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Etiopia, gli Stati Uniti due mesi dopo aggiustano il tiro delle sanzioni

Subito dopo la fine del summit dell’Unione Africana, Amina Mohammed, rappresentante delle Nazioni Unite (nella foto In alto) si è recata prima a Kombolcha, nella regione Ahmara e successivamente a Mekelle, nel Tigray.

Si sta lavorando duramente – ha affermato- ma è chiaro che il prezzo pagato dalla popolazione a causa del conflitto è troppo alto e, quindi, la pace è indispensabile”, ha concluso, offrendo il continuo sostegno dell’Organizzazione.

15 mesi di guerra hanno portato intere regioni al tracollo. Ospedali, fabbriche, scuole, università, aziende agricole andate perse nei combattimenti, danneggiate o completamente saccheggiate.

Un conflitto il cui peso maggiore è ricaduto su donne e bambini, come espressamente detto durante la visita al Centro sanitario sostenuto dall’agenzia delle Nazioni Unite UNFPA, a Mekelle.

L’Agenzia, che si occupa specificatamente di salute sessuale e riproduzione, tratta da mesi numerosi casi di stupro avvenuti durante la prima fase della guerra.

Vedere l’insieme degli effetti psicologici e fisici dello stupro sulle donne, il processo di cura. E’ un’esperienza straziante, in special modo il racconto delle storie individuali delle violenze. Ma sono storie che devono essere raccontate” ha aggiunto al termine della sua visita.

Già le violenze, le violazioni dei diritti umani compiute in questi 15 lunghi mesi, testimoniate ormai da lunghi report sia di Amnesty International che di Human Rights Watch. Le stesse violenze al centro della bozza legislativa ormai approdata al senato Usa, riferita all’applicazione delle sanzioni economiche nei confronti di Eritrea ed Etiopia.

Sanzioni che, secondo la rielaborazione del documento emanata dal Dipartimento del Tesoro statunitense, riguarderà coloro che hanno commesso violazioni dei diritti umani, coloro che intenzionalmente hanno bloccato gli aiuti umanitari (aggravando la situazione umanitaria nel Tigray), che forniscono sostegno economico, armi o addestramento alle parti coinvolte nel conflitto (paesi stranieri compresi).

La bozza, votata dalla Commissione per gli Affari esteri ora è pronta per la votazione al senato. Qualora il disegno di legge passasse, andrebbe a modificare i destinatari delle sanzioni già emanate il 21 Settembre 2021 con ordine esecutivo presidenziale n° 14046, nelle quali era inserita la possibilità di sospendere l’Etiopia dall’African Growth and Opportunity Act (AGOA), un sistema di scambio commerciale che permette ai paesi africani che ne fanno parte, di accedere al mercato Usa a condizioni commerciali favorevoli, come per esempio l’esenzione dai dazi (sospensione resa poi effettiva il 28 Dicembre 2021).

Gli Usa sospenderebbero ogni tipo di assistenza finanziaria, si riserverebbero la possibilità di opporsi a prestiti e finanziamenti per l’Etiopia e per l’Eritrea presso la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario internazionale e sospenderebbero ogni tipo di assistenza in termini di sicurezza.

Cosa vuol dire? Beh, l’AGOA ha garantito nel 2020 di esportare negli Usa materie prime per 525 milioni di dollari; gli Usa hanno garantito al paese, assistenza finanziaria per circa 800 milioni di dollari solo nel periodo 2016-2021 e consistenti investimenti diretti esteri – i cosiddetti FDI- che già nel 2020, a causa della pandemia, avevano subito una taglio del 17% (nel triennio 2017-2019 sono stati 3,6 miliardi di dollari).

Al centro dell’interesse statunitense, la detenzione indiscriminata di migliaia di tigrini in tutto il paese. “La detenzione di massa di civili tigrini in condizioni invivibili è una violazione dei diritti umani così oltraggiosa da richiedere una forte risposta degli Stati Uniti”, ha twittato il membro del Congresso Brad Sherman della California, chiedendo un’azione contro quella che ha definito un’atrocità.

Secondo le associazioni americane della diaspora il documento portato al senato ignorerebbe gli effetti che tali sanzioni avrebbero sulla popolazione etiope, già sottoposta a violenze e privazioni, pur osservando lo sforzo legislativo nel cercare di evitare ripercussioni sull’accesso agli aiuti umanitari, di fatto bloccati quasi integralmente.

Come più volte sperimentato nel corso della storia ed in altri contesti, i primi a farne le spese potrebbero essere proprio gli etiopi, ma dall’amministrazione Biden si sono affrettati a sottolineare, come riferito da un membro del congresso in conferenza stampa, che “queste misure non sono dirette al popolo dell’Etiopia o dell’Eritrea” sottolineando come “il nuovo programma di sanzioni è deliberatamente calibrato per mitigare qualsiasi danno indebito a coloro che già soffrono in questo conflitto”.

Un problema ulteriore da gestire per il Primo Ministro Abiy Ahmed, che nell’arco di pochi mesi oltre alle sanzioni statunitensi, ha visto la Francia ritirarsi dalla partnership strategico-militare (nello scorso Agosto) e l’Italia sospendere -durante il mese di gennaio 2022- il trattato di cooperazione militare, siglato nel 2019 con l’allora ministro della Difesa, Elisabetta Trenta.

Eppure proprio Abiy Ahmed continua a derubricare la guerra che insanguina il paese come una questione interna di “ordine pubblico” come affermato nel discorso tenuto durante la sessione ordinaria dell’Assemblea dell’Unione Africana tenutasi il 5 e 6 Febbraio ad Addis Abeba.

Problemi che non hanno turbato nemmeno il sonno dei presenti, che di guerra nel Tigray non hanno parlato, trincerandosi dietro la mancanza di un punto specifico all’ordine del giorno. La mediazione portata avanti dall’Unione non ha portato affatto i frutti sperati, e gli interrogativi tigrini sulla sua imparzialità non hanno fatto altro che moltiplicarsi.

Nel frattempo le violenze dilagano.

Oltre all’apertura del fronte Afar, di cui abbiamo parlato nei giorni passati, si registrano nuove tensioni politiche nella regione somala dell’Etiopia, dove lo scorso Novembre si è costituita una nuova coalizione denominata Congress for Somali Cause (CSC) alternativa all’attuale presidente della regione Mustafa Omer, che accusa di totale fallimento amministrativo.

Durante una riunione di membri della coalizione tenutasi a Jigjiga, la capitale della regione somala, tra ex funzionari a livello di gabinetto e membri del comitato centrale del ramo regionale del Prosperity Party ( la coalizione al potere con Abiy Ahmed) hanno fatto irruzione le forze di polizia regionali, arrestando tre giornalisti tra i presenti.

Tensioni anticipate dalle critiche dirette al governo di Filsan Abdullahi Ahmed, nominata ministro federale etiope per le donne, i bambini e i giovani il 12 marzo 2020 (la persona più giovane nel gabinetto di Abiy Ahmed), dimessasi dall’incarico nel settembre 2021 a causa di contrasti con il Primo Ministro. Fondatrice e promotrice del Progetto Nabad e della stazione televisiva satellitare collegata, ha sottolineato sia alla BBC che al Washington Post la totale incompetenza del governo nella gestione del conflitto nel Tigray.

Mentre si allargano le proteste contro Mustafa Omer e contro il governo, la regione è alle prese con una devastante siccità, come del resto abbiamo sottolineato più volte accadere anche in Afar ed Oromia. Secondo il PAM, le persone coinvolte dalla catastrofe sono 2,9 milioni, inclusi 585.000 bambini malnutriti.

Tigray, Ahmara, Afar, Somali Region, Oromia. Sembra non esserci fine alla tragedia che sta sconquassando il paese, ora alle prese con fame e siccità, con l’aumento dei prezzi delle materie prime e con le sanzioni economiche. Se l’ordine interno ne sta subendo i contraccolpi, la popolazione ne sta pagando a caro prezzo le conseguenze.

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