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Camerun, le falle nell’azione internazionale di contrasto a Boko Haram

In Camerun, a partire dal 2016, sono iniziati scontri violenti nelle aree anglofone tra l’esercito regolare e i gruppi separatisti che rivendicano l’indipendenza delle regioni occidentali di lingua inglese, nella regione al confine con la Nigeria e il riconoscimento dell’auto-proclamato Stato indipendente di Ambazonia, nel 2017. Si fronteggiano, pertanto, i gruppi armati separatisti e le forze di sicurezza dello Stato centrale ed in mezzo c’è la popolazione civile, vittima delle violenze. Oltre alla violenza dei separatisti, il popolo camerunense già da alcuni anni è anche vittima degli attacchi di Boko Haram.

In questo quadro, il 24 ottobre scorso uomini armati in abiti civili hanno fatto irruzione a bordo di motociclette in una scuola elementare nella città di Kumbà, nella regione sud-occidentale del Paese e hanno sparato sugli alunni, uccidendone otto dell’età compresa tra i 12 e i 14 anni. Altri 12 sono rimasti feriti dai colpi di arma da fuoco e dalle ferite e fratture riportate nel tentativo di sfuggire all’attacco lanciandosi dal secondo piano. I funzionari del governo hanno subito accusato degli attacchi gli insorti secessionisti.

A ben vedere, si tratta dell’ennesimo capitolo di violenza contro la popolazione che il governo è incapace di proteggere così come è incapace di ricomporre la crisi che divide il Paese. In realtà, si tratta di un vera e propria guerra civile tra i gruppi armati separatisti, giudicati terroristi dalle autorità pubbliche, e le forze regolari di Yaoundé. Questo conflitto ha già mietuto più di 3 000 vittime, oltre ad aver provocato la fuga di 70 000 persone. L’unica risposta del Presidente Paul Biya, in carica dal 1982, è stata la militarizzazione della regione e la repressione.

Alla complessità di tale situazione vanno ad aggiungersi le incursioni violente di Boko Haram, il cui primo attacco nel nord del Paese è stato registrato nel 2012. La minaccia di Boko Haram fu iniziamente accompagnata da sequestri di persona con richiesta di riscatto ed in seguito con attacchi suicidi. Infatti, sono accusati di ingaggiare giovani ragazze appartenenti a classi disagiate ignare di essere trasformate in bombe viventi. Si ritiene che l’azione di infiltrazione di Boko Haram avvenga attraverso le moschee e le scuole coraniche.

Secondo stime ufficiali, solo tra il 2013 e il 2017, nel Paese 1 098 civili, 67 soldati e 3 poliziotti hanno perso la vita per mano del gruppo fondamentalista e nello stesso arco temporale, quest’area del Camerun al confine con la Nigeria ha subito 315 incursioni e più di 30 attacchi suicidi. Saccheggi, uccisioni, sequestri e attacchi suicidi hanno colpito quest’area dal 2013.

Questa situazione ha promosso una cooperazione internazionale, “Operational Command” missions, nel tentativo di contrastare il gruppo islamista. Il Camerun tradizionalmente gode dell’assistenza militare francese, ma un supporto nella lotta al terrorismo proviene anche da Russia, Stati Uniti, Regno Unito e Germania, che formano una Multinational Joint Task Force of Commission of the Lake Chad Basin (LCBC).

Anche lo stesso governo del Camerun ha messo in atto un piano di difesa contro gli attacchi terroristici avverso la sovranità del Paese oltre che ai danni della  popolazione. Il Counter-Terrorism Act e le missioni militari speciali Operational Command sono alcune misure nazionali che, tuttavia, non hanno prodotto i risultati auspicati. Successivamente alla dichiarazione di guerra da parte di Boko Haram, nell’agosto 2014, lo Stato ha creato unità speciali di polizia, commissioni di vigilanza per l’attuazione di misure di ordine pubblico specie nel Nord del Paese, come la chiusura dei bar dopo le 18:00, il dispiegamento di circa 8 500 militari nelle aree interessate, il controllo sulle moschee e la prevenzione sull’uso dei bambini come kamikaze.

Anche se apparentemente la minaccia terroristica sembra ridimensionata rispetto agli esordi, essa tuttavia è ben lontana dall’essere sradicata. E’ per questa ragione che si è resa necessaria la cooperazione internazionale per sopperire alla fragilità del sistema di sicurezza nazionale dimostratosi incapace di fronteggiare adeguatamente l’azione di Boko Haram volta a destabilizzare il Camerun, segnatamente il Nord. L’intervento internazionale è stato invocato dal Presidente Paul Biya.

Già dal 2009 il Camerun è legato alla Francia dal Defense Partnership Agreement, entrato in vigore nell’agosto del 2012 e consistente nell’addestramento militare di unità locali specializzate nella lotta al terrorismo, ma non nell’intervento militare né nella presenza della Francia nel Paese. Nel 2015, l’assistenza della Francia si è intensificata anche con la cessione di armamenti.

Anche la Federazione Russa ha supportato Yaoundé nella lotta a Boko Haram, attraverso assistenza tecnica e militare, inviando artiglieria pesante, missili e altro materiale da guerra oltre a personale specializzato per adestrare all’uso di tali strumenti. Anche gli Stati Uniti si sono schierati al fianco del Paese con azioni di intelligence, creando anche una base per droni Predator a Garoua, la capitale del Nord del Paese. Regno Unito e Germania sono altresì intervenute in aiuto del Camerun fornendo armi e personale per l’addestramento all’uso di queste.

Vi è stata dunque una internazionalizzazione della guerra camerunense a Boko Haram e anche l’Unione Africana ha chiesto l’intervento delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea in termini di aiuti economici in questa lotta. Summit si sono tenuti, nel 2014 a Parigi, e nel 2016 in Nigeria per mettere a punto un piano regionale di contrasto al terrorismo e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il 28 luglio 2015, ha chiesto l’intervento della comunità internazionale nel fornire fondi per fronteggiare un fenomeno considerato una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali. E a fronte di tali pressioni internazionali, il Parlamento camerunense, nel novembre 2014, ha adottato una nuova legge per la repressione di atti di terrorismo.

Ma Boko Haram non è solo una minaccia per il Camerun, poiché anche altri Paesi vicini ne sono bersaglio, come il Chad, vittima di attacchi dall’estate del 2014 e sopratutto la Nigeria, la cui situazione di instabilità interna dovuta proprio alla minaccia terroristica ha costretto molti nigeriani a riparare in Camerun. Per cui, oltre alla piaga del terrorismo, il Camerun deve fronteggiare anche la crisi umanitaria causata dal considerevole flusso di rifugiati tra cui vi sono infiltrati di Boko Haram.

Nonostante la mobilitazione sia a livello nazionale che internazionale, questo modo di lottare contro il terrorismo nella regione non ha evitato le critiche di alcune organizzazioni non-governative, prime fra tutte Amnesty International, che ha denunciato la presenza di luoghi di detenzione illegali sotto il controllo delle truppe camerunensi che combattono Boko Haram. Qui gli individui accusati di appartenere al gruppo terroristico sarebbero detenuti in condizioni degradanti e senza un limite di tempo, oltre ad essere vittime di atti di tortura in celle segrete. Tutto questo sarebbe stato documentato da immagini satellitari e riportato da diversi testimoni, chiamando in causa le forze governative dispiegate in circa 20 luoghi di detenzione di questo tipo. In queste prigioni sarebbero detenuti, oltre a membri di Boko Haram, anche comuni cittadini camerunensi accusati di terrorismo ingiustamente e senza alcuna prova. Amnesty International ha pubblicato dei rapporti su tali violazioni dei diritti umani, denunciano il fatto che, attraverso tali luoghi di tortura si inverte una certa narrazione, trasformando i carnefici in vittime. La domanda è se questi episodi, che evidentemente non sono casi isolati, siano la dimostrazione di una falla nel sistema complessivo di contrasto al terrorismo islamista e se di questo possano essere considerati responsabili anche gli attori internazionali coinvolti, anche solo per culpa in vigilando.

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