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Speciale Etiopia

Etiopia, ecco come la guerra ha impattato sull’economia del paese

Etiopia. Come la guerra ha impattato sull'economia del paese. ©WFP/Claire Nevill

Un modello africano di ripresa, tra le economie emergenti a più rapido sviluppo; oggi il paese è alle prese con l’impatto disastroso della guerra sulla propria economia. Economia etiope. Impossibile stimare un conto economico della guerra che per due anni ha insanguinato il nord del paese, catapultando l’Etiopia in una spirale che ha portato l’inflazione…

Un modello africano di ripresa, tra le economie emergenti a più rapido sviluppo; oggi il paese è alle prese con l’impatto disastroso della guerra sulla propria economia.

Economia etiope. Impossibile stimare un conto economico della guerra che per due anni ha insanguinato il nord del paese, catapultando l’Etiopia in una spirale che ha portato l’inflazione al 30,7% nel mese di Settembre  (prima dell’inizio della guerra si attestava al 19% circa), il dato più alto degli ultimi dieci anni.

Anche se il Ministro della pianificazione e dello sviluppo, Fitsum Assefa ha affermato pochi giorni fa che “l’economia etiope ha continuato a crescere seppur in mezzo a problemi naturali e causati dall’uomo“, l’aumento del debito, le restrizioni valutarie e le spese per lo sforzo bellico stanno gravando pesantemente sulla popolazione, come sottolineato anche dalla riunione della Ethiopian Economic Association tenutasi questo mese.

I conflitti interni, la spesa incontrollata, la mancanza o la distruzione di infrastrutture nel paese stanno hanno riportato il paese indietro di venti anni in poco più di due anni di guerra, tanto che a giugno, il Fondo Monetario Internazionale aveva sottolineato come la crescita fosse scesa al 3,8% per il 2021-2022 (precedentemente il paese vantava una media annua di crescita dell’9,5%).

Credit: Ebrahim Hamid/AFP/Getty Images
Credit: Ebrahim Hamid/AFP/Getty Images

Un’economia completamente piegata dalla guerra. Il Ministero delle Finanze ha più volte rinnovato l’invito alla diaspora ed ai cittadini di contribuire alla causa nazionale, mentre la Banca centrale etiope il 5 Settembre ha emanato una direttiva attraverso la quale ha fissato un limite di birr che “una persona in visita e in partenza dall’Etiopia” può detenere.

Secondo la Banca centrale etiope, i cittadini etiopi che rientrano nel Paese devono “convertire tutta la valuta internazionale che hanno con sé presso un’agenzia forex autorizzata per un pari importo in birr ” entro un mese dal rientro nel Paese.

C’è da registrare che negli ultimi mesi l’Etiopia ha dato prova di procedere spedita nella liberalizzazione di alcuni mercati, come quello della telefonia (con l’ingresso della Safaricom nel mercato delle telecomunicazioni) e come quello della possibilità di accesso al mercato bancario dato ad istituti esteri.

[2/2] An employee fixes a branding sticker on the Safaricom Ethiopia retail shop in Addis Ababa, Ethiopia, July 29, 2022. REUTERS/Tiksa Negeri
An employee fixes a branding sticker on the Safaricom Ethiopia retail shop in Addis Ababa, Ethiopia, July 29, 2022. REUTERS/Tiksa Negeri

Non solo economia. Vi è da sottolineare come la quota della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà nazionale sia diminuita dal 30% nel 2011 al 23,5% nel 2016 e anche gli indicatori di sviluppo umano siano migliorati.

Passaggi sostenuti dalla Banca Mondiale (in precedenza la WBO si era mostrato riluttante nel continuare a sostenere il paese, pesavano i timori di un sostegno indiretto alla guerra nel Tigray) che ha rinnovato la propria partnership staccando un ulteriore assegno di 300 milioni di dollari per la ricostruzione postbellica.

Ma al crescita economica etiope ha subito più di uno stop. Anche se quello determinato dalla pandemia di Covid-19 ha pesato relativamente sul paese, quello causato dalla guerra invece (e da una congiuntura internazionale affatto favorevole), stanno gravando sullo spazio di manovra del governo.

Nell’ultimo World Economic Outlook, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha trattenuto ulteriormente le previsioni di crescita del PIL dell’Etiopia per i prossimi quattro anni a causa dell’instabilità del Paese, abbassando le stime di crescita al 2% annuo (la previsione era del 3,8%).

La guerra quindi non solo ha provocato un rapido deterioramento economico ma si è riflessa anche sugli indici di performance nazionali ed internazionali e sul potere di acquisto reale della popolazione, che oggi si ritrova alle prese con prezzi delle materie prime più alti di quasi il 25% rispetto lo scorso anno (i prezzi dei generi alimentari sono aumentati del 40,7%) e con una disoccupazione del 17,5%, un dato tre volte superiore nella fascia giovanile della società (ed il 70% della popolazione etiope è composta da giovani).

La guerra ha anche allontanato gli investitori esteri, congelando i progetti di investimento esistenti nella regione del Tigray (quando non andati persi) e impattato pesantemente sul posizionamento del paese nel mercato internazionale (secondo i dati del Ministero etiope del Commercio e dell’Industria, ogni mese l’Etiopia perde circa 20 milioni di dollari di entrate derivanti dalle esportazioni dopo la chiusura o il danneggiamento degli impianti industriali nella regione del Tigray.

All’inizio di questo anno inoltre, l’Etiopia era stata esclusa dall’African growth opportunity act (AGOA)  (un regime commerciale duty-free applicato ad alcuni paesi africani a causa delle violazioni dei diritti umani nella regione del Tigray) andando a pesare in modo particolare sull’industria tessile del paese, da sempre legata ad alcuni marchi internazionali della moda.

Eyob Tekalign Tolina. State Minister, Ministry of Finance , Ethiopia. Ph. Credit: Twitter/Eyob Tekalign Tolina
Eyob Tekalign Tolina. State Minister, Ministry of Finance , Ethiopia. Ph. Credit: Twitter/Eyob Tekalign Tolina

Ma il Governo è di altro parere. Il Ministro delle Finanze Eyob Tekalign Tolina ha accusato i media occidentali di esagerare l’impatto della guerra. Il governo ha affermato infatti di prevedere una crescita dell’8,7% per l’anno fiscale 2022.

Una posizione che fa il paio con quella strategica del governo, che la scorsa settimana ha firmato a Pretoria, in Sud Africa, un accordo per la fine delle ostilità con il Tigray People’s Liberation Front.

Il primo passo sarà quello di affrontare la grave crisi umanitaria nel paese e per farlo si stima che occorreranno circa 30 milioni di dollari di aiuti umanitari. Un primo passo che dovrà essere seguito dal ripristino della della sicurezza e dall’accesso ai servizi essenziali nel Tigray, ormai fuori dal mondo da oltre 48 mesi.

Ciò concorrerà a determinare maggiore stabilità politica, necessaria alla ricostruzione delle infrastrutture andate distrutte durante il conflitto e all’introduzione di programmi di ristrutturazione dell’economia del paese attraverso anche piani di sostegno per le zone maggiormente colpite dalla guerra (Tigray in primis, ma anche il nord della regione Ahmara e alcune zone della regione Afar).

Non sarà un compito facile, ma sarà sicuramente solo il primo passo da fare.  Per ricontrattare il debito con il FMI e la Banca Centrale o introdurre eventuali riforme in campo fiscale fiscale ci sarà tempo.

Ora occorre fare il primo passo, il più difficile.

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