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Capo Verde, una nuova forma di turismo per uscire dalla crisi post Covid 19

La pandemia di Covid-19 a Capo Verde ha lasciato strascichi importanti. In un arcipelago con circa 556.000 abitanti, le infezioni sono state circa 56.000, e i morti poco più di 400. A livello africano, Capo Verde è uno dei paesi con maggior indice di vaccinazione, visto che il 54% della popolazione è stato totalmente vaccinato, e il 63,5% ha ricevuto una dose. Al di là delle statistiche, però, c’è un dato che ha fatto di questo arcipelago di lingua portoghese immerso nell’Atlantico uno dei paesi economicamente più colpiti dalle conseguenze del Covid-19: che il 25% del PIL nazionale dipende dal turismo.

Con la pandemia, questo dato è stato praticamente azzerato, provocando un’ondata di disoccupazione, principalmente giovanile, assai preoccupante. Il governo locale sta cercando, insieme a soggetti della società civile e ai partner internazionali, di rilanciare quella che, a oggi, rappresenta la maggiore industria del paese, il turismo, appunto. E lo sta facendo con strumenti, per così dire, tradizionali. Verso la fine dello scorso anno, il ministro del turismo, Olavo Correa, ha infatti pubblicamente presentato il piano di rilancio del governo in questo settore strategico, all’interno di un programma più generale di Appoggio alla competitività nell’Africa Occidentale, evidenziando la necessità di un rilancio economico più digitale, azzurro e verde. Un programma da quasi 5 milioni di euro, finanziato da parte dell’Unione Europea e dell’UNDP, che farà ricadere risorse ingenti nell’arcipelago, secondo una filosofia di aumento della competitività rispetto agli altri paesi dell’area.

Un paradigma, quello della competivitià, ormai consueto per Capo Verde – la fedeltà al modello democratico-liberale occidentale, in cambio di cospicui finanziamenti -, che ha anche riscosso un discreto successo, ma che sta avendo, da parte di segmenti significativi della locale società civile, risposte differenti rispetto ai grandi programmi milionari di cui sopra.

Divânia Fortes, attivista locale, sta infatti portando avanti, insieme a diverse altre sue colleghe, micro-progetti di un turismo alternativo, comunitario. Si tratta di un turismo al di fuori delle rotte consuete (fra cui Ilha de Sal, a fortissima presenza italiana), e soprattutto dei meccanismi tipici del turismo di massa, incentrato sul binomio sole-mare.

Questo gruppo di giovani, fra cui moltissime donne, sta infatti iniziando un progetto in cui accoglienza, cultura, lingua, artigianato e gastronomia locale si stanno proponendo come risposta efficace e sostenibile alla crisi post-pandemica. In primis, la scelta del luogo è decisamente “fuori rotta”: si tratta di Santo Antão, un’isola all’estremo nord-ovest dell’arcipelago, con circa 40 chilometri di estensione e un vulcano inattivo di 1979 metri, a vocazione meramente agricola. L’isola, infatti, produce essenzialmente canna da zucchero, mango, banana, ed è sempre stata piuttosto distante dai percorsituristici di massa. Il progetto di turismo comunitario appena iniziato intende portare le persone interessate a visitare un Capo Verde differente, senza grandi hotel con piscina e vista mare, ma a contatto diretto con la realtà locale (per saperne di più, visitare il sito: https://turismoecomunidades.com/sobrenos.html), rurale e che punta sull’ambiente come atout principale. Per il momento sono stati attivati una decina di punti di accoglienza nelle tre principali città dell’isola, Porto Novo, Paul e Ribeira Grande, tutti gestiti dall’associazione della Rete di Turismo e Comunità di Santo Antão.

Anche il modo con cui il progetto viene portato avanti costituisce quasi un unicum nel panorama cooperativo capoverdiano: una volta elaborato localmente, il progetto ha avuto l’appoggio finanziario della cooperazione lussemburghese, con cifre modeste per i livelli della cooperazione internazionale, ma coerente con lo spiritoche la locale associazione ha inteso costruire e mantenere.

Le premesse, insomma, ci sono tutte affinché il progetto abbia successo, in un promettente mix fra valorizzazione degli aspetti locali, turismo sostenibile e intervento discreto di un partner internazionale anch’esso marginale rispetto ai grandi circuiti di finanziamento della cooperazione interstatale. La sfida è anche filosofica e epistemologica: riuscire a migliorare la vita dei cittadini locali, producendo lavori stabili per i giovani e facendoli incontrare con turisti altrettanto sensibilizzati rispetto al turismo comunitario significherebbe dimostrare che non è soltanto la competitività a dettare programmi di sviluppo;la creazione di reti fra persone può avere una centraliltà e continuità nuove rispetto alle visite “mordi e fuggi” dei pacchetti organizzati delle grandi agenzie turistiche occidentali, che ben poco lasciano, in termini di conoscenza effettiva, dei locali visitati e delle loro culture.

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