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Dieci cose da fare per migliorare la situazione dei diritti umani nel Burundi

L’improvvisa morte del presidente uscente del Burundi, Pierre Nkurunziza, avvenuta il 9 giugno, ha costretto quello entrante, Evariste Ndayishimiye, ad anticipare il giuramento e l’entrata in carica al 18 giugno.
Di conseguenza, Amnesty International si è affrettata a preparare e a inviare al nuovo governo 10 raccomandazioni in materia di diritti umani che dovrebbero essere prese in considerazione per cambiare passo e porre fine a cinque anni segnati da gravissime violazioni: esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate, arresti arbitrari e torture ad opera dei Servizi nazionali d’intelligence, della polizia e dell’Imbonerakure, l’ala giovanile del partito al potere, di fatto al servizio degli altri due organismi se non addetta ai lavori più sporchi e a terrorizzare la popolazione.
Nel suo discorso inaugurale, il presidente Ndayishimiye ha affermato che “tutti coloro che hanno commesso reati, anche se funzionari del governo, dovranno essere portati in giudizio. Per evitare di commettere gli errori del passato, tutti i reati dovranno essere puniti”.
Ecco perché la prima delle 10 raccomandazioni di Amnesty International inviate oggi al governo del Burundi riguarda proprio la fine dell’impunità per le violazioni dei diritti umani. E perché la seconda sia lo scioglimento dell’Imbonerakure.
Le altre raccomandazioni (per ognuna delle quali in effetti ci vorrebbe un post specifico) riguardano le ricerche sulla sorte delle vittime di sparizione forzata, il rilascio dei sei prigionieri di coscienza (tra cui esponenti della società civile e giornalisti) attualmente in carcere, la creazione di un ambiente sicuro per il rientro dei rifugiati che vorranno tornare nel paese, il rafforzamento dei diritti delle donne, la promozione di un dialogo efficace con gli altri partiti politici, il progresso dei lavori della Commissione per la verità e la riconciliazione  attraverso l’istituzione di un meccanismo giudiziario che dare seguito alle conclusioni della Commissione stessa, la garanzia del diritto alla salute e la ripresa del dialogo internazionale, in particolare con gli organismi delle Nazioni Unite che si occupano di diritti umani.
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