di Mille da parte delle forze speciali Afar (ASF) e dell’ENDF stanno ad indicare l’estrema importanza strategica della città, che cadendo aprirebbe davanti a sé la conquista di Semera e del suo aeroporto (dove peraltro sono di stanza alcuni droni utilizzati dall’aviazione etiope, frutto di accordi di cooperazione militare con Addis, acquistati anche di recente dalla Turchia (ma ne sono stati attestati di fabbricazione cinese e iraniana).

“Con la conquista di Mille, taglieranno la strada e Addis finirà la benzina molto rapidamente”, ha detto Rene Lefort, uno storico specializzato in Etiopia, che ha aggiunto: ”La strategia sembra essere quella di strangolare Addis piuttosto che prendersela”.

Il governo etiope fino ad oggi ha affermato che le notizie sull’avanzata del TDF e dell’OLA vengono ingigantite dalla stampa internazionale, creando così un falso senso di insicurezza. Di certo, le disposizioni date dal governo ai cittadini, all’indomani dell’avvento dello stato d’emergenza nazionale (2 Novembre), di registrare le armi in proprio possesso, di divieto di riunione e assembramento, i continui arresti di tigrini (non solo nella capitale) rendono bene l’idea dello stato delle cose. Anche i successi dell’OLA, nelle zone oromo della regione Ahmara allarmano non poco il governo di Abiy Ahmed. 400 membri delle Forze Speciali Oromo infatti avrebbero disertato, nella città di Laga Tafo (poco fuori Addis Abeba) per unirsi all’Oromo Liberation Army, mentre lo stesso movimento ha dichiarato progressi notevoli nel distretto di Hidabu Abote, sulla statale A3, altra via di collegamento con la capitale.

Ciò che appare ai nostri occhi è un’impasse, fatta di rotte commerciali tagliate e difficoltà di collegamento da cui potrebbe divenire difficile uscir fuori. La presa di Addis Abeba, anche se possibile potrebbe non essere verosimile; la difesa della capitale renderebbe le cose difficili ai tigrini e uno sforzo davvero notevole, inoltre la presenza di una grande percentuale di popolazione ahmara (negli ultimi giorni sono state migliaia gli arruolamenti volontari e non nelle fila delle forze speciali) potrebbe non risultare un fattore secondario (sono pur sempre la seconda etnia più numerosa del paese). Ciò che invece potrebbe palesarsi è una forte ricaduta a livello economico e commerciale su una delle economie a più rapida crescita del continente.

La raffica di visite diplomatiche che proprio in questi giorni investono il governo, costituirebbero l’estremo tentativo delle cancellerie internazionali di creare finestre di opportunità per una risoluzione della guerra che da oltre un anno sta devastando il paese. Certo, il Tplf fino ad oggi si è detto contrario a qualsiasi forma di colloquio fin quando non sarà permesso l’accesso degli aiuti umanitari nel Tigray ed altrettanto ha asserito il governo etiope, che continua a sottolineare come non potrà esservi dialogo fino a che il TDF non si ritirerà dalle regioni Ahmara ed Afar.

Uno stallo che costerebbe caro al paese, non solo in termini economici commerciali. Il vuoto amministrativo e politico venutosi a creare in alcune zone potrebbe lasciare campo libero a vendette personali, al banditismo, a traffici illeciti, a regolamenti di conti. Una situazione molto simile a quella venutasi a creare nella Ex Yugoslavia durante il conflitto che ha insanguinato il paese.

L’opposizione ad Abiy, unitasi a Washington all’inizio di Novembre nello “United Front of Ethiopian Federalist Forces” (che racchiude il Tigrayan People’s Liberation Front (TPLF), l’Oromo Liberation Army (OLA), l’Afar Revolutionary Democratic Unity Front, il Somali State Resistance, il Gambella Peoples Liberation Army) non sembrerebbe per ora godere di grande appoggio a livello internazionale; a ciò va ad aggiungersi il Tplf, che più volte, per bocca del portavoce Getachew Reda, ha confermato di non voler tornare al potere.

Se tale alleanza costituirà un quadro di governance accettabile, in grado di governare il paese, non possiamo per ora prevederlo; ad oggi vi è poco a sostegno e nulla che lo faccia pensare.

 

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