(Parigi). Nove anni dopo il lancio di quella che all’epoca era nota come Operazione Serval (e che è diventata Operazione Barkhane l’anno successivo), la Francia ha annunciato il ritiro coordinate delle sue truppe dal Mali. Era l’11 gennaio del 2013 quando François Hollande annunciava che la Francia inviava il suo esercito in Mali per “affrontare l’aggressione terroristica che minaccia tutta l’Africa occidentale”. L’operazione mirava ad aiutare le truppe maliane a respingere l’offensiva di gruppi di jihadisti pesantemente armati che avevano preso il controllo di Azawad, la parte settentrionale del paese. L’idea era quella di fermare l’avanzata delle forze jihadiste verso Bamako, mettere in sicurezza la capitale maliana e permettere al paese di recuperare la sua integrità territoriale. Ieri, dopo una cena di lavoro al Palazzo dell’Eliseo a cui hanno partecipato una trentina di leader africani ed europei, il presidente francese, i suoi partner europei e il Canada hanno annunciato il ritiro congiunto delle forze militari dal Mali dopo nove anni di intervento militare.
Un ritiro, ha spiegato il capo dello stato francese, che comporterà la chiusura degli avamposti di Gossi, Ménaka e Gao, e sarà effettuato in modo ordinato, con le forze armate maliane e la missione delle Nazioni Unite in Mali. Il presidente Macron aveva già deciso di iniziare a ridurre le truppe francesi nell’estate del 2021 a favore di un’operazione regionale meno visibile, ma questa partenza forzata dal paese costringerà Parigi ad accelerare questa riorganizzazione in altri paesi della regione minacciati dal contagio jihadista, in particolare nel Golfo di Guinea. Fuori dal Mali, Parigi intende continuare la lotta anti-jihadista nella regione, dove i movimenti affiliati ad al-Qaeda o allo Stato Islamico hanno mantenuto un forte potere di disturbo nonostante l’eliminazione di molti leader. Oltre a un possibile rafforzamento della sua presenza nel vicino Niger, che già ospita una base aerea francese e 800 soldati, Parigi mira a offrire i suoi servizi ad altri paesi dell’Africa occidentale (Costa d’Avorio, Senegal, Benin, ecc.) per aiutarli a contrastare la diffusione del jihadismo verso il Golfo di Guinea.
Il ritiro francese dal Mali non sarà nondimeno veloce ed indolore. Ci vorranno dai quattro ai sei mesi per un ritiro totale delle forze in campo. E non si escludono le rappresaglie jihadiste a questo ritiro confuso che suona come una sconfitta dolorosa per la Francia ed i suoi alleati. Dal canto suo Macron in conferenza stampa rifiuta completamente la nozione di fallimento: “Cosa sarebbe successo nel 2013 se la Francia non avesse scelto di intervenire? Si avrebbe certamente un crollo dello stato maliano”, ha detto rispondendo ad un giornalista. Ma i fatti raccontano altro. Lanciata il 1° agosto 2014, l’operazione Barkhane era inizialmente destinata a combattere l’ascesa del jihadismo nei paesi della fascia sahelo-sahariana: Mauritania, Mali, Niger, Ciad e Burkina Faso. Inizialmente l’operazione sembrava portare buoni frutti, con le città del nord del Mali liberate dal giogo terrorista e le principali basi jihadiste sconfitte. Ma si è trattato di vittorie effimere perché l’operazione in sé avrebbe dovuto permettere nel tempo alle forze militari maliane di continuare a mantenere la pressione sui gruppi jihadisti, senza cedere loro terreno. Cosa che non è avvenuta. Anzi, i gruppi armati hanno ripreso fiducia e guadagnato paurosamente terreno.
La Francia lascia dunque in un contesto addirittura peggiore di quello che era stato trovato nel 2013, con una giunta al potere – con a capo il colonnello Assimi Goïta (diventato presidente del paese lo scorso maggio dopo un secondo putsch militare) – molto popolare a Bamako, giunta che oggi non solo non sembra temere il ritiro delle truppe francesi dal Mali ma ha spinto affinché quest’ultima abbandonasse le operazioni militari, considerate completamente inefficaci. La giunta oggi conta molto invece sull’appoggio della Russia come dimostra la presenza del gruppo “Wagner”, un battaglione di contractor e mercenari privati russi che ha preso parte a vari conflitti, comprese le operazioni nella guerra civile siriana a fianco del governo siriano, nonché, dal 2014 al 2015, nella guerra del Donbass in Ucraina. Per diversi analisti pero’ la Wagner però non è semplicemente un gruppo paramilitare privato ma un braccio armato “invisibile” del Ministero della Difesa russo che viene utilizzato dal Cremlino come armata nei conflitti in cui preferisce non esporsi direttamente. “Continueremo a difendere i legittimi interessi di Bamako alle Nazioni Unite e a fornire assistenza attiva ai nostri partner maliani nella sfera militare e militare-tecnica nel quadro dei canali statali”, aveva detto ad Ottobre scorso Pyotr Ilichev, direttore del dipartimento del ministero degli Esteri russo per le organizzazioni internazionali. Per Mosca il ritiro della Francia rischia di destabilizzare ulteriormente la regione Se dunque la Francia si ritira, la Russia in qualche modo si fa avanti. Secondo le autorità francesi, sarebbero oltre un migliaio i mercenari russi il cui obiettivo è quello di proteggere la giunta al potere a Bamako. Per la Francia pero’ resta un vero e proprio fiasco, come spiega lo storico Amzat Boukari-Yabara, specializzato nel continente africano. Un fiasco che affonda le sue radici nell’immensità del territorio
La Francia si ritira dal Mali e la Russia si fa avanti
1 ora fa
La Francia si ritira dal Mali e la Russia si fa avanti
di Marco Cesario
(Parigi). Nove anni dopo il lancio di quella che all’epoca era nota come Operazione Serval (e che è diventata Operazione Barkhane l’anno successivo), la Francia ha annunciato il ritiro coordinate delle sue truppe dal Mali. Era l’11 gennaio del 2013 quando François Hollande annunciava che la Francia inviava il suo esercito in Mali per “affrontare l’aggressione terroristica che minaccia tutta l’Africa occidentale”. L’operazione mirava ad aiutare le truppe maliane a respingere l’offensiva di gruppi di jihadisti pesantemente armati che avevano preso il controllo di Azawad, la parte settentrionale del paese. L’idea era quella di fermare l’avanzata delle forze jihadiste verso Bamako, mettere in sicurezza la capitale maliana e permettere al paese di recuperare la sua integrità territoriale. Ieri, dopo una cena di lavoro al Palazzo dell’Eliseo a cui hanno partecipato una trentina di leader africani ed europei, il presidente francese, i suoi partner europei e il Canada hanno annunciato il ritiro congiunto delle forze militari dal Mali dopo nove anni di intervento militare.
Un ritiro, ha spiegato il capo dello stato francese, che comporterà la chiusura degli avamposti di Gossi, Ménaka e Gao, e sarà effettuato in modo ordinato, con le forze armate maliane e la missione delle Nazioni Unite in Mali. Il presidente Macron aveva già deciso di iniziare a ridurre le truppe francesi nell’estate del 2021 a favore di un’operazione regionale meno visibile, ma questa partenza forzata dal paese costringerà Parigi ad accelerare questa riorganizzazione in altri paesi della regione minacciati dal contagio jihadista, in particolare nel Golfo di Guinea. Fuori dal Mali, Parigi intende continuare la lotta anti-jihadista nella regione, dove i movimenti affiliati ad al-Qaeda o allo Stato Islamico hanno mantenuto un forte potere di disturbo nonostante l’eliminazione di molti leader. Oltre a un possibile rafforzamento della sua presenza nel vicino Niger, che già ospita una base aerea francese e 800 soldati, Parigi mira a offrire i suoi servizi ad altri paesi dell’Africa occidentale (Costa d’Avorio, Senegal, Benin, ecc.) per aiutarli a contrastare la diffusione del jihadismo verso il Golfo di Guinea.
Il ritiro francese dal Mali non sarà nondimeno veloce ed indolore. Ci vorranno dai quattro ai sei mesi per un ritiro totale delle forze in campo. E non si escludono le rappresaglie jihadiste a questo ritiro confuso che suona come una sconfitta dolorosa per la Francia ed i suoi alleati. Dal canto suo Macron in conferenza stampa rifiuta completamente la nozione di fallimento: “Cosa sarebbe successo nel 2013 se la Francia non avesse scelto di intervenire? Si avrebbe certamente un crollo dello stato maliano”, ha detto rispondendo ad un giornalista. Ma i fatti raccontano altro. Lanciata il 1° agosto 2014, l’operazione Barkhane era inizialmente destinata a combattere l’ascesa del jihadismo nei paesi della fascia sahelo-sahariana: Mauritania, Mali, Niger, Ciad e Burkina Faso. Inizialmente l’operazione sembrava portare buoni frutti, con le città del nord del Mali liberate dal giogo terrorista e le principali basi jihadiste sconfitte. Ma si è trattato di vittorie effimere perché l’operazione in sé avrebbe dovuto permettere nel tempo alle forze militari maliane di continuare a mantenere la pressione sui gruppi jihadisti, senza cedere loro terreno. Cosa che non è avvenuta. Anzi, i gruppi armati hanno ripreso fiducia e guadagnato paurosamente terreno.
La Francia lascia dunque in un contesto addirittura peggiore di quello che era stato trovato nel 2013, con una giunta al potere – con a capo il colonnello Assimi Goïta (diventato presidente del paese lo scorso maggio dopo un secondo putsch militare) – molto popolare a Bamako, giunta che oggi non solo non sembra temere il ritiro delle truppe francesi dal Mali ma ha spinto affinché quest’ultima abbandonasse le operazioni militari, considerate completamente inefficaci. La giunta oggi conta molto invece sull’appoggio della Russia come dimostra la presenza del gruppo “Wagner”, un battaglione di contractor e mercenari privati russi che ha preso parte a vari conflitti, comprese le operazioni nella guerra civile siriana a fianco del governo siriano, nonché, dal 2014 al 2015, nella guerra del Donbass in Ucraina. Per diversi analisti pero’ la Wagner però non è semplicemente un gruppo paramilitare privato ma un braccio armato “invisibile” del Ministero della Difesa russo che viene utilizzato dal Cremlino come armata nei conflitti in cui preferisce non esporsi direttamente. “Continueremo a difendere i legittimi interessi di Bamako alle Nazioni Unite e a fornire assistenza attiva ai nostri partner maliani nella sfera militare e militare-tecnica nel quadro dei canali statali”, aveva detto ad Ottobre scorso Pyotr Ilichev, direttore del dipartimento del ministero degli Esteri russo per le organizzazioni internazionali. Per Mosca il ritiro della Francia rischia di destabilizzare ulteriormente la regione Se dunque la Francia si ritira, la Russia in qualche modo si fa avanti. Secondo le autorità francesi, sarebbero oltre un migliaio i mercenari russi il cui obiettivo è quello di proteggere la giunta al potere a Bamako. Per la Francia pero’ resta un vero e proprio fiasco, come spiega lo storico Amzat Boukari-Yabara, specializzato nel continente africano. Un fiasco che affonda le sue radici nell’immensità del territorio (grande quasi quanto l’Unione Europea e quindi molto difficile da controllare), con gli eserciti africani non abbastanza addestrati ed equipaggiati per prendere il controllo delle operazioni e con l’impossibilità di rintracciare la fonte di finanziamento dei gruppi terroristici. Il risultato: c’è stato un ritorno in massa di jihadisti nel paese, ma anche la comparsa di nuovi gruppi terroristici (come Daesh ad esempio). Ristabilitisi nella maggior parte delle zone rurali, i gruppi terroristici hanno ripreso progressivamente il potere nel paese. Secondo diversi analisti francesi, il 75% del territorio del Mali è oggi fuori dall’autorità di Bamako.